Qual è la squadra più odiata dagli italiani? Ne parliamo con Davide Bacchilega
Davide Bacchilega, classe 1977, ha messo nero su bianco la sua passione calcistica. O meglio, bianconero su carta. Dalla copertina del suo La più odiata dagli italiani, edito da Las Vegas, si capisce già dove si andrà a parare. Toh guarda, il mestiere che fanno i portieri di una squadra di calcio. Ed è proprio di questo che con l’autore romagnolo andiamo a discorrere in questa piacevole intervista. Del suo ultimo romanzo, frutto di una “documentazione involontaria” come la definisce lui, acquisita e temprata nel corso degli anni che lo ha portato a dare vita alla figura di Vincenzo Sarti, truce allenatore di pallone paladino dell’onestà e del gioco pulito, che un giorno si scontra con il suo peggior nemico: quella squadra a strisce bianche e nere che lo vuole sulla sua panchina. A costo di mandare a monte i suoi sani principi.
Partiamo dalle sue abitudini di scrittura: è vero che lei è un animale notturno?
Quando sono alle prese con un romanzo lo divento per necessità. Visto che ho un lavoro che prosciuga otto ore della mia giornata, gli unici momenti che ho per dedicarmi alla scrittura arrivano quando ormai è buio. Di notte, inizia la mia seconda vita: mi trasformo in una specie di vampiro. Questo perché la scrittura richiede molta dedizione e disciplina: se si vuole concludere qualcosa di decente, occorre sfruttare tutto il tempo che si riesce a strappare agli impegni quotidiani.
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Com'è nata l'idea di La più odiata dagli italiani?
Come spesso accade, un’idea deriva dalla combinazione di più suggestioni. Quelle che hanno dato vita a La più odiata dagli italiani sono state fondamentalmente tre. La prima è aver letto Il maledetto United di David Peace: il romanzo racconta le imprese di Brian Clough, un allenatore inglese realmente esistito che, negli anni ’70, accettò di lavorare per l’odiato club del Leeds United. La seconda viene dal film Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, che non tratta di calcio ma di football americano. Un grande esempio di narrazione a tema sportivo. La terza suggestione arriva invece da ciò che viviamo ogni giorno: da quando ho memoria, c’è sempre stato un acceso sentimento anti-juventino fra i tifosi che non parteggiano per quella squadra. Un conflitto, quello tra juventini e anti-juventini, che spesso non si riconduce solamente all’ambito sportivo, ma diventa qualcosa di ideologico, una sfida tra due opposte categorie di pensiero. È un tema che la narrativa italiana non ha mai messo sulla pagina in modo compiuto. Una lacuna che era anche un’occasione. Così ci ho provato io.
Quanti Vincenzo Sarti ci sono nella società di oggi?
Di Vincenzo Sarti idealisti, anticonformisti e rivoluzionari credo ce ne siano pochi nella nostra società. Bene o male tendiamo tutti all’omologazione. Anche chi vuole interpretare la parte del ribelle lo fa secondo gli schemi, in modo del tutto prevedibile. Di Vincenzo Sarti vulnerabili, irrisolti e arroccati nei propri segreti ce ne sono invece molti, e per gli stessi motivi: la pressione sociale ci suggerisce di comportarci secondo le aspettative e di diventare qualcuno di diverso rispetto a chi davvero vorremmo.
Il libro dà un quadro più o meno esatto del calcio di oggi, dove spesso si bada più al contorno di denaro e vita notturna che al lavoro sul campo. Ha attinto da una sua passione per questo sport o lo vive da esterno?
Il calcio l’ho sempre seguito, anche frequentando gli stadi, in Italia e qualche volta all’estero. Nel corso del tempo ho inoltre letto diversi testi sulla storia di questo sport, sull’evoluzione delle tattiche, sulle dinamiche del tifo. Era dunque da circa una trentina d’anni che, senza saperlo, mi stavo “documentando” per realizzare questo romanzo. La cronaca sportiva ed extra-sportiva, dal canto suo, non è mai stata avara di spunti: follie economiche, scommesse clandestine, ultras violenti, derive razziste e fasciste, inchieste giudiziarie, interessi della criminalità organizzata. Di materiale per scrivere un romanzo sul mondo (sommerso) del calcio ce n’è sempre stato in abbondanza.
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E secondo lei, oggi, cosa odiano gli italiani?
Gli italiani odiano i vicini di casa e chi viene da lontano, odiano i “poteri forti” e le persone deboli, odiano chi ne sa più di loro e ciò che non comprendono, odiano pagare le tasse e a quanto sembra odiano leggere. Inutile dire che la maggior parte delle volte tutto questo odio è semplicemente autodistruttivo.
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Il mondo della stampa e della editoria oggi è perennemente in crisi o prigioniero di logiche che spesso non premiano il talento. Lei come vede la situazione?
Penso che questa situazione non valga solo per il mondo dell’editoria, ma per moltissime professioni in cui invece il talento e le caratteristiche individuali dovrebbero fare la differenza. A mio avviso il sistema lavorativo italiano è troppo statico, poco fluido (non a caso la mobilità sociale nel nostro paese è irrisoria, tra le più basse d’Europa). A causa di questo sistema, ad esempio, chi ha già un lavoro stabile non rischia di lasciarlo per cercare un posto migliore, più in linea con le sue qualità. Per non parlare di chi un lavoro non ce l’ha, pur vantando un grande potenziale, che non riesce ad accedere nemmeno ai livelli più bassi dell’ambito lavorativo di suo interesse. Contrariamente al mondo dello sport, quello lavorativo non è un contesto meritocratico. La crisi economica ha di certo accentuato questa rigidità, ma ho come l’impressione che le nostre dinamiche occupazionali siano ancora lontane dal premiare il talento.
Quali sono i suoi progetti futuri? Sta già lavorando a un nuovo libro?
Ho appena terminato questo mio personale “campionato” e sono in attesa che inizi il prossimo. Per ora sono in pausa.
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