Quando Coetzee inventò le “poesie informatiche”
Si parla sempre più spesso, in questo periodo, della possibilità di utilizzare programmi informatici o app per creare opere di letteratura.
In realtà non è qualcosa di propriamente nuovo e già J.M. Coetzee, sì proprio lo scrittore, aveva già lavorato a un progetto del genere, ottenendo anche qualche risultato.
Prima che diventasse uno dei più importanti scrittori viventi, Coetzee lavorò come programmatore informatico. Il Premio Nobel per la Letteratura, autore di opere come Nel cuore del paese, Tempo d’estate e L’infanzia di Gesù, fu assunto dalla IBM agli inizi degli anni Sessanta, cioè in un periodo in cui il computer non era ancora diffuso come oggi. All’epoca la IBM era una potente corporation con filiali in tutto il mondo, incluso a Londra, dove Coetzee si era trasferito dopo essersi laureato presso l’Università di Cape Town in Sud Africa.
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In una lettera indirizzata a Paul Auster, Coetzee confida che gli anni trascorsi «a scrivere codici informatici» lo videro «così profondamente risucchiato nel processo che a volte mi sentivo come se stessi cadendo in una follia in cui la mente è sostituita dalla logica meccanica». Questo deve aver causato un certo disagio a un giovane letterato che si sentiva profondamente chiamato solo dalla poesia.
«Ero sotto l’influenza, quando ero adolescente e intorno ai vent’anni, di T.S. Eliot prima, ma poi di Ezra Pound e ancora in seguito della poesia tedesca, di Rilke in particolare» ha dichiarato in un’intervista a Peter Sacs, ricordando gli anni in cui si dedicava alla poesia prima di metterla da parte in funzione del romanzo.
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«Sotto il bagliore accecante della luce al neon, sente la sua anima sotto attacco.» scrive Coetzee nel romanzo autobiografico Gioventù, in riferimento al periodo in cui il protagonista lavorava come programmatore. «L’edificio, un blocco informe di calcestruzzo e vetro, sembra emanare un gas, inodore, incolore, che penetra nel suo sangue e lo anestetizza. La IBM, ci può giurare, lo sta uccidendo, trasformandolo in uno zombie». Solo di sera, quando «lascia la sua scrivania, va in giro, si rilassa. La stanza delle macchine al piano di sotto, dominata dagli enormi armadi della memoria del 7090, è molto spesso vuota, e lui può far girare i programmi sul piccolo computer 1401 e, furtivamente, può perfino giocarci un po’».
E poteva anche usare questi computer per scrivere poesia. «Nella metà degli anni Sessanta, Coetzee stava lavorando a uno dei più avanzati progetti di programmazione in Gran Bretagna» scrive Rebecca Roach, ricercatrice presso il King’s College di Londra. «Di giorno aiutava a progettare il supercomputer Atlas 2 destinato al laboratorio inglese per la ricerca sull’energia atomica. Di notte usava queste potenti macchine per scrivere “poesie informatiche”, cioè scriveva programmi per un computer in grado di usare un algoritmo per selezionare parole da un insieme di vocaboli e creare versi ripetitivi».
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Questi versi, come si può vedere dalla pagina in foto (l’originale è conservato nell’archivio di Coetzee presso l’Harry Ransom Center dell’Università di Texas), includono cose come:
«INCHOATE SHARD IMAGINE THE OUBLIETTE»
«FRENETIC AMBIENCE DISHEARTEN THE ROSE»
«PASSIONATE PABULUM CARPET THE MIRROR» e
«FRENETIC TETANUS DEADEN THE DOCUMENT».
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Anche se Coetzee non pubblicò mai questi risultati, scrive Roach, «li editò e incluse alcune frasi in altre poesie che pubblicò in seguito».
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