Premio Campiello Giovani 2015 – Intervista ad Anja Boato
Come la lettura degli incipit ha annunciato i cinque racconti finalisti al Premio Campiello Giovani 2015, così la candidatura può rappresentare l'inizio di un percorso che trasforma un talento in erba in una futura professione. Anja Boato ha raggiunto questa tappa: diciannove anni, frequenta l'ultimo anno del liceo classico Tito Livio di Padova, che l'ha incoraggiata e seguita in quest'avventura fino allo spettacolo di selezione della cinquina finalista.
Il racconto inviato da Anja al concorso, intitolato Amélie fu, cattura l'attenzione perché si inserisce in un dibattito culturale e sociale di delicata attualità, la costruzione dell'identità sessuale. L'autrice allarga la prospettiva mostrando la complessa maturazione di due personaggi grazie alla loro amicizia. Molti dei racconti selezionati al Premio Campiello Giovani 2015 hanno sviluppato temi impegnati, ma la forza di questa storia deriva dal calare una questione imbarazzante, potenzialmente scabrosa, nelle dinamiche quotidiane dei rapporti umani. Nel processo di crescita non c'è solo la scoperta del sesso, ma anche la capacità di gestire la propria emotività, scossa dall'alternanza di momenti di esaltazione e di depressione: Anja riesce a sublimare il proprio vissuto nella scrittura, conferendo onestà e realismo al proprio racconto.
La giovane narratrice trasforma spesso l'esperienza personale in spunto letterario: a tredici anni, Anja ha vinto il suo primo concorso nazionale con la recensione del suo libro preferito, La compagnia dei Celestini di Stefano Benni. Da allora, la passione di Anja ha ottenuto numerosi riconoscimenti, a livello di critica e di lettori: ha pubblicato i suoi racconti in un portale web e un suo componimento è stata incluso in un'antologia di scrittori professionisti.
Facciamoci però raccontare da Anja stessa il suo amore per le parole, partendo dal cuore dell'occasione che ce l'ha fatta conoscere: l'argomento del brano presentato al Premio Campiello Giovani 2015. Inserirsi nel campo degli studi di genere può essere rischioso, in bilico tra approssimazione e volgarità: ti sei documentata prima di scriverne? Hai trovato ispirazione in qualche lettura? Penso ad esempio all'intenso romanzo di Julie Anne Peters, Luna, che ho associato al tuo racconto soprattutto per il ruolo evanescente degli adulti.
In effetti l’ispirazione per il mio racconto mi è giunta da una lettura molto particolare. Si tratta del graphic novel di Chloé Cruchaudet Poco raccomandabile, edito da Coconino Press nel 2013. Quest’opera adatta la storia vera di Paul Grappe, disertore durante la Prima guerra mondiale, che decide di travestirsi da donna per sfuggire alla cattura. La Cruchaudet descrive in modo crudo, ma efficace la trasformazione sessuale di questo protagonista, inizialmente solo esteriore, poi sempre più intima. Tuttavia il graphic novel è servito solo a farmi profilare l’immagine dell’uomo protagonista del mio racconto, mentre la storia che ho creato è nell’insieme nata di getto, prendendo forma nel corso della scrittura. Non ho metabolizzato subito la “pericolosità” del tema che stavo trattando e quindi che avrei potuto eccedere nella descrizione di entrambe le metamorfosi — quella sessuale di Amélie e quella bipolare di Monique. Credo di essere riuscita a mantenere un equilibrio perché fondamentalmente simpatizzo per entrambi i personaggi, provo per loro un profondo rispetto. Per quanto riguarda il romanzo della Peters, non lo conosco, ma confesso che a questo punto sono curiosa di leggerlo.
Cosa significa per una ragazza poco più che maggiorenne occuparsi e scrivere di questioni così complesse, come, appunto, le due metamorfosi al centro del racconto?
Le metamorfosi sono caratteristiche della giovane età, non solo degli adolescenti, ma anche di chi cerca ancora di definire il proprio ruolo nel mondo. Ho immaginato che Amélie avesse scoperto la propria sessualità quando ancora un ragazzo, con tutti i turbamenti dell’età, ma solo a distanza di anni ha accettato positivamente di sentirsi donna. Monique, per contro, è ancora adolescente quando affronta questa metamorfosi, e non è abbastanza forte da superare, come altre coetanee, la sua fragilità psichica ed emotiva, nonostante l’appoggio di Amélie. Sono sempre stata affascinata dalle personalità complesse e metamorfiche; fortunatamente ho avuto occasione di conoscere molte persone differenti nella mia vita, alcune con personalità borderline simili a quella di Monique, altre con vari orientamenti sessuali. Non trovo quindi che sia strano cercare di immergermi nel loro mondo e spero di essere riuscita a comprenderne le emozioni, nonostante abbia solo diciannove anni.
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Il tuo stile di scrittura è spontaneo, diretto, ma nasconde un lavoro profondo di ricerca espressiva: credi che la tua tecnica risenta di un gusto cinematografico, nella predilezione per dialoghi e azioni piuttosto che per le descrizioni? Hai mai pensato di adattare l'incisività che trasmetti nella forma breve del racconto a un'opera più corposa, a un romanzo?
Ho sempre pensato che un eccesso di descrizioni, soprattutto quelle d’ambiente, rappresentino una sorta di dittatura da parte dell’autore, visto che costringono il lettore a prospettive molto limitate. Viceversa, proprio come accade con la narrazione cinematografica, trovo più interessante fornire quegli elementi che servano da guida per contestualizzare i personaggi, ma lascino allo stesso tempo al lettore un margine di libertà a cui aggiungere le proprie interpretazioni. Inoltre, se non sono ben equilibrate, in molti casi le descrizioni rischiano di rallentare il flusso degli eventi. In particolare in questo caso, credo che sarebbero state d’ostacolo nelle transizioni tra piani narrativi, poiché quelli che apparentemente sono luoghi che appartengono al presente e a un passato vissuto in flashback, nel mio racconto diventano di fatto una molteplicità di presenti. Per quanto riguarda la possibilità di dedicarmi a un’opera più corposa rispetto a un racconto, confesso che fino a questo momento credevo di dover lavorare ancora molto perfino sulla mia narrazione breve, ma questo riconoscimento — cioè essere entrata a far parte della cinquina finalista del Premio Campiello Giovani— mi ha regalato un’enorme dose di fiducia in me stessa. Effettivamente a questo punto vorrei davvero provare a cimentarmi nella stesura di un romanzo e molte idee cominciano già a prendere forma nella mia mente. Speriamo che una di queste abbia fortuna.
Hai pubblicato i tuoi racconti online, decidendo di metterti in gioco e affrontare il giudizio dei lettori: qual è il tuo rapporto con il mondo virtuale? Come gestisci i tuoi lavori, sia nella creazione che nella diffusione?
Ogni volta che scrivo un racconto parto dal presupposto che questo debba essere letto, quindi non posso prescindere dalla valutazione di quale tipo di risposta il lettore darà. È una sfida importante, ma anche molto stimolante: in un certo senso, quando progetto una storia cerco di modellarla a misura di un ipotetico pubblico. A volte mi rendo conto che ciò che ho scritto non può incontrare i gusti di nessuna tipologia di pubblico, e in questi casi continuo comunque il lavoro, sapendo che sarà solo mio. In tal senso, le piattaforme virtuali come quella su cui scrivo, o in generale internet, offrono una gamma infinita di potenziali pubblici. Qualora decidessi di cambiare genere, so che quasi sempre troverei dei lettori appassionati e disposti a seguire le mie sperimentazioni. È un rapporto di dare-avere più o meno infinito: a mia volta trovo tantissimi spunti dalla lettura di quanto gli altri scrivono. In molti casi addirittura si creano delle complicità con altri utenti condividendo i racconti o pubblicizzandoli reciprocamente. Anche grazie a questi percorsi ciascuno di noi mette a punto uno stile sempre più maturo.
Partecipi spesso a concorsi letterari: cosa ti spinge a farlo? Il desiderio di confrontarti con una giuria di esperti, lo spirito di competizione, la speranza di trovare la tua strada nell'editoria? In particolare, cosa rappresenta il Campiello Giovani rispetto ad altri premi? A prescindere da una eventuale vittoria, cosa vorresti conservare di questa esperienza?
Partecipo ai concorsi letterari in realtà per tutti e tre i motivi: è importante che ciò che scrivo possa essere valutato da esperti, sono sicuramente animata da uno spirito di competizione e — inutile dirlo — sarebbe un sogno poter trovare una mia strada nell’editoria. A questo aggiungerei che i concorsi offrono anche uno stimolo per la scrittura stessa. Rispetto ad altri premi, il Campiello Giovani rappresenta per me la tappa più importante a cui potessi ambire, visto che si tratta del concorso letterario più prestigioso dedicato ai giovani autori in Italia, anche in termini di visibilità mediatica. Far parte della cinquina finalista è per me un’esperienza ineguagliabile, anche perché sono molto riservata e timida, ma per la prima volta ho presentato me stessa oltre che la mia scrittura. Non credevo che ne sarei stata capace, invece si è rivelata un’emozione grandissima. Credo che questo ricordo non mi abbandonerà mai, a prescindere dal risultato finale.
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