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Premio Strega 2016 – Intervista a Edoardo Albinati

Premio Strega 2016 – Intervista a Edoardo AlbinatiCominciamo con una domanda diretta: perché questo titolo, La scuola cattolica?

L’alternativa avrebbe potuto essere in un primo momento La scuola dei preti, così come veniva chiamata nel contesto colloquiale la scuola che frequentavamo da ragazzi. Però si è pensato che questo potesse creare un equivoco, facendo pensare alla scuola dove vanno i preti, ovvero il Seminario. Quindi è rimasta la definizione abbastanza tecnica, che a me piace comunque, che è La scuola cattolica, ovvero la scuola privata religiosa.

 

Alcuni critici hanno definito il suo romanzo, edito da Rizzoli, come la grande narrazione della borghesia italiana...

Il romanzo, sempre che sia un romanzo, si può prendere da diverse angolazioni. Una è senza dubbio quella in cui al novanta per centro si svolge, ovvero l’ambiente borghese. Però, allo stesso tempo potrebbe essere definito il romanzo della scuola, dell’educazione, della sessualità, dell’adolescenza, della violenza, sia spiccia sia sessuale. Questi temi si incrociano tutti in uno stesso quartiere, quello borghese appunto, e l’elemento borghese rappresenta senza dubbio il collante che tiene insieme tutto, non l’argomento del romanzo. Fa anche da connessione a tanti elementi disparati, a volte ordinari, altre volte drammaticamente eccezionali. Se così fosse, sarebbe l’argomento di ben altri romanzi italiani, a cominciare da La coscienza di Zeno di Italo Svevo, se penso a un grandissimo romanzo borghese.

 

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Borghesia, scuole cattoliche e delitto del Circeo. Esiste una connessione concreta tra quest’ultimo e i primi due elementi, come qualche lettore del suo libro ha evidenziato? Oppure si tratta solo di elementi contestuali?

Il lavoro dello scrittore è un lavoro di connessione, non è un lavoro di ricerca di cause ed effetti, che è, invece, un lavoro di tipo scientifico e psicologico. Lo scrittore mette insieme le cose, non dà le spiegazioni causali. Non c’è dubbio che gli elementi che lei ha citato stanno tutti uno accanto all’altro. Lo scrittore li cuce insieme anche usando la fantasia, la memoria e la realtà. Io non dico che uno ha ucciso una ragazza perché era figlio di un avvocato o perché andava a scuola dai preti, sarebbe ridicolo farlo e mi guardo bene dal farlo. Mi limito a mettere insieme pagine e pagine, anche perché la scrittura è questo, ovvero una lunga fase di connessione di cose diverse e disparate tra di loro, creando quasi una sorta di spirale, dei giri sempre più profondi dentro questa realtà. Anzi, quando prima elencavo le chiavi di lettura del romanzo, dimenticavo quella “generazionale”.

Premio Strega 2016 – Intervista a Edoardo Albinati

A ben pensarci, è proprio questo l’argomento del romanzo, forse più questo degli altri e certamente più della borghesia. I romanzi costruiscono e inventano una realtà che diventa subito fragile: il mio è un romanzo storico-archeologico, come Guerra e pace o I promessi sposi, perché bastano questi quarant’anni di distanza per parlare di un mondo che di fatto non c’è più. Certamente i fatti che ho raccontato, veri o inventati, avrebbero potuto svolgersi solo in quel contesto, il che non li rende locali o datati, bensì più vivi perché la pagina li fa rivivere. La borghesia di cui io parlo non esiste più e si è estinta.

Quanto le è servito questo tempo di decantazione e come lo ha elaborato nella fatica della stesura del suo libro?

Ci sono due tipi di decantazioni: una riguarda i trent’anni che sono passati da quegli eventi fino a quando ho deciso di iniziare a lavorare al libro, anche se, in questo caso, parlerei prima di crescita e poi di invecchiamento mio personale. Poi c’è stata la decantazione della scrittura che è stata molto lunga, tanto da essere essa stessa un’epoca della mia vita. Gli ultimi dieci anni li ricorderò per tante ragioni, ma soprattutto perché sono stati gli anni della scuola cattolica. Quello che si era già ben frollato dentro di me in trent’anni, fino a quando poi Angelo Rizzo è tornato a uccidere nel 2005, ha avuto il tempo di depositarsi in questo tempo di scrittura molto faticosa e sperimentale, perché alla ricerca del romanzo stesso, alla ricerca di ciò di cui io volevo realmente parlare e dei personaggi che volevo rendere memorabili. Tutte queste domande hanno avuto risposta dopo cinque/sei anni o addirittura nell’ultimo anno di lavorazione, ovvero nel 2015; e non solo per ciò che attiene allo sviluppo della trama, ma anche per il rilievo dei personaggi. Ad esempio, al personaggio di Rummo ho dato rilievo solo nell’ultimo anno di lavorazione, e allora sono tornato indietro, scrivendo degli episodi su di lui, arricchendolo perché mi sono accorto che c’era bisogno di lui. Forse, se la stesura fosse stata più rapida le cose sarebbero andate diversamente e anche le dimensioni stesse del romanzo riflettono questa laboriosità. La sua lunghezza è stato il tempo della sua scrittura e però registro un dato interessante: mi sembra che i lettori vivano, naturalmente in maniera più concentrata, le stesse fasi che io ho attraversato nello scrivere, ovvero replichino nella lettura le mie stesse difficoltà, i momenti di noia, di fatica e di esaltazione. È uno di quei casi, abbastanza rari, in cui il lavoro dello scrittore e – diciamolo – il lavoro del lettore che intraprende la lettura di queste 1300 pagine riescono ad andare di pari passo: magari dopo un paio di mesi si fermerà, poi riprenderà, poi si stuferà, seguendo un ritmo altalenante, lo stesso di chi l’ha scritto.

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Una bella soddisfazione, non c’è che dire…

Sì, e anche una sorpresa. Né io, né l’editore, né i primi lettori potevamo giurare su questo fenomeno. Io intuivo che potesse esistere quello che io chiamo “il lettore estremo”, perché spesso si fa ricorso all’espressione “lettore forte” che è uno che legge tanto. In questo caso non è uno che legge tanti libri, ma ne legge uno solo, ma molto lungo. Dunque, è un lettore a cui piace farsi incantare, torturare, annoiare, avere un contatto prolungato, una specie di fedeltà al proprio stesso sforzo. Chi lo finisce ha compiuto un’impresa. Sembra sparita dal dibattito culturale italiano l’idea che molta gente si affezioni a cose che gli costano anche fatica, impegno o dolore. Sembra che la società sia composta solo da gente a caccia di emozioni forti, immediate e veloci, ma è un falso sociologico, oltre che mediatico. Non è vero che è sempre “tutto e subito”, anche perché non è poi così soddisfacente.

 

Non dimentichiamo che, proprio in questo senso, Il Signore degli Anelli di Tolkien riscuote ancora tanto successo…

Esatto. È proprio così. La controprova arriva proprio da quelli che uno definirebbe ragazzotti esaltati che sono capaci di maratone incredibili di lettura. Diciamo che è un investimento di sé e la gente ha voglia di investire sé stessa da qualche parte.

Premio Strega 2016 – Intervista a Edoardo Albinati

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A un certo punto del romanzo, descrivendo sé stesso e i suoi compagni di scuola, lei scrive: «Eravamo sognatori abbastanza privi di fantasia. La principale stimolazione ci veniva dalla televisione e dalle barzellette sporche. […] Nascere maschi è una malattia incurabile.» Perché è una malattia, e quali sono i sintomi?

Perché mi sembra corrispondere di più alla realtà delle cose. Meglio definirla come malattia che invece come concezione, all’epoca molto valida o ritenuta tale – mentre oggi è definitivamente andata in pezzi – dell’uomo come sinonimo di completezza, di virilità, di dominio di sé e del mondo. Si è tanto ragionato sull’umanità femminile, dando per scontato che quella maschile fosse il dato di partenza, e invece non è così perché esistono problemi di genere soprattutto nei maschi, evidenziati in maniera drammatica durante il femminismo, cioè quando le donne hanno cercato di chiarire la loro identità. Ma quel modello di umanità maschile era sostanzialmente inattingibile, ha ispirato millenni di storia, ma nessun maschio nella realtà lo ha realizzato. Da qui era necessario provare a rivedere l’adolescenza maschile, non solo nella chiave della violenza e dell’aggressività, che pure c’era, ma anche nella chiave della debolezza, dell’insicurezza e della fragilità. Credo, dalla mia esperienza, che gli uomini siano molto più insicuri delle donne: l’insicurezza viene risolta con il suo opposto, con la spacconeria e la boriosità, che è il sintomo della vera difficoltà a costruire sé stessi. L’identità maschile è fatta quasi solo da riporti frustranti perché, talvolta, troppo elevati. Quasi dei Frankenstein, dei mostri costruiti con pezzi di virilità attaccati insieme. I fenomeni cui assistiamo in questi ultimi anni hanno cominciato a baluginare quando è emersa l’emancipazione femminile che all’epoca veniva rintuzzata con un tentativo di restaurare un ordine che è andato felicemente perduto e in pezzi. I maschi, insomma, prima un’identità ce l’avevano, John Wayne c’era. Oggi non c’è neanche più quello e ognuno il puzzle di sé lo costruisce non so con quali riferimenti.

Premio Strega 2016 – Intervista a Edoardo Albinati

Come si sta preparando alla serata finale del Premio Strega 2016?

Sin dall’inizio sono sempre stato molto calmo e felice dell’entusiasmo altrui, sia per la candidatura sia per le vendite. Quindi, approfitto della gioia “riflessa” di chi mi sta vicino, mentre personalmente, dopo dieci anni di lavoro al libro, in particolare dopo gli ultimi due, mi sento svuotato e dentro di me c’è calma piatta, ma non perché io sia così. Quello che doveva succedere, per me, è già successo nella lavorazione e tutto ciò che viene, come si dice a Roma, “è grasso che cola”. Sto uscendo in questi giorni dalla lettura di un romanzo meraviglioso che è Vita e destino di Vasilij Grossman, rispetto al quale il mio è una bolla di sapone: trovo giusto che uno scrittore si compari con i grandi della letteratura, non solo con il proprio piccolo mondo o con la contemporaneità, la bilancia deve essere sempre la stessa. Però sono tanto ricompensato dal fatto che questo mio libro susciti riconoscenza, gioia, entusiasmo e ciò non era scontato. Sono sempre stato molto fiducioso del mio lavoro. Se mi chiedete se sono emozionato, lo sono fino a un certo punto.


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