Premio Campiello, tra innovazione e tradizione. Intervista a Piero Luxardo, Presidente del Comitato di Gestione
Giunto alla cinquantaseiesima edizione, il Premio Campiello rappresenta una realtà concreta e di prestigio nel panorama editoriale e letterario italiano.
Come ogni anno, dal 2013, Sul Romanzo dedicherà al Premio Campiello uno speciale ad hoc con interviste a tutti i finalisti della sezione Giovani e agli autori selezionati dalla Giuria dei Letterati nella cinquina in gara per aggiudicarsi la vittoria finale.
Per fare il punto della situazione sul Premio, sui meccanismi che portano alla selezione delle opere finaliste, sul lavoro della Giuria e anche su alcune ormai tradizionali polemiche abbiamo posto qualche domanda a Piero Luxardo, Presidente del Comitato di Gestione che si occupa di coordinare tutte le attività relative a Premio Campiello.
Professor Luxardo, com’è cambiato il Premio Campiello negli ultimi tempi? Quanto è diverso questo degli anni Duemila rispetto a quello delle origini?
Nella sostanza il Regolamento del Premio Campiello non è mai stato modificato: dunque i meccanismi di selezione dei libri e il funzionamento delle due differenti Giurie continuano come nell’impostazione originaria, che ci è stata tramandata dai “padri fondatori”. Continuiamo a preservare con la massima attenzione la trasparenza della nostra manifestazione, forti anche del fatto che il Premio è emanazione diretta di Confindustria Veneto, tramite la Fondazione Il Campiello che ci supporta in maniera molto decisa e costruttiva: dunque ha un’indipendenza di base ben garantita e non può essere soggetto a pressioni di sorta.
Ciò premesso, negli ultimi anni si è accentuata la dimensione autenticamente nazionale del Campiello, che molti anni fa era maggiormente percepito come un premio prevalentemente veneto, anche se molto elegante dal punto di vista della visibilità mondana. Senza snaturare questa componente, sicuramente positiva, nell’ultimo decennio sono state intraprese azioni mirate alla diffusione dell’immagine del Premio a livello nazionale: in ciò hanno aiutato molto i fitti programmi di incontri con gli autori finalisti durante i mesi estivi in tutte le regioni d’Italia, nonché l’allargamento della Giuria dei Letterati a specialisti della materia provenienti dalle più prestigiose Università nazionali ed estere.
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Uno dei punti di forza del Premio Campiello è il sistema di votazioni con la giuria dei lettori anonimi, anche se non mancano, com’è prevedibile, polemiche sull’operato della Giuria dei Letterati. Ci racconta come si arriva alla definizione dei romanzi in cinquina? Ci riferiamo alle attività che precedono le votazioni pubbliche.
I canali di arrivo dei volumi, in base al regolamento, sono sostanzialmente due: le auto-candidature (autori e case editrici sono liberi di partecipare inviando autonomamente alla nostra Segreteria i volumi che desiderano far leggere e valutare dalla Giuria dei Letterati) e le segnalazioni dei Giurati (che comportano la richiesta dei volumi segnalati alle case editrici).
In complesso arrivano annualmente dai duecento ai trecento volumi di narrativa, che vengono esaminati dalla Giuria e che vengono discussi in periodiche riunioni a porte chiuse fra i mesi di febbraio e aprile. Un’ultima riunione, sempre a porte chiuse, precede la discussione pubblica, che avviene all’Università di Padova alla fine del mese di maggio. La cinquina dei finalisti viene scelta alla luce del sole, in una seduta aperta al pubblico ed è seguita in diretta dalla stampa. Naturalmente ci possono essere divergenze di opinione tra i Giurati, che talvolta si sono manifestate in maniera esplicita, ma questo mi sembra rappresenti un’ulteriore garanzia di non manipolabilità del Premio.
Una delle accuse che si muove un po’ a tutti i premi letterari italiani è quella di un declino nella qualità delle opere premiate, soprattutto negli anni più recenti. È una conseguenza del declino della letteratura italiana? È una percezione errata? Logiche editoriali sbagliate? Da osservatore privilegiato ed ex professore presso il dipartimento di Lettere dell’Università di Padova, come giudica queste accuse?
Non sarebbe certo da imputare ai premi letterari un ipotetico declino della narrativa, ammesso che il fenomeno fosse reale: i premi si occupano di selezionare la letteratura disponibile, non certo di crearla.
Possono naturalmente capitare casi in cui un premio, anche prestigioso, venga assegnato a un’opera di valore relativo, oppure per convenienze di tipo “politico”: faccio notare che accuse di questo tipo vengono formulate a volte anche ai criteri di assegnazione dei Premi Nobel. Sono tuttavia fermamente convinto che questo non sia mai accaduto con il Premio Campiello, proprio per il meccanismo della doppia giuria e dei trecento lettori anonimi che cambiano ogni anno (di questa giuria si può far parte solo una volta nella vita!).
Venendo alle scelte editoriali: se ci sono senz’altro alcune logiche commerciali che portano a privilegiare narrativa di consumo, instant book, filoni di moda come ambientazioni malavitose e lividi filtri sociali, malintesi sperimentalismi espressivi ed estenuanti autoreferenzialità, per fortuna esistono ancora molte case serie che pubblicano opere di qualità.
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Ogni anno torna la conta delle copie vendute dai vincitori dei due più importanti premi letterari italiani, il Campiello e lo Strega. Secondo lei, è giusto legare il successo di un premio, il suo prestigio e le sue qualità al numero di copie che riesce a far vendere? Quali altri parametri invece si dovrebbero considerare?
Quante copie hanno venduto i primi romanzi di Svevo? Quante le prime opere di Gadda, prima del trionfo del Pasticciaccio? No, il numero di copie è naturalmente indice di successo e fa piacere agli autori, agli editori e anche ai premi letterari, ma i parametri della vera qualità letteraria non sono mai cambiati: stile originale, scintilla della fantasia inventiva, e, perché no, anche un velo d’ironia che copra con pudore sofferenze e gioie della condizione umana.
Il Premio Campiello Giovani è giunto alla ventitreesima edizione e negli ultimi anni sembra più forte l’interesse della Fondazione Il Campiello a investire sui giovani scrittori. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Si tratta di intercettare i talenti emergenti e di incentivarne la creatività: è naturale che un ceto imprenditoriale come Confindustria, logicamente sempre attenta alla formazione e al reclutamento di figure di collaboratori qualificati, cerchi di favorire la crescita dei giovani: anche nell’ambito creativo, perché senza una dimensione umanistica nella realizzazione sociale non si può condensare quel fattore strategico della crescita rappresentato dalla cultura.
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Lei è stato presidente del Comitato di Gestione dal 2012 al 2015 per poi ritornare quest’anno. Per cosa vorrebbe fosse ricordata la sua gestione? E quali cambiamenti ha in mente per i prossimi anni?
Quello che conta è il lavoro di squadra: ho avuto e ho tuttora la fortuna di avere la collaborazione di colleghi imprenditori che hanno condiviso una visione lungimirante di valorizzazione dello specifico culturale del Premio; ma voglio menzionare anche la Segreteria, che assicura con spirito di grande dedizione ed entusiasmo il perfetto funzionamento della macchina organizzativa. Complice la mia formazione professionale, ho cercato di puntare sulla competenza settoriale dei singoli componenti della Giuria dei Letterati e credo che questo si sia riflesso anche sulle scelte dei libri ammessi in concorso.
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