Quale Europa?
Cosa certifica la nostra esistenza? Quali le variabili in gioco? Cosa ci fa sentire di essere vivi e non morti, sangue e non ossa? Domande intorno alle quali si è interrogato il pensiero occidentale dalla seconda metà del Novecento con più forte insistenza, dopo la seconda guerra mondiale, e che tornano prepotentemente sulla scena adesso che l’Europa è circondata da guerre.
La Siria su tutte le altre è il terreno nel quale la guerra riassume la sua tragicità in un grumo di sangue innocente, e tutta l’Europa non riesce a prendere una posizione netta e definitiva com’è stato, al contrario, rispetto all’Ucraina. Esistono Paesi di serie A e di serie B, nello scacchiere mondiale, ai quali vengono prestate attenzioni diverse a seconda degl’interessi in gioco e dell’influenza esercitata da questa o da quell’altra potenza.
Possibile dirsi vivi mentre tutt’intorno cade sotto le bombe? Necessario affermare la propria vitalità politica, adesso che si vota nell’Ue, quando nel Mediterraneo la democrazia frana sotto i colpi di kalashnikov? Mentre scriviamo, tanto per cambiare esplode una bomba ad Atene, come risposta alla reintegrazione della Grecia nell’unione monetaria. Forze oscure e violente combattono contro l’unità e destabilizzano le democrazie.
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Guerra, bombe e populismi montanti tengono la vecchia Europa sotto scacco, la minacciano dall’interno e dall’esterno. La parabola dell’Ue rischia di essere discendente, di cadere in un baratro frammentato e impervio, violento, fascista. Tanto è vero che qualcuno, anzi più d’uno, vorrebbe un ritorno alla centralità degli Stati nazionali contro il policentrismo delle funzioni europee. Questo è il rischio. Una dispersione europea, in questo particolare momento politico ed economico mondiale, favorirebbe l’esplosione di sfrenati egoismi territoriali con conseguenze imprevedibili e terrificanti. Ecco, dunque, i rischi dell’Europa non politica, che non c’è, che sta nel guado e nessuno le tende la mano per uscire dalla fanghiglia.
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