“Progetto democrazia. Un’idea, una crisi, un movimento” di David Graeber
David Graeber, l’autore di Progetto democrazia (Il Saggiatore, 2014, traduzione di Daniela Antongiovanni, Marina Beretta, Francesca Cosi e Alessandra Repossi), è titolare della cattedra di Antropologia alla London School of Economics di Londra. Graeber è anche un attivista anarchico, e di questo dobbiamo tener conto nel soppesare e valutare la sua peculiare visione del mondo in questo cruciale momento storico, le sfide intellettuali e le suggestioni feconde che ci propone in questo saggio di grande chiarezza ed efficacia espositiva. Se l’intelligenza, in senso non esclusivamente antropologico, si misura pure dalla capacità di apportare sempre nuovi elementi alla comprensione della realtà che ci circonda, allora Progetto democrazia è una lettura che mi sento di caldeggiare a chiunque sia curioso e desideri estendere la propria consapevolezza negli ambiti e nelle discipline più disparate.
Graeber muove il suo discorso a partire dal successo di Occupy Wall Street, il movimento di cui è stato esponente di spicco, che nel settembre 2011 catturò l’attenzione del mondo a Zuccotti Park, a metà strada tra il cuore finanziario degli Stati Uniti (e forse del mondo intero), Wall Street, e il World Trade Center. Tutto aveva avuto inizio da un appello diramato dalla rivista «Adbusters», destinato a quei cittadini colpiti dalla crisi economica, senza più occupazione, oberati dai debiti, e si era lentamente trasformato in un’aggregazione contagiosa e trasversale, che includeva le fasce sociali più eterogenee: un’adunata oceanica che non si reputava soddisfatta dallo stilare una lista di richieste e buoni propositi da affidare ai governanti della cosiddetta “sinistra democratica”, col fine di stimolare un possibile cambiamento.
«Forse per la prima volta dall’epoca del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta», scrive Graeber, «l’ascesa di Occupy Wall Street segnava un successo delle strategie ghandiane in America, un modello basato su un certo grado di consenso da parte dei media. La nonviolenza, secondo Ghandi, mira a esacerbare un contrasto morale: smaschera cioè l’aggressività tipica di un certo ordine politico mostrando che le cosiddette “forze dell’ordine”, anche quando si trovano di fronte un gruppo di idealisti nonviolenti, non esitano a ricorrere alla pura e semplice brutalità fisica pur di difendere lo status quo».
In questo caso lo status quo è rappresentato dal solo 1% della popolazione, quella dei ricchi finanzieri di Wall Street che operano e legiferano per favorire esclusivamente i propri privilegi. Non sono più l’industria e il commercio a pilotare l’economia reale, bensì la pura speculazione dei più ricchi, con la creazione di complicatissimi strumenti finanziari, con l’obiettivo di indebitare una percentuale sempre più alta di cittadini e apportare nuove ricchezze a quell’1%. «L’opinione diffusa è che ci siamo spostati da un’economia basata sulla produzione di beni a un’economia il cui centro di gravità è la fornitura di servizi finanziari». Si può definire democratico un sistema politico che tutela i più ricchi e abbandona il 99% della popolazione?
Si interroga, Graeber, sul concetto di democrazia: analizza le definizioni, l’evoluzione del termine nella storia del pensiero occidentale e non. Ne esplora le sfumature semantiche, le applicazioni fattive, con grande competenza, nei dettagli. Approfondisce le implicazioni politiche, il travisamento demagogico, perpetrato sulla scorta del controllo sociale, del mantenimento del potere a esclusivo appannaggio di oligarchie che occupano posizioni di supremazia.
Quel che risulta più evidente in questo saggio è che nel corso dei secoli la parola “democrazia” ha spaventato i commentatori, i politici e i governanti (John Adams parla de «gli orrori della democrazia»).Per questi uomini l’incubo della democrazia “di stampo ateniese” (così com’è stata tramandata, almeno dal punto di vista ideale) era che se le assemblee municipali, i raduni di massa di agricoltori, meccanici e commercianti si fossero organizzati e istituzionalizzati avrebbero richiesto probabilmente la divisione della proprietà e l’abolizione del debito. I padri fondatori dell’America, che si ispiravano alla gloria di Roma, temevano tumulti, indisciplina, situazioni che avrebbero favorito le masse. Curioso il ricorso di Graeber all’esempio fornito dagli equipaggi di pirati agli albori del mondo atlantico, che eleggevano i loro capitani, ma erano pure abituati a confrontarsi con l’autorità (tramite il quartiermastro e il consiglio della nave) e ad avere rapporti contrattuali sia individuali che collettivi (codici di navigazione, metodi di divisione del bottino e percentuali di indennizzo per le ferite sul campo!). Ma vengono poste sotto la lente d’ingrandimento anche le prime colonie nordamericane e le amministrazioni delle comunità di frontiera influenzate dalle culture indigene dei nativi americani. «Se la storia scritta rispettasse la realtà dei fatti penso che dimostrerebbe che la vera origine dello spirito democratico, e probabilmente di molte istituzioni democratiche, si trova in quegli ambiti di improvvisazione che sfuggono al controllo dei governi e delle chiese […]».
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Nello sviluppo delle sue argomentazioni Graeber si pone una serie di domande retoriche e cerca di fornirsi plausibili risposte sul successo planetario e sullo sviluppo delle istanze democratiche diffuse da Occupy Wall Street. Il ruolo dei social network è stato fondamentale nella diffusione di una filosofia nonviolenta che trova ovunque una legittimazione diretta e “orizzontale” nel momento in cui circolano foto, idee e contenuti là dove, fino a ieri, i poteri forti cercavano di insabbiare, travisare e depistare l’opinione pubblica. Graeber descrive dall’interno le procedure, le tecniche, l’organizzazione dei manifestanti, gli equilibri di forza con l’esercito, la resistenza passiva e le regole d’ingaggio delle forze dell’ordine, sempre più sofisticate e deliberatamente repressive.
Il punto di vista peculiare di Progetto democrazia è sostanzialmente che una radicale trasformazione della società attuale in una società davvero libera è possibile intendendo come “società libera” quella in cui le relazioni tra le persone non devono essere forzate dalla minaccia costante di violenza. La vera rivoluzione, in una società anarchica così come la intende Graeber, si basa sulla convinzione che gli uomini dovrebbero esser posti nella condizione di poter gestire le questioni collettive su base egualitaria, utilizzando i mezzi che si dimostrano più efficaci. Quello che è funzionato in Occupy Wall Street non è detto che possa funzionare a lungo e in ogni situazione o epoca. I suggerimenti pratici di Graeber, come ammette l’autore stesso, devono godere del beneficio del dubbio: la strategia dell’occupazione è diventata un colpo di genio collettivo e involontario, un atto di sfida che poteva fare presa su tutti e che, come le grandi aggregazioni (del Global Justice Movement a Seattle, Praga, Washington e Québec per esempio) mirava a contrapporre un’immagine di vera democrazia allo squallido sistema di potere vigente.
Da antropologo l’autore non ha soluzioni immediate per la crisi le contingenze politiche di breve periodo. Il processo è lungo e laborioso e prevede uno smantellamento sistematico del capitalismo: dal sistema della produttività, alla riduzione delle ore di lavoro, a nuovi ambiti di occupazione e autorealizzazione, alla gestione di un tempo per perseguire ideali che i capitalisti manco si sognano, prigionieri di un sistema che stanno contribuendo a far implodere dall’interno.Il messaggio può essere utopico quanto si vuole, stritolati come siamo nella morsa della finanza, ma leggere David Graeber induce comunque uno scarto di riflessione: «Ho già sostenuto più volte un’idea molto semplice: è sufficiente smettere di pensare al “comunismo” come assenza di proprietà privata e tornare alla sua definizione originaria: “Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni” […].» Se non è un progetto di democrazia, questo, mi risulta difficile immaginare cos’altro possa ambire ad esserlo.
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