Puglia infelice – A Bari, il bancomat dei voti si chiama Antonio Di Cosola
Sono ventidue. Non uno, due, dieci, ma ventidue i residenti in provincia di Bari raggiunti da provvedimenti giudiziari per aver, a quanto pare, favorito la costruzione di consenso elettorale per un candidato del centro-sinistra alle scorse regionali. Si tratta di un non eletto di calibro, candidato nella lista dei Popolari a sostegno di Michele Emiliano. Il dato più interessante è che un mezzano vicino al candidato si sarebbe avvalso della capacità di persuasione del figlio del neopentito capomafia Antonio Di Cosola. Non un pesce piccolo, ma uno squalo del capoluogo. La terza testa del triumvirato Parisi, Strisciuglio, Di Cosola.
Essersi recati presso questa famiglia, egemone nel territorio più interno della città, quella Carbonara dove per decenni i socialisti craxiani hanno tenuto meeting e tessuto rapporti discutibili con la popolazione locale, significa essersi sottoposti al dominio di un clan tra i più violenti dell’intera regione. I Di Cosola non sono amati, ma temuti. Perché fa parte del loro Dna mafioso l’uso delle armi e delle mani, dei coltelli e di tutto ciò che può servire per scannare nemici.
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Sono artefici di una carriera criminale che dalla terra li porta alla città, attraverso la ricettazione, la rapina, l’omicidio, lo spaccio. Fino al controllo degli appalti nell’edilizia popolare, al collocamento della manodopera edile e bracciantile (invadendo il Sud Est di Savino Parisi). Sono una famiglia egemone, che ha tentacoli oltre il comune di Bari e che, pertanto, risulta appetibile per una politica senza scrupoli e a corto di consensi. E questo è evidentemente accaduto.
A sostenere una candidatura è stato richiesto l’ausilio ben pagato di una famiglia ramificata, che magari aveva già tessuto rapporti di interesse con le figure coinvolte nelle indagini. Del resto, non si arriva a proporre una candidatura presso una famiglia così pesante senza la frequentazione mafiosa dello stesso clan.
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Siamo di fronte a una duplice rivelazione: 1) le mafie pugliesi possono spostare voti perché danno lavoro, producono welfare, garantiscono tutela; 2) la politica pugliese è trasversalmente attraversata da figure e cordate, lobby, che frequentano le mafie e i mafiosi. Questa doppia verità ha origini lontane.
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E a ben guardare, sono numerose le vicende pubbliche dentro le quali la mano dei clan è stata richiesta. Il rogo del Petruzzelli. Le assunzioni facili nell’Amtab, azienda di trasporto pubblico barese; nella Multiservizi, sempre nella città di Bari; e nelle altre municipalizzate addette alla raccolta dei rifiuti e all’assegnazione delle case popolari. Il volto sporco della politica indossa la maschera del perbenismo per nascondere i rapporti intensi tra strati ormai privi di consenso e società mafiose. In mezzo le zone grigie: la massoneria dei dirigenti pubblici e privati, degli universitari corrotti, dei funzionari che dettano legge sui bandi. Tutto pur di tenere in piedi un sistema politico ed economico ormai al tracollo.
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