Quando essere poveri è un reato
Sembra essere questa la tendenza italiana, della società e della politica italiana, a criminalizzare la povertà. Quasi che la povertà sia una specie di scelta deviante, antisociale, autoescludente. Nei provvedimenti varati dal Ministro Minniti a favore della sicurezza, la povertà è considerata una delle cause della devianza metropolitana. Non vengono citate, invece, le cause della povertà, che nella loro complessità ci servono a indicare con maggiore precisione i responsabili dell’impoverimento del Paese.
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L’arricchimento di strati parassitari della popolazione italiana, quelli che producono ricchezza senza produrre lavoro, non accresce i consumi, non deposita nulla in termini fiscali, non aumenta il benessere collettivo, ma induce socialmente all’invidia: un sentimento demolente, distruttivo, cieco, che attanaglia le città italiane, le attraversa e trova sfogo, talvolta, in una violenza ingovernabile perché imprevedibile.
Una società che si fonda sull’invidia è una società squilibrata, dove il rischio che la delinquenza cosiddetta minore aumenti è serio. È necessario intervenire sulle cause dello squilibrio sociale per rimettere insieme i pezzi della società italiana e pacificarli. Per farlo, diventa sempre più utile far ricorso a una nuova coniugazione tra etica, economia e politica.
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Moralità ed economica devono riprendersi sottobraccio e orientarsi nella medesima direzione. Per questo è più che giusto che i voucher – causa e non esito dell’impoverimento – vengano aboliti per sempre, ma sarebbe altrettanto giusto che in settori come l’agricoltura e l’edilizia – ricchi di lavoratori poveri – si passasse gradualmente ad assunzioni a tempo indeterminato, per deprecarizzare tanti lavoratori e lavoratrici. Insomma, il nodo è il lavoro.
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Per uscire dalla povertà e dal rischio criminale connesso a essa, è prioritario produrre lavoro, tanto lavoro, con tanti diritti nei contratti. Le forme e i dispositivi della produzione di lavoro (quelli cooperativi, per fare un esempio su tutti gli altri) esistono e cominciano a essere adoperati in modo crescente, da Nord a Sud. Strumenti che mettono insieme chi ha voglia di fare, senza più aspettare. Se vogliamo, siamo usciti dal campo dell’utopia, grazie alla crisi, e della ideologia (da quella comunista, soprattutto) e siamo entrati nel campo della pratica.
Per questo, non servono norme securitarie per contrastare la povertà, ma piani industriali, pianificazioni di servizi di welfare. Serve cervello, non manganello, per ridistribuire la ricchezza e il benessere. Perché la povertà non è mai un reato.
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