Premio Strega 2014 – Intervista ad Antonella Cilento
Lisario, o il piacere infinito delle donne, edito da Mondadori, pone al centro due protagoniste: la Napoli seicentesca e barocca, che funge da scenario della vicenda, e Lisario Morales, che disobbedisce alla volontà maschile degli adulti addormentandosi in una dimensione di finto abbandono. Possiamo dire che in Lisario vengono riproposte alcune caratteristiche tipiche di Napoli?
È un interessante accostamento quello fra la bella addormentata e il bosco in cui si addormenta… Napoli è da sempre, dai tempi di Andreuccio da Perugia fino a La Capria, metafora vivente della foresta, del luogo oscuro, fascinoso ma pericoloso, in cui l’ingenuo si perde. E che la città sia una bella addormentata in senso letterale, cioè che viva in un tempo sospeso, è stato notato da molti scrittori, penso a Domenico Rea e al suo Diario napoletano dove indicava un orologio pubblico fermo perché rotto come manifestazione del tempo bloccato della città, un tempo eterno, che riesce a essere esatto almeno una volta al giorno, quando si fa effettivamente l’ora in cui sono bloccate le lancette. Però, penso a Lisario soprattutto come a una prigioniera che tenta e poi riesce nell’evasione: libera nel corpo nonostante handicap e servaggi, libera nella mente, perché sa leggere e scrivere, benché muta nel fisico, ironica in un mondo di seri e rigidi poteri, Lisario forse incarna uno degli aspetti effervescenti e vulcanici della città, ma è dalla città e dal carcere del castello paterno e poi maritale che tenta di fuggire inseguendo l’amore e se stessa. Dunque, Lisario e Napoli sono due metafore che convivono, se vogliamo.
Il desiderio, quasi ossessivo, di Avicente di giungere alla scoperta del “divino segreto” delle donne, del loro piacere infinito, richiama, per certi versi, la tradizione alchemica napoletana. Basti ricordare, ad esempio, le decorazioni della Farmacia degli Incurabili di Napoli, che rimandano a simbologie femminili (la sirena Partenope, l’allegoria dell’utero virginale nella controspezieria e l’utero sezionato della grande sala). Quali aspetti di questa tradizione rivivono nel suo romanzo?
L’ossessione per il corpo delle donne e la loro capacità riproduttiva è molto antica, risale senz’altro ai tempi del matriarcato, alle civiltà pre-cretesi quando gli uomini, felicemente utili al matriarcato, scoprirono che non era solo una magia femminile concepire, ma un atto condiviso. La sirena, ad esempio, è un simbolo pagano e contadino riassorbito dal cristianesimo che indica proprio il gesto del parto, le due code come due gambe aperte, infatti ce n’è una sulla testa di Lisario quando lei partorisce nella campagna di Pitigliano. La tradizione alchemica napoletana – e non solo napoletana – raccoglie sapienze e informazioni antichissime e le traduce nella scienza che nasce proprio negli anni in cui il romanzo è ambientato. I due aspetti convivono e nel romanzo si manifestano spesso, attraverso il voyeurismo e la cialtroneria di Avicente, nel personaggio del notomista tedesco, Tode, nel Lazzaretto o Ospedale della Pace, nella figura dissezionata dell’androgino Bella Mbriana. Uovo, utero e sirena – ma qui il discorso sarebbe lunghissimo – sono figure greche della città, che hanno per altro a che fare con i temi virgiliani, così ben esplorati dal maestro Roberto De Simone…
Lisario, o il piacere infinito delle donne è stato spesso accostato ai quadri di Micco Spadaro, in particolare alle sue folle, insieme tragiche e festanti. Quanto di questa Napoli seicentesca sopravvive ancora oggi?
I quadri di Spadaro sono un grande esempio di rivoluzione pittorica in cui non giganteggiano più i ricchi e i potenti o le figure mitologiche o sacre ma il popolo minuto e tutti sono all’altezza di tutti, piccoli e accomunati dal disastro (spesso) della Storia: sono parte integrante di questo romanzo come di un mio precedente libro, Una lunga notte, uscito ormai quattordici anni fa, con cui Lisario compone un ideale dittico. Spadaro ritrae le folle, la peste, le eruzioni, la rivolta di Masaniello: in uno di questi quadri è la testa di Peppe Carafa, potente e malfattore, portata su una picca dai rivoltosi. Molta di questa Napoli violenta e disperata, ma anche veramente umana, è viva, nonostante la globalizzazione, peccato vederla all’opera solo allo stadio, ormai, mangiata e comprata com’è dai poteri forti e delinquenziali… Ma è una Napoli di cui avere sempre timore e sospetto, spesso è sanfedista e mangia cotti i rivoluzionari, come scoprirono a loro spese i protagonisti illuminati e illuministi della rivoluzione del 1799… Questa visceralità, in senso ampio, della città è spesso la sua forza e il suo ostacolo più grande.
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Lisario legge di nascosto Cervantes e, sempre in segreto, scrive lettere alla Madonna. Il sacro e il profano in una dimensione tipicamente napoletana?
Lisario legge di nascosto le Novelle esemplari di Cervantes, e non a caso, poiché le Novelas sono l’esempio forse più moderno della scrittura dell’inventore del romanzo come oggi noi lo concepiamo: realistiche, avventurose, erotiche e disincantate, solitarie e internazionali, raccolgono storie intercontinentali (per la prima volta, storie che narrano delle colonie oltre oceaniche), storie di camorra (la prima rappresentazione storica del fenomeno), storie di donne abusate, sfruttate e vendute che tentano il riscatto. Quando Lisario legge del mondo scoprendo Cervantes non può che scrivere alla Madonna (e non a Dio o a un santo, dei molti che popolavano l’immaginario secentesco), innanzitutto perché è donna, come lei, e come lei capisce più cose di quante ne capiscano gli uomini, e poi perché, in fondo, sta scrivendo a se stessa, si sta auto sostenendo nella difficile arte sperimentale del vivere… Certo, però, sacro e profano hanno una loro speciale e sincretica versione in Napoli da sempre e questo romanzo ne è ovviamente intriso: Avicente che sogna i Teatini, Sant’Ignazio e Suor Orsola Benincasa in versione, come è stato detto, Muppett Show, ad esempio…
La storia di Lisario appare quanto mai attuale, soprattutto alla luce di alcuni violenti casi di cronaca degli ultimi tempi. Cosa può dire a una donna contemporanea la figura di Lisario? Cosa può ispirare?
Le donne muoiono, per citare un titolo oggi dimenticato di Anna Banti: muoiono da sempre e sempre più spesso sono oggetto della furia maschile, dell’incomprensione, della violenza del potere. C’è uno spaventoso maschilismo di ritorno, specie nel nostro paese, una follia collettiva. Lisario parla alle donne che subiscono violenze familiari e violenze pubbliche, alle ragazze che, come è capitato alla mia generazione, credevano e credono di essere al sicuro mentre la nostra rivoluzione non è finita, è appena cominciata. Ogni lettrice troverà, volendo, una parte del suo femminile, anche se il tempo di Lisario è trascorso e con esso una storia diversa dall’attuale. Certo, pensavo a Suor Orsola, esposta dopo la morte per settimane intatta, e a Eluana Englaro, insieme, quando descrivevo Lisario addormentata ed esposta dal marito come esperimento scientifico. Chi vuole, troverà legami con l’oggi, come sempre. Esattamente come un romanzo storico non smette d’essere proiezione di chi scrive qui ed oggi. Ha detto bene dopo la Cinquina Domenico Starnone che I Promessi Sposi sono un romanzo sul 1825 e non sul Seicento…
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