Quando Dora Maar divenne Apollinaire per Picasso
Le parole con cui Dora Maar commenterà, ormai finita la storia d’amore con Picasso, i ritratti che questi le aveva dedicato sembrano calzare a pennello per la storia che stiamo per raccontarvi:
«Ho migliaia di ritratti fatti da lui, ma nessuno è Dora Marr. Sono tutti Picasso».
Quello che emerge è non solo il ruolo subordinato di Dora rispetto all’artista («Io non sono stata l'amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone») ma anche l’atteggiamento quasi tipico dello spagnolo da sempre pronto a giocare ironicamente, e talvolta quasi con beffarda crudeltà, con i soggetti scelti per le sue opere.
Del resto lo stesso Picasso, molto preso dalla parte dell’artista ribelle e consapevole della portata della sua arte, a chi lo criticò per la scarsa somiglianza del ritratto di Gertrude Stein (realizzato tra il 1905 e il 1906) con la vera poetessa americana non ebbe scrupolo a rispondere che col tempo il ritratto sarebbe finito col somigliarle.
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Ed è un po’ quello che è accaduto per Apollinaire a cui Picasso fu legato da un rapporto di profonda amicizia. Anzi in questo caso possiamo dire che Picasso si sia spinto ben oltre, legando a doppio filo l’immagine e il ricordo di Apollinaire a quelli di Dora Maar.
L’episodio, raccontato egregiamente da Enzo Restagno nel suo La testa scambiata. Apollinaire tra Picasso e Dora Maar, edito da Il Saggiatore, è l’occasione per ricordare il rapporto che legava l’artista spagnolo al poeta francese.
I due si conobbero nel 1905 quando Apollinaire si decise finalmente a bussare alla porta di Picasso, sollecitato dal fatto che l’artista avesse dimostrato in più occasioni una forte ammirazione per i poeti, al punto che sulla porta del suo studio nel Bateau-Lavoir di rue Ravignan n. 13 aveva affisso un cartello con la scritta: «Au rendez-vous des poètes».
È Apollinaire stesso a raccontare l’impressione che riportò da questo incontro fin da quando, prima ancora di entrare, sentì:
«lo strascicare di passi pesanti di un uomo stanco o che porta sulle spalle un grande fardello, ma quando la porta si aprì ci fu una luce improvvisa, la creazione di due esseri e del loro immediato sodalizio. Nello studio, simile a una stalla, un immenso gregge giaceva disordinatamente, erano i quadri addormentati e il pastore che li sorvegliava sorrise al suo amico».
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L’incontro diede comunque buoni frutti, e tra i due nacque un’amicizia che si sarebbe consolidata sempre più negli anni spingendo Apollinaire a esporsi per difendere la produzione artistica dell’amico.
Nello stesso anno, a poco meno di un mese, quando Picasso espose una trentina di opere alla galleria Serrurier, tra cui la famosa Famille des saltimbanques (1905), la critica non fu molto dolce nei suoi confronti. Ma, come racconta Restagno, Apollinaire scese in campo con un articolo apparso sulla rivista «La Plume» nel quale espresse tutta la sua ammirazione per l’opera di Picasso:
«Non si possono confondere questi saltimbanchi con degli istrioni. Chi li osserva deve calarsi nella pietas perché essi celebrano con un’agilità difficile riti silenziosi».
L’influenza di questo quadro su Appollinaire fu tale che «poco dopo compose coi suoi Saltimbanques una bella trasposizione poetica del dipinto»:
Nella pianura i saltimbanchi
S’allontanano lungo i giardini
Dinanzi all’uscio delle locande grigie
Per i villaggi senza chiese
E i fanciulli camminano davanti
Gli altri seguono sognanti
Ogni albero da frutta si rassegna
Allorché da lontano gli fan segno
Portan fardelli rotondi o quadrati
Tamburi cerchi dorati
L’orso e la scimmia animali saggi
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Se all’inizio questo rapporto amicale fu molto solido, nel corso del tempo subì non pochi scossoni, anche se mai al punto di giungere a una rottura definitiva.
In particolare, Restagno riporta l’accusa mossa ad Apollinaire di essere complice nel furto della Gioconda dal Louvre e il tradimento di Picasso.
Ma andiamo per gradi, perché effettivamente un furto c’era stato: Vincenzo Peruggia, un giovane scapestrato, aveva commesso un furto presso il famoso museo parigino, sottraendo un paio di statuette fenicie che poi aveva venduto a Picasso, il quale,
«pur conoscendone la provenienza, le aveva acquistate senza tanti scrupoli».
Apollinaire cercò di convincere Picasso a restituirle ma questi si rifiutò confessandogli
«che le aveva rovinate cercando di scoprire certi segreti della loro arte antica e barbara».
A raccontarlo è lo stesso Apollinaire in una lettera del 30 luglio 1915 a Madeleine Pagès, citata da Restagno.
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Poco tempo dopo, quello stesso ladro rubò un’altra statuetta al Louvre e provò a venderla ad Apollinaire che però rifiutò di acquistarla. Ed è a questo punto che si verifica l’irreparabile, come il poeta racconta alla Pagés:
«Qualche giorno dopo rubarono La Gioconda. Pensai, e lo pensò anche la polizia, che fosse lui il ladro. Per farla breve, non lo era ma vendette la statuetta al Paris-Journal che la restituì al Louvre. Andai a trovare Picasso per dirgli quanto il suo gesto fosse stato inopportuno e quali rischi correva. Ed ecco che, preso dal panico, mi confessa di aver mentito, le statue erano intatte. Gli dissi di andarle a restituire con la garanzia del segreto al Paris-Journal, cosa che lui fece».
Apollinaire viene arrestato perché ritenuto in combutta con il ladro della Gioconda. Durante gli interrogatori si lascia sfuggire il nome di Picasso che viene convocato dalla polizia ma, come racconta lui stesso in un’intervista rilasciata a «Paris-Presse» nel 1959:
«Lo vedo ancora oggi con le manette e la sua aria da ragazzone mansueto. Entrando mi ha sorriso. Ma io non ho battuto ciglio. Quando il giudice mi ha chiesto: “Conoscete questo signore?” mi è venuta una paura terribile e, senza sapere quel che dicevo, ho risposto: “Non ho mai visto quest’uomo”. Ho visto la faccia di Guillaume trasformarsi. Il sangue gli si ritirava dal volto».
Un vero e proprio tradimento, che animerà profondi sensi di colpa in Picasso, che perdureranno anche dopo la morte di Apollinaire, nel 1919.
Anzi, secondo Restagno, sono proprio questi sensi di colpa che spingeranno Picasso ad accettare la proposta di realizzare un monumento funebre in ricordo dell’amico:
«Chi meglio di lui avrebbe potuto ricordare il poeta al quale per tanto tempo era stato legato da una fraterna amicizia? La fama dell’artista in quegli anni era cresciuta a vista d’occhio e, pur conteso ormai dal tout Paris, Picasso si dichiarò disponibile a realizzare il monumento per l’amico scomparso».
A questo punto il libro descrive nel dettaglio come l’idea fu concretizzata tra mille difficoltà dovute soprattutto al fatto che i progetti di Picasso non fossero visti di buon occhio né dai più conservatori tra gli amici di Apollinaire né dai consiglieri comunali di Parigi che temevano un’ennesima trovata del bizzarro artista.
Per superare tutti gli intoppi e le difficoltà ci vorranno molti anni e bisognerà attendere fino al 1959, quando si raggiunge un compromesso. E come racconta Françoise Gilot (citata da Restagno):
«Un enorme zoccolo, sostenuto da quattro colonne di un metro e mezzo sarebbe stato sormontato da una testa di Apollinaire di circa un metro. Picasso fece vari disegni su alcuni dei quali la testa è cinta da una corona di lauro».
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Nel frattempo Picasso aveva reso un altro omaggio ad Apollinaire dipingendo nel 1921, Les trois musiciens,
«in cui i tre musicisti ritratti con i costumi di Pierrot, di Arlecchino e di un misterioso monaco sono Apollinaire, lui stesso e Max Jacob».
Comunque, alla fine Picasso, ormai stanco del protrarsi della situazione, realizza il monumento in onore di Apollinaire e lo invia al comitato di amici per l’esposizione pubblica e la relativa cerimonia di inaugurazione a cui l’artista si rifiutò di partecipare:
«La lontananza di Picasso da quella scena un po’ penosa era dovuta al fastidio che provava per la retorica dei discorsi di Cocteau (a cui fu affidato il compito di tenere il discorso principale, ndr) e per quei personaggi che ancora, dopo anni, stavano a disputarsi l’eredità spirituale di Apollinaire».
Questo monumento funebre, che poi è la scultura di un volto, rappresenta, come dicevamo all’inizio, un gioco artistico di Picasso. Difatti si tratta di una testa femminile. Sì, l’Apollinaire ritratto da Picasso per celebrare l’amico poeta con un monumento funebre non è Apollinaire ma una donna:
«L’avere spacciato la scultura di una testa femminile per quella dell’amico di gioventù non è però da intendere come un oltraggio ad Apollinaire; il gesto suona piuttosto come uno sberleffo indirizzato ai membri del comitato che davanti all’offerta stravagante, sebbene un po’ delusi, non osarono sollevare la minima obbiezione».
E infatti come fa notare Enzo Restano:
«Nel 1959 tra fautori, detrattori e cronisti non si levò nessuna voce a denunciare quel provocatorio scambio di identità: tutti sapevano e tutti tacevano, e gli anni non avrebbero che consolidato l’equivoco».
Picasso chiude così la questione del monumento funebre ad Apollinaire, con uno sberleffo ad amici e critici e un omaggio ad Apollinaire che avrebbe senz’altro apprezzato.
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Ma chi è la donna ritratta da Picasso al posto dell’amico poeta? Ebbene si tratta proprio di Dora Maar che Picasso aveva conosciuto gli inizi del 1936. E da qui Restagno prende l’avvio per raccontare la loro straordinaria e tormentata storia d’amore.
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