Puglia infelice – Le mani dei Piromalli sulla costa di Carovigno
Non un clan qualunque, ma una delle più grandi famiglie di ‘Ndrangheta aveva deciso di investire in un resort e in altre attività economiche sulla costa di Carovigno, quasi dentro la riserva di Torre Guaceto.
Non siamo di fronte a un episodio isolato, ma alla rivelazione di un sistema favorito oggettivamente dalle concessioni edilizie e da inopportune variazioni di destinazioni d’uso per spazi troppo vicini al chiacchieratissimo business balneare brindisino. Il sequestro dell’area è stato accompagnato da quello di carte riguardanti le autorizzazioni comunali concesse nel 2016, pare a un mediatore già noto alle forze dell’ordine: un colletto bianco che avrebbe consentito l’ingresso nell’economia carovignese dei Piromalli.
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In realtà i Piromalli sono in Puglia da un bel pezzo. È cronaca la loro interferenza nella costituzione della prima Sacra Corona Unita di Rogoli, il capoclan di Mesagne considerato capostipite della quarta mafia. La ‘Ndrangheta diede pieno sostegno organizzativo e simbolico al progetto, con riti di affiliazione per i salentini che decisero di opporsi al progetto di Raffaele Cutolo di costruire una sezione pugliese della Nuova Camorra Organizzata. I calabresi intervennero per arginare l’avanzata cutoliana in una terra di conquista quale era, ed è ancor oggi, il Salento.
Il terreno sul quale si ricostruisce la penetrazione della ‘Ndrangheta in Salento è quello di una spaventosa debolezza istituzionale e di un’evidente permeabilità dell’economia territoriale. Fattori favoriti dall’attrazione turistica che funge da maschera dietro la quale le mafie fanno business incontrollato. Infatti, chi dà lavoro – e i clan ne danno stagionalmente parecchio – controlla centinaia di voti e chi viene eletto controlla l’urbanistica, i finanziamenti europei, i bandi, le concessioni di qualunque genere a qualsiasi livello.
Con questo non stiamo dicendo che i Piromalli di Gioia Tauro esercitano compravendita di voti, ma che in questi territori la trama affaristica tra vecchia Sacra Corona, ‘Ndrangheta e politica è un dato di fatto, rivelato dalla sottovalutazione del fenomeno o dall’eccessiva retorica con la quale si prova a parlarne. Dove manca l’analisi, e in Puglia purtroppo manca quasi del tutto, nascono strambe narrazioni intorno alla criminalità organizzata atte a favorire la produzione di consenso più che a dissuadere le mafie.
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A ciò si deve aggiungere la partecipazione di consulenti, avvocati, mediatori, commercialisti, agli investimenti delle mafie in questa porzione di Puglia. Una consorteria di colletti bianchi, di esperti, di funzionari pubblici usi a corrompere il sistema, più che a farsi corrompere, in cambio di denaro, immobili, favori e potere. Il potere di guidare le anime morte di una provincia dove la disoccupazione, l’abbandono scolastico, la ludopatia e la tossicodipendenza creano un esercito di vittime ubbidienti. Dove morde l’esclusione sociale, primeggia la violenta inciviltà criminale. A danno della costa e del verde, come dimostrano i roghi a Pantanagianni, le dune rimosse a Morgicchio, il cemento eccessivo a Specchiolla e a Torre Santa Sabina, i troppi resort dalla dubbia proprietà, la gestione illegale dei parcheggi pubblici, il lavaggio di denaro sporco nei lidi e nelle balere, eccetera eccetera.
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Dunque, a ben guardare, i Piromalli non hanno fatto altro che entrare in un territorio mafioso di suo, già bello che pronto a stendere un tappeto rosso sotto i piedi di questo ferocissimo clan calabrese. E forse è stato proprio il territorio a chiamarli, a desiderarne la presenza, a sottoporsi di nuovo alla mai estinta legge della mafia su Carovigno.
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