Premio Galileo 2015 – Intervista al Prof. Vittorino Andreoli, Presidente di Giuria
Giunto alla nona edizione, il Premio Galileo ha ormai consolidato la sua vocazione: avvicinare i giovani alla scienza, puntando sul coinvolgimento diretto di studenti della scuola superiore di secondo grado. Per quali ragioni, proprio mentre le nuove tecnologie riempiono la vita di tanti adolescenti, sembra essersi concretizzato un disinteresse dei giovani verso la scienza? E cosa può fare quest’ultima per provare a colmare tale distanza?
Il disinteresse verso la scienza è espressione della società italiana del tempo presente. Atteggiamento di cui certamente risentono anche i giovani. Domina il sapere magico, l’improvvisazione delle risposte ai temi della conoscenza e acritica nel prendere le decisioni. Non c’è riconoscimento dei giovani affinché, usciti da un curriculum di studi scientifici, possano esprimere le proprie capacità nel nostro Paese, dove la ricerca scientifica è persino combattuta. Ma non servono i cahiers des doleances bensì una svolta che possa promuovere la mentalità scientifica, prima della stessa ricerca. Sostenere che la scienza è una modalità di comprensione dei problemi dell’uomo, che non ha la pretesa di legarsi alla verità, bensì a un sapere che è oggettivo, nel senso che può essere verificato da tutti in un percorso (metodologia) che ha come fondamento la ragione e non l’emotività. Una “verità” semmai storica, che pertanto va sostenuta “fino a prova contraria” della stessa scienza.
E posso testimoniare che il Premio Galileo è veramente centrato sui giovani e che si fonda su una quantità di testi scientifici, pubblicati con una grande capacità di comunicazione scientifica. I protagonisti, i lettori, sono proprio i giovani.
Alcune tra le opere selezionate per la cinquina finale di quest'anno toccano argomenti di grande attualità che hanno inciso e continuano a incidere sull'opinione pubblica. Mi riferisco, in particolare, ai terremoti (I Terremoti. Quando la terra trema) e agli organismi geneticamente modificati (Il caso OGM. Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati), temi rispetto ai quali è di sicuro necessaria una maggiore e più consapevole informazione. Quale può essere, in questi casi, il ruolo della divulgazione scientifica? E quali potrebbero essere gli errori da evitare per sfuggire a facili sensazionalismi?
La scienza ha una parte che possiamo definire generale (di base) e un’altra applicativa (pratica). Entro i compiti di presidente della giuria del Premio Galileo 2015, ho cercato che quest’anno venissero selezionate opere di entrambe le “specie” per poter mettere insieme l’occasione di affrontare temi di grande attualità , come quello dei terremoti che sono eventi scientificamente definibili e che rappresentano un notevole rischio per la nostra penisola, e gli Ogm (organismi geneticamente modificati) a cui si lega il problema della produzione alimentare da un lato e la diminuzione di coltivazioni che richiedono interventi di protezione delle colture a base di sostanze chimiche che possono diventare fortemente inquinanti. Il tema alimentare è parte della grande proposta dell’Expo 2015 sull’alimentazione del pianeta. I testi a questo proposito selezionati forniscono un chiaro e dettagliato apporto del sapere scientifico e dunque si pongono come uno strumento per affrontare da parte di tutti, e dei giovani in particolare, questi argomenti alla luce del sapere sperimentale. La scienza come modalità di raggiungere un sapere utile per assumere decisioni di ordine sociale. Anche in questi casi l’atteggiamento non è di sostenere una “lotta” tra i saperi, ma di invitare a valutare sempre i risultati anche del sapere scientifico, che in particolare sul tema degli Ogm sembra proibito.
Ecco il ruolo della divulgazione scientifica che di sicuro non fa mai sensazionalismo proprio perché si fonda su dati raggiunti razionalmente. Un sapere che semmai cerca di limitare l’irrazionalismo, e l’ignoranza che rappresenta forse il costo più elevato (anche economico) dentro una società.
Altre opere, invece, analizzano il rapporto tra la creazione artistica e la scienza, e tra quest'ultima e la realtà. In quale misura, questi approcci possono risultare adeguati a ristabilire un rapporto adeguato dell'opinione pubblica con la scienza?
Le altre opere selezionate affrontano temi di maggior respiro e di grande richiamo su questioni che non hanno nulla di impellente, ma che si inseriscono nella cultura, nel fascino di una scienza che ci proietta nel futuro. Penso a questo proposito ai grandi temi dell’astrofisica, ma anche alla dimensione possibile della conoscenza scientifica che nella sua parte teorica si fonda sulle capacità del nostro cervello, sulla grande dimensione della mente umana. Ed ecco allora opere come Dimostrare l’impossibile o La realtà non è come ci appare. Si tratta di volumi che credo, in particolare per i giovani, siano di grande fascino poiché portano a meditare sulle capacità dell’uomo, sui suoi limiti, sul futuro immaginato sui dati della scienza.
La bellezza della scienza è di portarci sempre a contatto con lo strumento base del sapere controllato, la nostra mente. E così la scienza diventa una disciplina formidabile per conoscere, ma al contempo porta a confrontare l’uomo con le proprie capacità e dunque anche con i propri limiti. Il limite alla stessa conoscenza poiché il corpo ci mostra il reale in maniera “difforme” certamente distorta dalla categorie (termine kantiano) entro cui riusciamo a percepirlo e a interpretarlo.
E questo richiamo lega scienza a filosofia, e alla filosofia della scienza, un campo ora di notevole dimensione poiché le neuroscienze ci forniscono dati proprio per teorizzare il senso e i limiti della stessa conoscenza.
Ma, come lei rilevava, ci porta anche ad abbattere un muro che sembrava eterno tra Scienza e arte, titolo di un volume selezionato e ricco di una straordinaria testimonianza. Basta del resto guardare alle immagini della scienza per poter incominciare un viaggio dentro il grande museo delle arti e della creatività.
Ecco perché io credo che il lavoro svolto dai giurati da me presieduti abbia fatto un lavoro utile e spero stimolante per i giovani che ora dovranno leggere i volumi selezionati.
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In Lettera a un insegnante (edito da Rizzoli nel 2006) poneva un'importante indicazione per il compito della scuola, che «deve insegnare a vivere, a vivere meglio, a promuovere alleanze tra compagni per un aiuto comune a imparare e a vivere e non per fare della classe un campo di guerra, una corsa a sgambetti per una classifica della stupidità...». Cosa vuol dire per un giovane studente «imparare a vivere» e in che modo la scuola può agire per supportarlo in questa direzione?
Il nostro cervello può essere semplificato nelle sue due componenti fondamentali: la razionalità e l’affettività. Con la ragione si giunge ad una conoscenza, che è la base del comportamento, secondo un processo a tappe, che rispettano i principi della logica, e che si svolge nel tempo. L’affettività, che si lega a emozioni e sentimenti, ha bisogni impellenti di risposte che non si possono demandare al domani.
Ad un uomo preso da un attacco di panico e che vive la sensazione di morte immediata non si possono dare spiegazioni scientifiche, poiché servono assicurazioni immediate e allora si potrà tenergli una mano e dare il proprio aiuto relazionale, il mettersi insieme a lui.
La ragione può attendere “il prossimo esperimento”, la paura invece deve trovare soluzione subito e ciò comporta che una decisione occorre prenderla.
Si può sintetizzare col dire che per vivere occorre sapere usare la ragione, per risolvere problemi che riguardano non l’immediato, ma la pianificazione del futuro; allo stesso tempo serve anche sapere gestire i momenti acuti, le crisi: si tratta della gestione dei sentimenti.
Educare significa insegnare le regole della ragione ma anche la gestione dei sentimenti. Ecco cos’è l’educazione: insegnare a vivere in una società che è molto più variabile e complessa d’un tempo. Che impone di trovarsi di fronte a momenti inattesi, imprevedibili e di fronte ai quali non si sa cosa fare e si è presi dall’insicurezza e dalla paura. L’educazione non è più una decorazione, ma un apprendimento necessario a stare la mondo.
Si può aggiungere che le nuove generazioni sono più dotate nella razionalità rispetto al passato, ma sono fragilissime di fronte alla gestione delle emozioni e dei sentimenti.
Ora se per insegnare l’uso della ragione, che è alla base come abbiamo detto delle procedure scientifiche, è di grande importanza l’insegnamento orale e l’esperienza nei “laboratori” scientifici, per le emozioni e i sentimenti serve vivere insieme, fare della classe appunto una sorta di orchestra che prevede di usare le capacità, i talenti del singolo, ma dentro una direzione orchestrale che porta a dare un’interpretazione di una sonata o di una particolare sinfonia.
La scuola dunque deve essere soprattutto un’esperienza di vita tra allievi e insegnanti, significa imparare a vivere insieme.
Deve dominare il Noi sull’Ego. E la scuola può fare moltissimo poiché è costituita di classi, cioè di gruppi. E nell’insieme costituisce un modello piccolo di società, un laboratorio.
E parlando di giovani, non possiamo non ricordare due importanti vicende di cronaca, con le quali l’Italia si è dovuta confrontare e scontrare negli ultimi anni: il recente omicidio del piccolo Loris Stival, che sembrerebbe essere stato ucciso dalla madre, e il caso Cogne, per il quale è stata condannata in via definitiva Annamaria Franzoni, sempre una madre. A questo proposito, lei dichiarò: «La gente, anzi le donne sono state calamitate da un sentimento di inquietudine e di paura. Paura che la mamma di Cogne non sia pazza. Che abbia agito lucidamente». Cosa si nasconde dietro quest'agire lucido, ma soprattutto di cosa si nutre la paura di questa presunta lucidità?
Dentro questa sua domanda si cela un presupposto errato che si rileva nel sapere popolare: si ritiene che una madre che usi violenza sui figli fino a sopprimerli debba necessariamente essere una madre folle e non si accetta che possa averlo fatto una madre normale con la coscienza esatta di ciò che compiva (alla maniera di Medea che uccide i due figlioli con un preciso intendimento, di colpire così il marito Giasone che l’ha tradita).
Si vuole dunque escludere che la madre omicida del proprio figlio non possa essere priva di patologia della mente (normale) e che pertanto il suo gesto in sé sia l’affermazione della sua appartenenza alla follia.
Non è così poiché esistono casi in cui invece il delitto lo si fa rientrare dentro uno scopo, e dunque risultato di una volontà di raggiungere uno scopo ritenuto di maggior significato (valore) della stessa vita del figlio.
Questa domanda mi piace riportarla dentro la difficoltà di gestire i sentimenti, come vincere il sentimento di solitudine, di incapacità, di rabbia, di disperazione… motivazioni tutte che la ragione non accetta. Ma è proprio l’impossibilità di usare la ragione in molti casi di crisi emotiva o sentimentale, è esattamente la difficoltà a dominare le proprie pulsioni distruttive. E ciò ci riporta a quella contrapposizione tra ragione e sentimento a cui abbiamo accennato: due componenti della comprensione e del comportamento, che nell’educazione devono sempre più collaborare in un equilibrio che li ponga entrambi in azione e non in contrapposizione.
Ecco l’educazione all’equilibrio tra ragione e affettività.
E sempre una madre è anche al centro della vicenda delle baby prostitute romane. Una madre accusata di aver obbligato la figlia 14enne a prostituirsi per denaro. Cosa sta succedendo alla famiglia italiana? È cambiato qualcosa, oppure è sempre stata così ma avevamo rimosso il suo lato buio?
L’atmosfera che ci si presenta è quella della perdita dei principi che sono alla base di una civiltà. I principi si differenziano dalle leggi che hanno il compito di regolare problematiche storiche, dentro il tempo: i principi sono delle regole che fanno parte della condizione umana e che non si discutono, ma si devono accettare per poter vivere garantendo una qualità allo stare insieme.
Il maestro a cui far riferimento è Platone che pone i principi come i fondamenti della res publica.
Il tempo presente ha posto in agonia i principi e mostra di credere alle leggi divenute regole per non seguire le regole. Occorre rifondare una civiltà partendo dal rispetto dell’altro e giungere al principio dell’insegnare a vivere che, nel caso della madre che porta la figlia a prostituirsi, diventa addirittura insegnamento a distruggersi e dunque a trasformare il principio dell’educazione in violenza e morte.
È tempo di chiederci ancora, come faceva Platone, il senso della vita e del mondo in cui ci si trova e dunque tempo di ristabilire i principi e certo in primis quello dell’amore dei figli, e non del loro sfruttamento.
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