Premio Strega 2016 – Intervista a Eraldo Affinati
«Certi libri ti crescono dentro prima che tu li riconosca.» Sono le parole con cui si apre il suo itinerario alla scoperta di don Lorenzo Milani. Quando e come ha compreso che L’uomo del futuro (Mondadori) era pronto per essere scritto?
È un libro che sento dentro di me da tanti anni. Don Lorenzo Milani, prima ancora di averlo letto, l’ho conosciuto negli occhi dei miei studenti difficili: Romoletto che non ti ascolta; Valerio che vuole sempre entrare in ritardo in classe; Santino che abbandona la scuola. Ma il momento in cui ho pensato di comporre un testo sul priore è stato quando, insieme a mia moglie, Anna Luce Lenzi, ho fondato la Penny Wirton per insegnare l’italiano ai ragazzi immigrati. Mohamed e Hafiz hanno lo stesso problema linguistico dei bambini del Mugello. Con una sola differenza: oggi il discorso è planetario. I dannati della terra sono giunti fra noi. E ci chiamano in causa. Io, come scrittore e come insegnante, ho cercato di rispondere all’appello.
Raccontando il suo primo viaggio a Barbiana, lei definisce la tomba del priore come «una pietra sullo strapiombo». Può esplicitare ai nostri lettori il senso dell’immagine scelta? Qual è lo strapiombo in questione?
Don Lorenzo Milani nella sua vita ha fatto un salto nel vuoto: i mocassini lucidi di Pierino si sono trasformati nelle scarpe sporche di fango del priore. Lo sappiamo. Ma nel momento in cui ho visto la sua tomba, ho avuto l’intuizione lirica da cui è nata quell’immagine: forse anche da morto questo profeta, questo maestro, questo scrittore, questo sacerdote, questo pedagogo, continua a interrogarci, a sfidarci, a chiederci di realizzare l’azione che lui è stato costretto a interrompere. Fino a che punto noi, venuti dopo, possiamo dire di rispondere? Troppo spesso, vedendo lo stato della scuola italiana, ho l’impressione che molte delle sue richieste siano rimaste disattese. E dove sono gli adulti credibili che lui aveva indicato come modelli formativi da proporre alle giovani generazioni? Ecco perché ho scritto «pietra sullo strapiombo». Ma è la prima pagina dell’Uomo del futuro. Nei capitoli successivi ho cercato queste persone in ogni parte del mondo. E le ho raccontate in dieci capitoli composti in prima persona: la suora di Benares, il maestro arabo, l’educatore tedesco, il padre giuseppino di Città del Messico. Se noi docenti, ma anche noi genitori, noi padri e madri, noi scrittori, perdessimo la speranza, non potremmo più entrare in classe, non potremmo nemmeno aiutare a crescere i nostri figli.
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Nel disegnare il ritratto di don Lorenzo, lei gli si rivolge direttamente e con il “tu”. Nel tempo, quanto questo dialogo a distanza si è fatto intimo e profondo?
Se la letteratura non diventasse carne e sangue, sarebbe soltanto intrattenimento, ghirigoro, giallo, discorso, fantasia. Oggi don Lorenzo mi spinge a legittimare la scrittura con l’esperienza concreta delle cose. Mi esorta a prendere posizione. Mi chiede di superare la tipica perplessità novecentesca: quella che ti fa restare al palo, prigioniero delle tue ossessioni, delle tua malizie, delle tue visioni, della tua stessa pretesa eleganza. «Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo»: questa frase del priore è una spina nel fianco di molte nostre ritrosie, di molte nostre indifferenze. Dobbiamo esporci, rischiando di sbagliare, senza tenere le mani in tasca, né rinunciare al rigore critico. Il priore è stato molto esigente con sé stesso. E continua a esserlo verso chi decide di ripercorrere le sue strade.
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Don Milani si è speso molto per i suoi studenti, ma proviamo a tracciare cosa ne ha ricevuto in cambio sul piano umano?
Lui disse di aver ricevuto assai più di quanto avesse dato. È la sensazione che provano tutti gli insegnanti quando si mettono veramente in gioco: il ragazzo che hai di fronte ti conduce in un luogo che tu non prevedi. Che non avevi messo in conto. Ti fa capire qualcosa di te stesso. Ti obbliga a parlare coi tuoi fantasmi interiori. Ti fa uscire dal mansionario. Ti spiega che non basta svolgere bene il proprio lavoro. Bisogna metterci l’anima. Rispettare le persone. Incarnare di fronte all’adolescente il limite che loro vorrebbero superare. Don Milani comprese a San Donato di Calenzano e a Barbiana il senso della scelta radicale che aveva compiuto. E noi, in forme nuove, diverse rispetto alle sue, dovremmo fare altrettanto.
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La sua eredità non sempre è apprezzata. Perché sembriamo così refrattari al suo insegnamento?
Perché quello che lui ci chiede è molto oneroso. Se uno si limitasse a spiegare il programma e dare i voti, sarebbe tutto più facile. Trasportare un contenuto della tradizione dal passato al presente, metterlo di fronte all’allievo e farselo ripetere allo stesso modo era ciò che faceva la mitica professoressa. Che non era cattiva. Ma sbagliava nel fondo. La scuola deve favorire percorsi conoscitivi. Oggi noi dovremmo ripristinare le condizioni dell’esperienza che non può restare solo virtuale, dovrebbe essere integrale. E questo è un discorso che non riguarda più solo l’istruzione, ma tutti noi.
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Il sottotitolo del libro è Sulle tracce di don Lorenzo Milani. Dove l’hanno condotta quelle tracce?
A volte, quando sono triste, penso che mi abbiano condotto in un fossato. Verso quelle che ho definito «le strade storte, i tetti sfondati, il fango rappreso, le porte rotte, le stanze fredde, i sandali bucati, la vita senza parole, le croste sui ginocchi dei bambini balbuzienti». Altre volte, quando mi rianimo o forse m’illudo, penso che le tracce di don Lorenzo arrivino fino alle porte della Penny Wirton dove centinaia di volontari in tutta Italia, uscendo dalla logica retributiva che ci governa, insegnano gratis la lingua italiana ai cosiddetti minori non accompagnati.
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Come si sta preparando alla serata finale del Premio Strega 2016?
Ho già partecipato allo Strega, diciannove anni fa, con un libro su Auschwitz: Campo del sangue. Conosco le regole, lo scenario, l’atmosfera. Il fatto che un libro su don Milani sia entrato nella cinquina dei finalisti lo considero abbastanza significativo, anche per spingere i giovani a conoscere meglio questo grande italiano.
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