Quando gli albanesi erano abbagliati dall’Italia
Cose portate dal mare (Besa-muci, 2020 – traduzione di Valentina Notaro) è un saggio di Ardian Vehbiu, scrittore e traduttore albanese, nato a Tirana ma da tempo residente a New York.
Cresciuto nell’Albania della dittatura di Enver Hoxha (al potere dal 1945 al 1985) e poi testimone del difficile passaggio alla democrazia a partire dagli anni Novanta, Vehbiu racconta mezzo secolo di vita del suo Paese partendo dai ricordi della propria infanzia e adolescenza, vissuti in un periodo di totalitarismo assoluto. Ricostruisce prima di tutto la vita quotidiana in un Paese rimasto completamente isolato per più di quarant’anni dal resto dell’Europa: la scelta politica del dittatore di mantenersi fedele all’ideologia stalinista anche dopo il ripudio della stessa da parte dell’Unione Sovieticaaveva determinato un distacco totale non solo dal mondo occidentale, ma anche da quello orientale e persino dalla Cina comunista.
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Hoxha, in definitiva, inseguiva il mito di un comunismo perfetto che, a suo parere, non era stato realizzato in nessun altro luogo del mondo ma che sarebbe stato proprio dell’Albania.
Come tutti i dittatori, aveva bisogno di giustificare le misure repressive come difesa da nemici esterni (nel suo caso del tutto immaginari, dal momento che a nessun Paese straniero interessava conquistare l’Albania), perciò faceva vivere la popolazione in uno stato di allerta permanente e aveva tappezzato le coste di fortificazioni difensive per difenderle da possibili sbarchi.
Ciò che non riusciva a impedire del tutto era la possibilità che gli albanesi, in pieno ventesimo secolo, riuscissero comunque a ottenere, attraverso la tecnologia, informazioni da quel mondo esterno che a loro restava precluso: grazie prima alla radio e poi alla televisione,gli abitanti dell’Albania potevano seguire i media sia della Jugoslavia – che, per quanto soggetta a sua volta al governo autoritario del maresciallo Tito, aveva comunque un livello di vita più alto di quello albanese– sia dell’Italia, che ai loro occhi rappresentava la quintessenza del benessere occidentale. Scopriamo così, leggendo questo saggio, che la radio e la televisione italiana hanno influenzato per anni interi settori del mondo albanese, come ad esempio i gusti musicali degli abitanti, che solo attraverso questi canali potevano conoscere musicisti, cantanti e canzoni del mondo occidentale.
Analizzando la lunga transizione dell’Albania dalla dittatura all’attuale democrazia, più nominale che sostanziale, Vehbiu ci porta alla scoperta di un Paese di cui, in realtà, noi italiani sappiamo assai poco, nonostante sia collocato a poche miglia di distanza al di là del mare Adriatico e abbia avuto forti legami con l’Italia in passato.
Con lo sguardo disincantato di chi oggi osserva la propria patria da lontano, Vehbiu si preoccupa di sfatare molti luoghi comuni, ma anche di fornire un ritratto sincero e obiettivo di un Paese che non ha ancora fatto del tutto i conti col proprio passato, che a trent’anni dalla fine della dittatura esprime tuttora una politica debole e una democrazia fragile e che al momento non appare in grado di trovare una collocazione precisa in ambito europeo, pur aspirando a farne parte a tutti gli effetti.
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Questo saggio appare particolarmente interessante per i lettori italiani, in quanto, nel descrivere ciò che gli albanesi percepivano dell’Italia attraverso le trasmissioni televisive negli anni bui della dittatura di Hoxha, Vehbiu finisce per tracciare anche un divertente “amarcord” del nostro paese, descrivendone le mode, le passioni e i consumi, così come potevano essere percepiti anche grazie alle pubblicità che passavano sul piccolo schermo. Un’Italia che di certo noi non ricordiamo altrettanto scintillante, ma che agli occhi di un giovane albanese assumeva l’aspetto di una specie di Paese di Bengodi, le cui Cose portate dal mare, anche quando si trattava di semplici oggetti d’uso comune, come una penna o un rasoio usa e getta, sarebbero rimaste per molto tempo a distanze incolmabili dalla sua vita quotidiana.
Per la prima foto, copyright: Jonada Molla su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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