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Premio Strega 2015 – Intervista a Mauro Covacich

Premio Strega 2015 – Intervista a Mauro CovacichUna prima sensazione a proposito della quale vorrei confrontarmi con lei. Pur essendo una raccolta di racconti, lei ha definito La sposa (edito da Bompiani) «Un unico flusso di pensieri sul presente. Non sulla realtà, ma sul presente, sulle forme reali e surreali della vita che conduciamo in questo inizio secolo», un flusso unico che procede per immagini, frammenti. Solo così è possibile raccontare questa nostra contemporaneità?

Il mio primo movente non è raccontare il presente, diciamo che mi ritrovo a farlo mentre inseguo un altro obiettivo. In questo libro ho tentato di fondere insieme tre tipi diversi di materiali – la cronaca, l’invenzione pura e l’autobiografia – per esplorare un sentimento che sento prevalere nelle vite che mi circondano, e nella mia. Si tratta di un sensazione di mancata compiutezza, un sentimento malinconico del quale i diciassette pezzi del libro non sono altro che variazioni sul tema. La scommessa è riuscire a fondere quei tre materiali nell’unità di una voce e di uno sguardo. Ovvero, di uno stile.

 

Secondo alcuni critici, i personaggi protagonisti di questi racconti sembrano vivere in uno stato di incompiutezza, anche se a me sembrerebbe più una situazione di indeterminatezza o sospensione. Potrebbe essere questa la chiave per raccontare gli uomini e le donne della società liquida?

Sì, appunto, come dicevo, incompiutezza. Ma certo possiamo chiamarla anche sospensione. Il mio approccio non è mai sociologico. A me non interessa la realtà, che è sempre una forma di rappresentazione, a me interessa il reale, che è, come dice Philippe Forest, il luogo nel quale lo scrittore fa esperienza del vero. Il reale c’è, tutti lo avvertiamo, ma è inattingibile, la sociologia non potrà mai indagarlo. Certo, poi non credo che Bauman sbagli nel sostenere che la messe di opportunità fornitaci dal presente è solo un’illusione destinata a generare insoddisfazione e mutevolezza.

Premio Strega 2015 – Intervista a Mauro Covacich

Alcuni racconti pongono l’attenzione su esistenze che portano al centro della loro vita una sorta di duplicità, di ambivalenza, tra l’immagine pubblica e quella privata che emerge in modi differenti. A cosa è dovuta l’attenzione verso questa frattura (sempre che di frattura si possa parlare)?

Non lo so, io cerco di mettere in tensione le cose che so con quelle che non so. Cerco di sottoporle a una specie di collaudo, le spingo al limite per vedere fino a dove reggono. Lo faccio con me stesso innanzitutto. Verifico le contraddizioni, mi interrogo in un processo infinito dove sono sia il giudice che l’imputato. Poi, allargo il campo... facciamo un esempio: Wojtyla è stato un grande uomo di Chiesa, ha puntato molto anche sulla sua presenza fisica, sull’aspetto umano e carnale della sua esperienza sulla terra. È stato un uomo di azione, in gioventù anche molto sportivo e molto attivo nella vita sociale. Ora, è possibile immaginare che non abbia avuto tentazioni? Quale sarà stato, da giovane sacerdote, il suo rapporto con il desiderio? Eccetera eccetera.

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Il racconto che apre il libro (a cui dà anche il titolo) è dedicato alla figura di Pippa Bacca. Cosa l’affascina di questa donna e artista, nonché sposa del mondo?

Mi ero imbattuto in una piccola mostra di Pippa Bacca nel 2006 a Milano e ne ero rimasto molto colpito. Due anni dopo, quando è stata uccisa, ho seguito con attenzione la vicenda. Quella figuretta in abito bianco seduta sul guard rail in attesa di un passaggio era un’immagine di straordinaria potenza. Quel viaggio performance mi è parso subito il viatico ideale per un libro sull’incompiutezza: lo slancio verso l’assoluto di un’artista, interrotto nel modo più brusco che si possa immaginare. Tra l’altro, Pippa Bacca porta nel suo gesto tutta l’ingenuità e la vulnerabilità che ogni vero arrischiamento artistico comporta. L’ironia e il cinismo sono le armi della quotidianità, le utilizziamo tutti per schivarci eludere eccetera. L’arte richiede il rischio di un’esposizione totale.

Premio Strega 2015 – Intervista a Mauro Covacich

Alcuni personaggi ritornano in più racconti, sebbene con ruoli diversi. È solo un modo per conferire un senso di unità al libro oppure c’è dell’altro?

Questo libro è una specie di concept album: pezzi che girano intorno alla stessa idea. Il mio concept album vuole anche essere un romanzo destrutturato, ovvero il romanzo meno romanzo che ci sia. Ecco allora l’idea di creare fili sottilissimi che legano personaggi e ambienti dei vari pezzi. Un modello? The Wall dei Pink Floyd. Un altro modello? Il Decalogo di Krzysztof Kieslowski.

 

Come si sta preparando alla serata finale del Premio Strega 2015?

Corro un’ora al giorno, il resto lo passo giocando a scacchi in rete.


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