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Premio Strega 2020 – Intervista a Jonathan Bazzi

Premio Strega 2020 – Intervista a Jonathan BazziFebbre, uscito per Fandango, è un libro che ti rimane dentro, che stupisce, incanta e mette in discussione un’intera società.

L’esordio letterario di Jonathan Bazzi ci fa ritrovare tutti più vulnerabili, più fragili e, al contempo pieni di risorse, proprio come il protagonista, Jonathan anche lui. Sempre con il «th», come l’autore. La febbre che mette in discussione le sue certezze è dovuta a un virus, un virus di cui l’Occidente ha ancora molta paura, sebbene lo snobbi, ma del quale sa poco o nulla.

Finalista del Premio Strega 2020 Strega, Jonathan Bazzi ha raccontato alcuni dettagli che si celano dietro alla stesura di Febbre, ma anche la sua passione per la filosofia e il modo in cui viene percepito oggi l’HIV.

 

Scrivere Febbre è stato, in certa misura, un po’ come mettersi a nudo: sebbene protetto dal filtro della narrazione, si tratta pur sempre di uno scoprirsi. Siamo di fronte alla narrazione come vita, come esempio. È una narrativa che si incontra sempre meno spesso, preferendo l’evasione al sentimento del perturbante. Come mai la scelta di raccontare Febbre? Cosa ha scatenato questa tempesta, questo rivelarsi?

Questo è il mio modo di intendere la scrittura: usare le esperienze che vivo come materiale da scandagliare o risemantizzare, mettendo al mondo, attraverso le parole, tutto quello che nella vita quotidiana non emerge, non si vede. Tengo molto alla realtà, all’esperienza del corpo, a fare della mia vita il terreno di un incontro, di un’esperienza collettiva. Da questo punto di vista non sono particolarmente interessato alla costruzione di trame: credo che scrivere sia soprattutto una questione di sguardo, di stile con cui si maneggiano i significati. Forse ha un peso la mia formazione, che è filosofica, e non letteraria. La distinzione fiction/autofiction, romanzo/autobiografia, non mi appassiona molto. La trovo più nominale che sostanziale. Spesso pretestuosa.

 

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A Milano 3, partito da Rozzano, Jonathan di Febbre deve dimostrare di meritarsi il posto che occupa. L’atto di «aggiungersi» è sempre un atto doloroso, secondo lei, oppure dipende dal contesto?

Dipende dal contesto, a volte aggiungendoci troviamo anzi ambienti migliori, più in sintonia con noi rispetto a quelli da cui proveniamo. Certo a quell’età, durante l’adolescenza, tutto è sottoposto a forze intensissime, violente: il bisogno di appartenere, di essere inclusi – ma anche, specularmente, di escludere, difendersi – può essere feroce. L’adolescenza è un’età plutonica, di tensioni incredibili ma anche di grandi aperture al nuovo.

Premio Strega 2020 – Intervista a Jonathan Bazzi

Il bambino Jonathan ha un modo per sopravvivere all’infanzia, al mondo reale che lo circonda. Si crea un mondo possibile attraverso lo studio. Detto altrimenti, si crea un superpotere. È stato davvero salvifico il suo superpotere?

Direi di sì. Non è stato facile restargli fedele, per vari motivi: la balbuzie, il disinteresse in famiglia, la mancanza di risorse economiche, i tanti, troppi interessi diversi. Ma, pur con mille picchi e crolli, momenti di euforia e di interruzione, di blocco, alla fine posso dire di essere riuscito ad avvicinarmi parecchio alla visione ideale che avevo di me. Il merito è un po’ mio e un po’ degli eventi che, pur coi loro tempi, con la loro lingua non sempre immediatamente comprensibile, rassicurante, alla fine hanno sempre confermato le mie intuizioni su ciò che volevo diventare.

 

Il virus, la febbre: in che modo le ha cambiato la vita? Cosa non si sa ancora, a livello di opinione pubblica, sull’HIV? Cosa crede che spaventi le persone, ammesso siano spaventate?

Quei mesi del 2016 che racconto nel libro mi hanno reso un po’ più stabile, quieto, forse più paziente. È stata un’esperienza radicale: la paura, lo stato di allerta costante, la fine del falso mito dell’invulnerabilità. Ho convissuto per settimane col timore della morte: col timore e, a un certo punto, proprio con la sensazione di essere davvero arrivato a un punto di non ritorno. Inevitabilmente una cosa così ti riprogramma, è stato come aver scaricato un aggiornamento particolarmente debilitante. Prima del 2016 ero incline a una certa dispersione, quei mesi hanno potato un po’ di rami. Astrologicamente è l’azione di Saturno, il pianeta che impartisce lezioni attraverso l’erosione dell’ego.

Venendo alle cose che non si sanno dell’HIV: un dato recente che viene poco sottolineato è che le persone sieropositive in terapia non trasmettono il virus (si usa l’espressione U=U, undetectable equals untransmittable).Smettono di essere contagiose, la carica virale viene azzerata, e per questo non ha proprio più senso continuare a stigmatizzarle, è tempo di mettere al mondo un nuovo immaginario.

La paura, infine, su questo tema credo sia ancora molta. L’HIV, ancora oggi, porta a contatto con la finitezza della condizione umana. Per questo tendenzialmente le persone rimuovono il problema, non fanno il test, non si prendono cura della loro salute sessuale. È questione di maturità emotiva, qualcosa di non così frequente, ahimè, e lo dico con cognizione di causa: ho fatto il test per la prima volta a 31 anni, a causa della febbre.

Premio Strega 2020 – Intervista a Jonathan Bazzi

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Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega?

Scegliendo il look che indosserò e cercando di capire se il mio ragazzo potrà seguirmi. Non ho aspettative: per quanto mi riguarda ho raggiunto ben più di quello che desiderassi, anche considerato che si tratta del mio primo libro. Mi è stata data una possibilità meravigliosa, continuo a pensare che la parabola di Febbre sia un piccolo miracolo editoriale. Mi godrò la serata, con un occhio già al futuro, ai miei prossimi progetti. Spero non faccia troppo caldo. Odio il caldo.


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