Qual è l’equazione dell’amore? La trovate nel romanzo di Simona Sparaco
Con Equazione di un amore (Giunti, 2016) è tornata nelle librerie Simona Sparaco, una delle scrittrici italiane più apprezzate in questi ultimi anni, dopo il successo dei suoi precedenti romanzi Nessuno sa di noi (Giunti, 2013) e Se chiudo gli occhi (Giunti, 2015), apprezzati anche perché affrontano con sensibilità temi molto delicati.
Questa volta ci troviamo a Singapore, una bolla luminosa di gente privilegiata, dove Lea ha scelto di vivere, lasciando Roma. Ha sposato un avvocato di successo che nel tempio finanziario del consumo ha trovato le sue soddisfazioni. Anche se a tratti è punta da una nota di malinconia, la ragione le dice che non avrebbe potuto fare scelta migliore: Vittorio è affidabile, ambizioso, accudente. È un uomo che prende le cose di petto e aggiusta quello che non va; come quando ha raccolto lei, sotto la pioggia, un pomeriggio londinese di tanti anni prima.
Al cuore di Lea invece basta pochissimo per confondersi: l’immagine di un ragazzino introverso, curvo su una scrivania a darle ripetizioni di matematica. Si chiama Giacomo e Lea non ha mai smesso di pensare a lui. L’alunno più brillante, il professore più corteggiato, l’amante passionale, l’uomo codardo. Lea sa bene che deve stargli lontano, perché Giacomo può farle male: c’è un’ombra in lui, qualcosa che le sfugge, ma che lentamente lo divora.
Quando una piccola casa editrice accoglie il romanzo che ha scritto, Lea è costretta a tornare a Roma, e ogni proposito crolla. Il passato con tutta la sua prepotenza li travolge ancora una volta, con maggiore violenza e pericolo. Secondo i principi della fisica che Giacomo le ha insegnato, nulla può separare due particelle quantiche una volta che sono entrate in contatto. Saranno legate per sempre, anche se procedono su strade diverse, lontane e imprevedibili.
Un romanzo sentimentale, una riflessione a tutto tondo sull’amore e sul destino, di cui abbiamo parlato con Simona Sparaco nel corso di questa intervista.
Come già in altri suoi libri precedenti, anche in Equazione di un amore lei racconta un’esperienza almeno in parte autobiografica, in questo caso il trasferimento della protagonista per alcuni anni a Singapore. In un momento in cui tanti italiani se ne vanno all’estero per lavoro, come è stata la sua esperienza di vita in quel Paese? Cosa ha funzionato e cosa, invece, no?
Singapore è un Paese ricco, moderno, funzionale. Sarebbe ingiusto se dicessi di non averlo apprezzato. Nel romanzo cerco di descrivere le sensazioni della mia protagonista rispetto a quell’ambiente, che in parte erano anche le mie. La parola “straniamento” rende l’idea. Ed è la stessa parola che mi viene in mente se mi metto ad analizzare la deriva tecnologica che ha preso la nostra società. A Singapore è la tecnologia la vera padrona di casa. «La sindrome da sguardo basso» come la definisce magistralmente Michele Serra, lì è ancora più evidente. E tutto un postare fotografie, scaricare app, click su click. E in più sono pochi i luoghi che hanno più di 50 anni di storia. Io invece amo la storia, i palazzi, anche quelli più fatiscenti, dei centri delle città europee, il rapporto con la natura, il tempo da “gustare” anche e soprattutto attraverso i sensi. Singapore l’ho amata e odiata. La odiavo di più però, paradossalmente, quando mi ricordava la nostra incapacità di gestire i nostri patrimoni, di valorizzare le nostre bellezze artistiche e culturali.
Il ritratto di Giacomo, il protagonista maschile, che emerge dalle pagine del romanzo, in realtà non è molto lusinghiero: in alcuni momenti si stenta a credere che Lea possa sopportarne certi comportamenti. Perché tante donne, per quanto intelligenti e autonome, non possono evitare di amare uomini non esattamente positivi?
Sono state spese centinaia di migliaia di pagine di analisi psicologiche sul perché molte donne amano investire il proprio tempo su “casi limite” come quello di Giacomo. Dalla canzone Teorema alle lettere che la Fallaci scriveva a uno dei suoi grandi amori facendosi trattare come uno zerbino; da “Io ti salverò” all’appellativo di crocerossina, ne hanno parlato in molti. Anzi, se vogliamo, sono partita da un cliché. Il mio intento però era quello di scandagliarlo, non attraverso un percorso analitico (anche se di questo si tratta) ma cercando, come faccio in tutti i miei romanzi, di portare il lettore a sentire quello che sente la mia protagonista, ad astenersi per un momento da qualunque giudizio per lasciare spazio alle emozioni. Le risposte le lascio agli psicologi che fanno questo per mestiere, io mi limito a raccontare storie, a vivere sulla mia pelle (quando scrivo m’immedesimo completamente nei miei personaggi) le emozioni che quella storia mi porta. Attingo a un universo misterioso, una dimensione quasi onirica. Quello che posso aggiungere è che l’amore ha una sua violenza. Si può amare in molti modi, e non possiamo prescindere dai nostri lati oscuri. Alcune persone ne hanno più bisogno di altre.
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Al di là della finzione romanzesca, è possibile rimanere prigioniere di un sentimento così sfortunato per tanti anni? Siamo soprattutto noi donne a rimanere innamorate di uomini evanescenti, oppure questo può accadere anche in senso contrario?
Accade a tutti. Ma in genere noi donne siamo più analitiche e cerebrali. Gli amori sfortunati sono dei banchi di prova, quella persona che desideriamo e non possiamo amare è uno specchio, una parte di noi che dobbiamo risolvere. In questo senso ci perdiamo più tempo, credo.
La creazione dei personaggi di sesso opposto è spesso considerata un banco di prova per gli scrittori. Come nasce la psicologia dei suoi personaggi maschili?
In “Bastardi senza amore” la voce narrante appartiene a un playboy cocainomane. La sfida di raccontare mondi apparentemente distanti dal mio mi appartiene da sempre. L’universo maschile mi interesse quasi più come scrittrice che come donna. Quando creo un personaggio maschile accade quasi sempre un meccanismo “pigmalionico”: me ne innamoro. Cerco di vestirlo di una sensibilità notoriamente femminile e di immergerlo in una situazione molto difficile. Lo metto alla prova. Se quando scrivo, faccio il tifo per lui e ho a cuore la sua sorte più del ragionevole, significa che il meccanismo “pigmalionico” ha avuto atto, e di solito contagia anche le mie lettrici. Nel caso di Equazione di un amore, ho vissuto un cortocircuito: facevo il tifo sia per Giacomo che per Vittorio. Ho sofferto molto, forse come mai prima, con Lea e per Lea.
In fisica quantistica, se due particelle interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separate, non possono più essere descritte come due entità distinte, perché tutto quello che accade a una continua a influenzare il destino dell’altra. Anche ad anni luce di distanza. Perché ha scelto proprio questo postulato scientifico per la quarta di copertina? È da lì che è partita la prima idea del romanzo, oppure si tratta di una scelta a posteriori?
Sono partita proprio da lì. Non sono un’esperta di fisica quantistica e a scuola, proprio come Lea, ero una frana in matematica, ma negli ultimi anni l’argomento invade molti campi, se ne sente parlare spesso. Mi affascina molto. Poi Rovelli, con le sue sette brevi lezioni, mi ha dato anche l’illusione che fosse tutto sommato anche semplice da capire. Molte metafore che ho creato nel romanzo sono partite dai suoi libri. La teoria delle particelle supersimmetriche è molto romantica. Volevo darle una rappresentazione letteraria, indagare su quelle persone in grado di avere una forte risonanza nella vita di chi le ama. Quello che accade nel micromondo degli elettroni perché non potrebbe essere valido anche per il mondo che conosciamo?
Anche se in anni recenti sono emersi più scrittori di formazione scientifica, come Paolo Giordano, mondo letterario e mondo scientifico vengono quasi sempre considerati poco conciliabili, se non addirittura antitetici. Nel suo romanzo abbiamo invece un personaggio che abbandona un possibile, brillante futuro da scienziato per dedicarsi alla letteratura. Qual è la sua idea in proposito?
«La Scienza e la Poesia hanno entrambe il potere di rivelare la complessità e la bellezza del mondo», risponde Giacomo a Lea di fronte al mistero della sua scelta, che poi ha anche a che fare con il grande nodo al centro del suo mondo interiore. La penso esattamente come lui.
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