Premio Strega 2019 – Intervista a Marco Missiroli
Fedeltà (Einaudi) di Marco Missiroli è nella cinquina finale del premio Strega 2019 con M. il figlio del secolo (Bompiani) di Antonio Scurati, La straniera (La nave di Teseo) di Claudia Durastanti, Il rumore del mondo (Mondadori) di Benedetta Cibrario e Addio fantasmi (Einaudi) di Nadia Terranova.
Ho intervistato l’autore di Fedeltà per chiedergli della scrittura, del mercato editoriale, delle ferite che tutti ci portiamo dietro e della finale che sta per arrivare.
Nel suo romanzo, il primo tradimento è quello verso se stessi. Tradire una voglia, tradire qualcosa che ci abita dentro in quanto esseri umani. L’atto della scrittura può essere ritenuto esso stesso il tradimento di un’idea, di una verità che mai si riesce a raggiungere?
No, scrivere, la scrittura è l’atto di avvicinamento alla fedeltà – se fatta davvero nel miglior modo possibile – verso noi stessi più grande che ci sia, secondo me. A parte il discorso della filiazione, ma questo lo lascerei da parte. Tentare la narrazione, tentare di riprodurre la realtà, tentare d’inventare una nuova realtà, tentare di descrivere ciò che è la realtà attraverso la scrittura è un atto di fedeltà profondissima o comunque un avvicinamento alla fedeltà profondissimo rispetto al contesto esterno. Quindi direi che è chiaro che molto spesso, quasi sempre, la scrittura non si avvicina mai all’idea iniziale, e si potrebbe pensare a un tradimento di ciò che volevi scrivere, ma è proprio lì l’atto di fedeltà: lasciare la strada maestra che ci si era prefissati e la premeditazione, e rispettare la fedeltà dell’azione anche se ci porta da un’altra parte. Anzi, molto meglio se ci porta da un’altra parte.
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Nei suoi romanzi ha trattato le tematiche più disparate, qual è il filo conduttore della sua narrativa?
Credo che nei primi romanzi, fino a Il senso dell’elefante, la questione era sempre l’evasione dalla prigionia, quindi i primi quattro Il buio addosso, Senza coda, Bianco e Il senso dell’elefante. Con Atti osceni in luogo privato credo che sia il diventare se stessi, o meglio ancora: l’erosione degli impedimenti per diventare se stessi. Questo anche in Fedeltà. Sono le due tematiche che ho sviluppato. Un filo conduttore in ogni narrazione è la paternità, intesa sia come padre avuto sia come padre diventato.
Perché scrive? Questa è una domanda che le avranno fatto già molte volte, ma io gliela pongo in maniera diversa. Cosa la spinge a scrivere? Quale ferita? Quale movimento interiore?
Non so rispondere perché scrivo. Perché forse rispondere sarebbe trovare una causa troppo definita e che sarebbe artificiale, sarebbe artificioso, sarebbe qualsiasi cosa che forse spiega ciò che uno scrittore non è. Cioè trovare dei moventi ben precisi. Però posso ritrovare degli stati d’animo che mi hanno portato in passato a iniziare a scrivere, e sono degli stati d’animo e dei sintomi profondi ma che non sono gli unici riconducibili al desiderio della scrittura. Uno di questi è il senso di solitudine, cioè la voglia di avere una solitudine minore leggendo il mondo esteriore, quindi non è solo una questione per essere meno soli, è una questione per ricollocarsi all’interno dell’esteriorità del mondo. Questo è forse il primissimo sentimento che mi ha portato a scrivere il mio libro di esordio.
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Perché pubblica? In un mercato editoriale impazzito, in cui, ogni giorno, le librerie vengono affollate da migliaia di titoli nuovi e differenti, e in cui le novità diventano presto libri del passato, cosa resta di una pubblicazione? E quanto tempo un libro riesce a sopravvivere?
È una domanda abbastanza strana. Uno pubblica perché? Se si scrive libri, e la scrittura ovviamente avviene a priori della pubblicazione, il movente è la scrittura e basta. Poi però esiste la pubblicazione. Pubblicazione significa che le tue storie vengono lette. È molto banale e il mercato comunque pubblica anche storie buone. Ha fame di storie buone. Per cui è un mercato ancora che è sano dal punto di vista della ricezione. Se c’è un libro buono nel cassetto io credo che questo venga pubblicato. Poi la sopravvivenza del libro è cambiata contemporaneamente alla contrazione del mercato: una volta un libro durava un mese, adesso dura tre settimane, due settimane, forse ancora meno, dipende dai periodi. Però se una storia è buona, se una storia è centrata anche sul tempo in cui si vive, e non vuol dire che deve essere per forza di attualità, l lettore è sempre più intelligente di qualsiasi osa, lo riconosce e lo veicola.
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Hai vinto il Premio Strega Giovani, questo vuol dire che il suo romanzo è arrivato nella pancia dei lettori più giovani; grazie, credo, a una scrittura di impatto, dove le immagini e i personaggi che evoca si possono equiparare a ciò che ci vive intorno ogni giorno. Cosa l’ha spinta ad affrontare questo determinato argomento? Quale molla le è scattata dentro?
Cercavo moltissimo che questo libro riuscisse a incamerare il tempo presente sia con la sua velocità sia con il suo modo di relazioni. Per questo il passaggio d’anime, il passaggio di testimone da un personaggio all’altro è così fluido, così quasi sottile e carsico. E volevo che fosse anche una situazione che fotografasse il malessere dei nostri tempi sentimentali. Probabilmente i ragazzi più giovani hanno visto questa condizione, da quello che mi hanno detto c’è proprio un’identificazione sulla fragilità che il libro fotografa.
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Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega 2019?
Non ci si prepara alla serata del Premio Strega, si aspetta e basta, vedendo quello che accade. Però devo dire che è un premio molto sballottante, emozionante. Bisogna proprio viverlo per capire che cosa significa. Sarò certamente molto emozionato.
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