Puglia infelice – Il racket mortifica Foggia
A differenza di quanto avviene sul Gargano, dove una parte consistente dell’economia legale è nelle mani dei clan dell’omonima consorteria, nel capoluogo del Tavoliere, dove l’economia stenta a restare in vita, i clan si contendono con il racket quel che resta del commercio e del manifatturiero.
La guerra in corso a Foggia, che vede i Sinesi/Francavilla (e loro alleati) contrapporsi ai Moretti (e loro alleati), trae origine da una nuova dinamica spartitoria. La città è povera e i proventi del traffico di stupefacenti non riescono a compensare le uscite (avvocati, mensilità alle famiglie dei detenuti, debiti contratti con la Camorra e con gli ndranghetisti per l’acquisto di droga). La condizione economica del sistema foggiano non è florida, ecco evidenziata la causa delle frizioni. C’è da accreditarsi presso i calabresi, che hanno imposto la legge della cocaina su tutta la Puglia, che detengono il monopolio dei rapporti con la Sacra Corona Unita e che non disdegnano di immettere droga in quello che fu il mercato prediletto della camorra di Raffaele Cutolo.
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Ora, è ovvio che in questo clima le pallottole vengono esplose contro i capi, affinché le nuove leve, più dinamiche ma ancora impotenti, possano mostrare di essere all’altezza della situazione. Si sta verificando quanto accadde a Bari negli anni Novanta, quando i nuovi clan capeggiati da Savino Parisi si contesero la città con i vecchi clan vicini ai Capriati.
A Foggia c’è un sottobosco criminale che si nutre di reietti, miserabili, manovalanza italiana, Rom, rumena e nigeriana, bulgara e albanese. Un esercito a disposizione dei clan, armato, violento, che rende questa città fosca e talvolta impenetrabile. Una città che sente la voglia di rinascere, ma che si trova stretta nella morsa della paura, del timore di alzare troppo la testa.
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Foggia quindi resta ancorata ai suoi sistemi, a una condizione criminale che è irrobustita dalla disoccupazione, dall’abbandono scolastico, dall’incurianella quale pezzi della zona industriale sono diventati l’utero del nuovo sottoproletariato violento. È infatti qui che i clan raccolgono consensi, che radunano gli eserciti, che selezionano il personale da armare, mettere a spacciare, prostituire, condannare a morte. Periferie senza più una vocazione produttiva, zeppe di popolazione che magari sfugge al computo demografico.
La povertà è di casa, a Foggia, come in altre città del Sud come Palermo, Crotone, Caserta. Città che si tengono in un destino di degrado che merita di essere invertito, pena l’esodo, la sparizione dei giovani per bene, la fuga di quanti non ci stanno a farsi ricattare dai Sinesi e dai Moretti, a farsi gambizzare per il pizzo, a farsi offendere da una sottocultura dilagata e criminale.
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Nei capannoni dei pastifici chiusi le prostitute si addensano, i papponi lucrano, i clan spacciano e nascondono armi. Nell’urbanistica dell’abbandono, la mafia foggiana rifunzionalizza gli spazi degli operai di un tempo per metterci i propri operai di oggi, quelli che mai ce la faranno e che prima o poi verranno azzerati da un arresto o da un omicidio. In questo sistema, la città rischia di rarefarsi e di assomigliare sempre più a un quartiere desolato di un film western. Sensazione che proviamo nei piccoli comuni vicini a Foggia come Ortanova, dove il tentacolo mafioso dei Moretti/Gaeta stinge il colore delle case in una tristissima sfumatura di beige.
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