Puglia infelice – Gargano insanguinato perché connivente con la mafia
Sono decenni che la cosiddetta Mafia del Gargano versa sangue, e sangue innocente, da Manfredonia ai laghi di Lesina e Varano.
Non è una mafia qualunque, ma un sodalizio vendicativo, sorto per fatti di abigeato sui quali ha costruito, con l’aggravante di una faida, un impero patrimoniale senza eguali, di quelli invidiabili. Infatti, al di là degli scopi interni al mantenimento del duopolio Li Bergolis – Romito (in lotta e in guerra da sempre) questa mafia è al servizio del sistema economico dello sperone d’Italia. L’economia turistica e quella rurale garganiche non sarebbero quello che sono se non fossero intervenuti i clan a sostenerla, forti dei proventi dello spaccio di droga e della compravendita di armi da e verso i Balcani, la Campania, il resto della Puglia.
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E cioè: il Gargano sarebbe ancora una depressa area del Sud se non fossero intervenute le famiglie di mafia. Su tre livelli: 1) prestando denaro alle imprese; 2) eleggendo sindaci, consiglieri comunali, consiglieri regionali e favorendo l’elezione di parlamentari ed europarlamentari; 3) riciclando denaro a fiumi nei settori economici prevalenti, compreso il turismo religioso creatosi intorno alla figura mitica di Padre Pio.
Ciò significa che questa mafia è molto bene integrata nel sistema sociale pugliese, tanto da non avere mai contro collaboratori e testimoni di giustizia. Dei 300 e forse passa omicidi garganici, sì e no una quarantina hanno un colpevole assicurato alla giustizia. Gli altri restano impuniti. Da Monte Sant’Angelo a Manfredonia, passando per San Severo, Lucera, San Marco in Lamis (dove si è celebrata l’ultima, sanguinaria mattanza qualche giorno fa), questa consorteria mafiosa ha esteso i suoi tentacoli approfittando di una notevole impreparazione della politica locale, della fragilità della società civile e della permeabilità evidente del tessuto economico. Il mix di tali fattori ha fatto diventare questa mafia il vero motore economico del territorio, il vero tratto distintivo e identitario dello sperone.
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Appartenere a una di queste famiglie, e sono almeno una ventina, significa avere dalla propria il denaro, il potere, il territorio, la politica, il prestigio. A memoria civile, non si registrano grandi manifestazioni di piazza antimafia sul promontorio. Le associazioni non resistono facilmente, perché circondate da un clima asfittico e velenoso che ha teso a sottovalutare la penetrazione criminale autoctona. Eppure, i segnali dell’arroganza criminale ci sono e da tempo: prostituzione ovunque, tra San Severo e Foggia; caporalato spinto e schiavistico in mano a pezzi del crimine organizzato; spaccio di stupefacenti dappertutto; racket; omicidi; furti e rapine; eccetera. Segnali di un declino evidente a cui lo Stato soltanto di recente ha deciso di dare, parzialmente, una risposta.
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Allora è giusto che si moltiplichino le iniziative antimafiose, tra le quali la celebrazione del prossimo 21 marzo a Foggia voluta da Libera. Come è giusto che si apra un dibattito nazionale su questa che non è una nuova mafia, ma una mafia vecchia in odore di rinascita. Una mafia sanguinaria che non disdegna l’internazionalizzazione e la globalizzazione, che diventa sempre più 4.0 ma non rinuncia a uccidere a colpi di carabina e kalashnikov… Come tutte le mafie di un certo peso.
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