Premio Strega 2018 – Intervista a Marco Balzano
Resto qui (Einaudi) di Marco Balzano è nella cinquina finalista del premio Strega, accanto a La ragazza con la Leica (Guanda) di Helena Janeczek, La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg (Neri Pozza) di Sandra Petrignani, Questa sera è già domani (Edizioni e/o) di Lia Levi e Il gioco (Mondadori) di Carlo D’Amicis. Il romanzo di Balzano, che abbiamo recensito all’uscita in libreria, si è aggiudicato 243 voti su un totale di 573, giungendo a una manciata di voti dai 256 della Ragazza con la Leica. Protagonista è una giovane donna di lingua tedesca che cresce, studia, si sposa, affronta la guerra, la dominazione fascista, il controllo nazista e la paura di vedere il suo paese sommerso per il folle desiderio di Mussolini di costruire una diga. Una donna che fa di tutto per non dover emigrare e lasciare il suo maso a Curon, nel Sudtirolo.
Abbiamo intervistato l’autore. Gli abbiamo chiesto quali sensazioni stia provando, abbiamo indagato alcuni dei temi caldi che il romanzo porta alla luce, abbiamo parlato della scuola e della lettura. Ecco cosa ci ha raccontato.
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Il rapporto tra i libri di Marco Balzano e i premi diventa sempre più stretto. Vincitore, tra i tanti, del Campiello nel 2015 con L’ultimo arrivato, ora è nella cinquina finalista allo Strega. Come sta vivendo questi traguardi?
Sono contento, ovviamente. E i premi sono senz’altro un sostegno e un incoraggiamento ad andare avanti con onestà, che per me vuol dire scrivere soltanto sotto la spinta di un’urgenza. Questa è la responsabilità che sento verso la scrittura. So, d’altra parte, che i premi non sono la misura del valore di uno scrittore: Leopardi, ad esempio, non ne ha mai vinti. Dunque bisogna sempre lavorare per tenere basse le aspettative e alta la concentrazione sulle cose da fare. Non sempre è facile, ma è un obiettivo che perseguo costantemente.
Un tema che ricorre sullo sfondo dei suoi romanzi è il tema della scuola. L’educazione e la formazione scolastica cambiano la vita, dimostrano le sue storie. Un’idea difficilmente attaccabile. Eppure, come i giornali hanno raccontato, gli insegnanti, che veicolano tutto ciò, sono stati spesso poco valorizzati. Da scrittore e da insegnante, come vede la scuola oggi?
Non c’è nulla di pedagogico nei miei romanzi. Assolutamente nulla, anzi mi piace sistematicamente tradire il romanzo di formazione. Più che la scuola mi interessa la parola, che è uno strumento di consapevolezza e di libertà. I maestri che si incontrano nelle mie storie lasciano spesso un’eredità fatta di parole e capita che i protagonisti la sappiano raccogliere o che ne comprendano almeno parzialmente l’importanza. Ho sempre pensato che i maestri bisogna anche volerli incontrare.
Vengo alla scuola. La scuola di oggi si regge prima di tutto sul senso del dovere e sulla buona volontà di chi ci lavora, anche quando è lasciato in solitudine e senza gli strumenti necessari per poter lavorare al meglio. Non c’è stata nessuna delle ultime riforme che abbia avuto una visione, una prospettiva, una capacità vera di cambiare in meglio il sistema. Forse c’è anche bisogno di una presenza e di un’attenzione maggiore da parte di studenti e di genitori. Insomma, resta un lavoro molto bello, ma si avverte l’assenza di una politica di qualità.
Nelle sue storie c’è chi emigra e chi fa di tutto per non emigrare. Scelta consapevole o inevitabile ricaduta di un suo modo di sentire il presente?
Non sono scelte in contraddizione. Reputo legittimo chi aspira ad andarsene perchè vede in un altrove possibilità maggiori di realizzarsi. Del resto è sempre stato così, l’emigrazione non è una caratteristica esclusiva del presente. L’uomo, da che è uomo, si sposta. L’emigrazione di oggi, come la scuola, ci mette di fronte a un grande bisogno di politica, di regole che permettano di creare relazioni e scambi proficui. Non dobbiamo dimenticare che è senza dubbio possibile convivere, incontrarsi, instaurare scambi: è possibile trasformare i confini in luoghi di incontro e non in muri. È cristianamente e illuministicamente possibile.
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«La vita era una questione di idee prima che di affetti», scrive a un certo punto. Oggi che parlare di idee sembra quasi anacronistico, non hanno forse vinto questa battaglia gli affetti?
È una frase che dice il marito di Trina, Erich, un montanaro silenzioso e deciso. È una frase da uomo di altri tempi. Oggi senz’altro siamo tutti più sentimentali. A me non preoccupa che vincano gli affetti, perchè gli affetti non escludono le idee. Mi preoccupano i sentimenti facili, i buonismi, che sono l’anticamera del moralismo e di altre cose anche più deteriori.
Lo stile con cui è scritto Resto qui è semplice, diretto ed efficace. Come ci ha lavorato?
Manzoni dice che il lettore deve avere una percezione di semplicità e fluidità e che non si deve vedere la fatica e il travaglio che stanno dietro il risultato finale. La semplicità è un valore perchè non annulla la complessità, anzi la valorizza e permette di accoglierla.
Leggendo i suoi romanzi mi pare di scorgere una poetica forte e chiara, che spesso manca ad altri affermati scrittori contemporanei. Come ho scritto ad aprile recensendo Resto qui per Sul Romanzo, i suoi sono libri «che sovrappongono una fervida fantasia a uno strato denso di Storia». Verso dove va la sua ricerca letteraria? Ci sono autori che la guidano in questo percorso?
So che il mio prossimo romanzo esplorerà un altro pezzo di storia, assolutamente contemporanea questa volta, di cui non si parla. Non so se sarà così per sempre e, sinceramente, non mi importa molto saperlo. Non voglio imbrigliare l’ispirazione, vorrei farmi prendere per mano dalle storie, sorvegliando soltanto che la scrittura resti la mia forma prediletta di consocenza e di esplorazione. Per ora mi guida un verso di Sereni che dice: «Quelle toppe d’inesistenza pronte a farsi movimento e luce. Non dubitare, parleranno». A me oggi interessa far parlare le toppe d’inesistenza.
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Una domanda al Balzano insegnante. Oggi, per una lunga serie di ragioni, gli studenti sembrano sempre più lontani dall’universo della lettura. Come cerca di invogliare i suoi alunni a leggere?
Li obbligo. Un libro al mese, per tutto l’anno e tre libri d’estate. All’inizio ne scelgo io uno per la classe intera, poi allargo progressivamente la gamma raccontando di che parlano i libri che propongo. Do sempre più spazio a generi diversi e ovviamente I contemporanei (italiani e stranieri) sono inclusi (senza però rincorrere le uscite editoriali perchè i classici a scuola devono avere la precedenza). Non vedo nulla di male nell’obbligare i ragazzi a leggere: non sempre si può capire in presa diretta il senso delle cose, chi impara deve fidarsi.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega?
Se riuscissi a capire come si fa a prepararsi a questi appuntamenti lo farei. Il fatto è che, almeno io, non arrivo mai preparato.
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