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Premio Galileo 2014 – Intervista al Prof. Adriano Zecchina

Premio Galileo 2014Lei è uno dei professori di chimica fisica più influenti in Italia, soprattutto per la rilevanza scientifica acquisita a livello internazionale. Cosa significa parlare oggi di chimica?

Significa parlare di una scienza meravigliosa verso cui esistono ampi pregiudizi. Per me conoscere anche solo un po’ di chimica e di fisica significa leggere il dispiegarsi della natura, un fatto che accresce il piacere tutto estetico della sua contemplazione.

Significa conoscere come la clorofilla e la molecola che dà il colore all’emoglobina (cioè al nostro sangue) siano assai poco differenti (principalmente uno ione Magnesio nel primo caso e uno ione Ferro nel secondo): tutto ciò permette di sentire come la natura sia unitaria, costruita con gli stessi "pezzi" e come noi umani siamo semplicemente una sua parte.

Significa sapere attraverso la chimica-fisica perché la clorofilla è verde e l'emoglobina è rossa.

Significa capire i processi (chimici) dell'autunno che trasformano il verde della clorofilla nei colori gialli e bruni.

Significa sapere come gli uomini abbiano nei millenni trovato e sintetizzato, prima attraverso l'alchimia e poi la chimica, i pigmenti permanenti per riprodurre la natura in tutti i suoi aspetti.

Significa capire la Bottega del Verrocchio e la Fatica di Michelangelo.

Significa imitare le molteplici strutture molecolari presenti in natura e crearne di nuove, così come l'artista crea opere che prima non esistevano.

Significa usare la tavola periodica come il pittore usa la gamma dei colori della tavolozza e il musicista le note.

In conclusione, parlare di chimica oggi significa cercare di trasmettere questi concetti ed esprimere la sensazione di stupore che questa scienza sa comunicare.

Naturalmente tutto ciò vale anche per le scienze sorelle, cioè la fisica, la biologia etc., che insieme permettono di conoscere in profondità la natura e quindi anche noi stessi.

 

La sua è una carriera accademica di tutto rispetto. Professore Ordinario dal 1975 e attualmente professore emerito, socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia dei Lincei e dell'Accademia Europea, uno dei coordinatori (nel 2011) del Comitato dell’Anno Internazionale della Chimica. Com’è cambiato il mondo accademico in ambito scientifico nel corso degli anni?

Negli ultimi dieci anni, all'Università tutto è cambiato. I professori che vanno in pensione non sono sostituiti, tutta una generazione di ricercatori "precari" non avrà un futuro e viene o sarà espulsa, i fondi per la ricerca sono stati tagliati in modo brutale. Si tratta di una situazione che a mia memoria non ha precedenti. Sembra il risultato finale di quella campagna giornalistica insistente che ha dipinto l'università italiana come inefficiente e covo di privilegi e corruzione. Tuttavia, tutti gli indicatori oggettivi verificati anche a livello internazionale dicono che la produttività dei nostri ricercatori (cioè il rapporto tra investimento nella ricerca e risultati accertati) è tra le più alte in Europa. Certo è che, se globalmente non si investe, anche l'eroismo e la passione dei singoli non possono bastare.

 

Presso l’Università di Torino ha coordinato i corsi Energia, Clima, Sostenibilità della Scuola Superiore. Ritiene sia possibile, per la chimica, pensare a un’inversione di tendenza verso una scienza che sia più rispettosa dell’ambiente e che consideri la sostenibilità una delle sue mission?

La maggiore e più pericolosa fonte di inquinamento è rappresentata oggi dall’emissione di anidride carbonica che è il "rifiuto" obbligato del consumo di energia da fonti fossili (automobili, mobilità in generale, industria, riscaldamento, internet etc.). La comunità scientifica è completamente concorde nell'affermare che l'accumulo di questo rifiuto nell'atmosfera è e sarà causa di gravi problemi ambientali. Ebbene, se si vuole mantenere lo stesso standard di vita sino ad ora raggiunto (frutto interamente della disponibilità di energia), bisogna trovare un modo diverso di creare e consumare energia: ciò comporta grandi investimenti nel campo scientifico e culturale. Investimento scientifico in quanto tutte le discipline (in primis chimica e fisica) saranno chiamate a rispondere con nuovi processi e materiali. Investimento culturale (a mio parere, il più importante e difficile) perché solo quando l'umanità comincerà a comprendere i limiti imposti dal fatto che il pianeta è uno solo e che non ci sono altre stazioni di servizio in cui fare il pieno di energia, si può pensare a una soluzione. E qui si torna ancora al problema di vivere in armonia con la natura che è, in primo luogo, comprensione delle sue leggi. Ma questo concetto di armonia e comprensione delle leggi fisiche non è forse lo stesso illustrato in precedenza quando abbiamo commentato il ruolo della chimica nella pittura?

Quanto detto a proposito del rifiuto “anidride carbonica” va esteso anche a tutti gli altri rifiuti legati allo sviluppo industriale e materiale, più percepibili nell’immediato, ma non altrettanto pericolosi.

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Adriano Zecchina, Alchimie nell'arteIl suo saggio Alchimie nell'arte. La chimica e l'evoluzione della pittura (edito da Zanichelli) ha inizio con una critica alla differenza radicale, posta da Ernst Gombrich, tra arte e scienza, e arriva ad affermare l’esistenza di «un intreccio fra qualità estetiche e aspetti scientifici della creatività». Si può sostenere una similitudine tra la creatività artistica e quella scientifica? Oppure semplicemente la scienza e la tecnologia possono solo fornire gli elementi di base per l’esercizio della creatività dell’artista?

La storia della scienza insegna fuor di dubbio come essa si sviluppi attraverso nuove osservazioni, nuove idee e nuove teorie che superano le concezioni precedenti. Osservazioni, idee e teorie sono prodotti del nostro cervello e prima non esistevano. Quindi, si tratta di atti creativi. Allo stesso modo, l'artista crea nuove figure e immagini. Alla base di tutto è la creatività dell'uomo. Attraverso la sua opera, l'artista rende partecipe lo spettatore del piacere della sua creazione, così che l'osservatore diventa, in quel momento, anche un po’ creatore. Allo stesso modo descrivendo le nuove osservazioni, idee e teorie da lui create, lo scienziato rende partecipe l'osservatore sia della sua scoperta sia dell’emozione da lui stesso provata al momento in cui l'idea è natanelsuo cervello. L'emozione interiore è la stessa in entrambi i casi perché si accompagna al dispiegarsi della creatività. Naturalmente così come non tutti i pittori sono grandi artisti, non tutti gli scienziati sono grandi. Tuttavia, grandi o piccoli che siano, tutti (artisti e scienziati, ma anche uomini comuni) possono essere resi partecipi dell’emozione generata dalle creazioni più importanti. Come non emozionarsi davanti alla straordinaria semplicità delle leggi fisiche fondamentali , oppure davanti alla tavola periodica degli elementi che garantisce all'uomo una fonte infinita di creazioni, oppure davanti alla straordinaria complessità del cervello con i suoi 15 miliardi di neuroni? Lo stupore che si prova è per me lo stesso che provo davanti a un grande quadro. Tutti siamo un po’ scienziati e un po’ artisti. Naturalmente è anche vero che i prodotti della scienza possono essere messi a disposizione dell'artista per creare nuove immagini e sensazioni e che questo è un momento di collegamento "pratico" tra scienza/tecnologia e arte. Ma tutto questo non deve sottintendere una gerarchia di valori o un’incomunicabilità sostanziale, opinione diffusa ma arretrata, a fronte di quanto si viene comprendendo del funzionamento del nostro cervello attraverso, ad esempio, le neuroscienze.

 

Nel saggio citato, fa notare una stretta somiglianza tra la bottega di un pittore rinascimentale ritratta da Philip Galle e il laboratorio di un alchimista, ritratto nel quadro omonimo di Jan van der Straet, per esemplificare concretamente come l’attività pittorica si basi anche su un lavoro artigianale di bottega, molto simile a quello dell’alchimista, prima, e del chimico, poi. Questa similitudine ha influenzato l’arte sul piano di un orientamento della creatività dell’artista in una direzione piuttosto che in un’altra?

L'artista pittore ha usato e usa tutti gli strumenti possibili sia per riprodurre ciò che è visibile sia per rendere visibile ciò che a prima vista non lo è (cioè il proprio stato d'animo). La storia della pittura non può essere compresa a pieno senza considerare l'intreccio millenario tra strumenti (pigmenti presi dalla natura, pigmenti creati dalla chimica o pixel creati dalla scienza dei materiali) e prodotti artistici. Quando non esistevano i tubetti a olio, la bottega dell'artista era un laboratorio ove i pigmenti venivano selezionati, macinati, mescolati e dove generazioni di giovani pittori familiarizzavano con le proprietà dei materiali. Le cose in parte sono cambiate con l'avvento del colore a olio in tubetti. Tuttavia, anche in questo caso, la sperimentazione delle mescole, degli effetti, delle velature, delle possibilità materiche offerte dalla nuova abbondanza non è venuta meno. In tempi più recenti, il collage, l'uso di materiali solidi, la contaminazione tra pittura, scultura, architettura etc., ha reso la bottega di nuovo un laboratorio di materiali. E che dire del tempo attuale con le installazioni, l'arte visuale e la digital art? Come nel passato e come sempre, l'artista (ma ciò vale anche per lo scienziato tecnologo) cerca di non ripetere le esperienze e i prodotti precedenti usando tutto quanto di nuovo ha a disposizione. Questo "nuovo", a sua volta, è il prodotto della creatività della scienza e della tecnologia (quest'ultima non inferiore per creatività alla scienza pura).

Non c'è, dunque, dubbio che i nuovi mezzi influenzano il prodotto artistico. Non è pensabile oggi di voler dipingere come Raffaello (cioè ripeterlo) quando abbiamo così tanti strumenti innovativi per suscitare nuove e differenti emozioni.

 

Il Premio Galileo la porterà in contatto con una platea di studenti di scuola superiore di secondo grado. Cosa può fare la scienza per avvicinarsi ai giovani e per riaffermare il metodo scientifico presso le nuove generazioni?

La scienza può fare molto.

In primo luogo, essere semplice come è nella sua vera natura. Spesso essa è circondata da una barriera di simboli che la rendono astrusa. Bisogna semplificare il messaggio scientifico senza perdere di rigore. È una sfida per gli scienziati.È bene tuttavia ricordare che non si tratta solo di un problema della scienza. Il problema del linguaggio e dei simboli è generale. Spesso, come scienziato, ho difficoltà a capire il vero messaggio contenuto nei prodotti delle scienze umane (apparentemente più comprensibili perché più legati all'esperienza quotidiana), circondati come sono da barriere di retorica, allusioni, accademismo, specialismi, eccesso di erudizione, etc..

Un altro obbiettivo della scienza è di contribuire al superamento delle barriere tra le due culture scientifica e umanistica, a favore di una cultura trasversale, in armonia con i tempi moderni (che dovrebbero essere i tempi della contaminazione). Solo tale superamento permetterebbe di andare oltre le frequenti e ricorrenti quanto non innocenti "paure" verso la scienza e la tecnologia (ai cui vantaggi, tuttavia, nessuno è disposto a rinunciare).

Un altro obbiettivo della scienza (legato ai precedenti) è fornire tutti gli strumenti per permettere alle nuove generazioni di vivere e progettare una vita e una società in armonia con il pianeta che ci ospita, comprendendone, al tempo stesso, tanto la bellezza e l’unicità, quanto la complessità e le leggi fisico-chimiche che ne stanno alla base e che non possono essere violentate.

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