Premio Campiello 2020 – Intervista a Sandro Frizziero
Sommersione di Sandro Frizziero, finalista dell’edizione 2020 del Premio Campiello e pubblicato da Fazi, è un viaggio nell’abisso dell’animo umano, in mezzo alle radici dell’odio di un vecchio pescatore che l’autore sceglie di non nominare. Così come fa per l’isola su cui il nostro protagonista vive.
E proprio da questo siamo voluti partire per l’intervista che Sandro Frizziero ci ha rilasciato per il nostro speciale dedicato al Premio Campiello.
Il protagonista del suo romanzo non ha nome. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Non ho sentito, mentre scrivevo, il bisogno di dare un nome al mio pescatore. Il narratore che si rivolge a lui con il “tu” lo conosce così bene che non ha bisogno neppure di chiamarlo. Credo che così facendo il mio racconto assuma una sorta di valore universale che può condurre il lettore oltre a quello che, per certi versi, potrebbe sembrare un ritratto verista della provincia italiana. Anche l’isola, non ha nome perché, semplicemente, coincide col nostro mondo.
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Lei usa il “tu” per aprire un varco verso il suo personaggio. Una scelta in genere poco praticata. Da dove nasce quest’impostazione narrativa?
Il “tu narrante” è una forma davvero molto rara nella narrativa di oggi; in passato lo si utilizzava maggiormente. Mi è servita per esplorare una nuova modalità di avvicinamento e di dialogo col personaggio a mio avviso interessante, considerato che permette al lettore di entrare nella storia in modo forse addirittura più coinvolgente rispetto alla narrazione in prima persona. Rivolgersi al protagonista con il tu, inoltre, implica un ulteriore elemento di ambiguità, visto che chi legge è costretto a chiedersi di continuo di chi sia la voce che “parla” e quanto attendibile sia. Senza contare che, nel momento in cui il racconto assume il tono della requisitoria, il lettore non può che sentirsi coinvolto assieme al pescatore, perché nel mondo che descrivo nessuno è innocente, pur non essendosi macchiato di crimini così infamanti.
L’odio sembra essere il sentimento portante del vecchio pescatore e forse esso stesso è per certi versi un protagonista del romanzo. Dove affonda le sue radici un odio così profondo?
L’odio è una delle tante forme con cui il male si manifesta nelle nostre vite. Può nascere, senza dubbio, da un senso di impotenza, di frustrazione, di ingiustizia o dall’invidia. Più che riflettere sull’unde malum, però, mi interessava mostrare quanto questo sentimento agisca, anche in maniera minima, nei rapporti umani. Del resto, del male che ci circonda si fa un gran parlare, ma spesso secondo un’ottica consolatoria per cui i malvagi pagano le loro colpe e le vittime vengono in qualche modo risarcite. Io credo che la questione sia più complessa, e che l’ingiustizia, per certi versi, sia un dato di natura.
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Un viaggio così in profondità nell’animo umano inevitabilmente ha delle ripercussioni emotive anche su chi ne scrive e lo racconta. Com’è cambiato il suo modo di relazionarsi alla vita, agli altri e alla scrittura dopo aver ultimato Sommersione?
Scrivendo Sommersione ho sofferto molto, confesso di aver pure pianto in qualche occasione. Ma non perché questo libro abbia mutato il mio modo di relazionarmi agli altri. Si è trattato di tirar fuori una serie di temi scomodi e di raccontarli senza giri di parole, senza edulcorarli. E questo “mettermi con le spalle al muro” mi ha provocato dolore e ansia. D’altronde per me la scrittura è soprattutto questo.
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Una delle immagini finali del libro è il passaggio di «un’invisibile nave lontana». Cosa rappresenta?
È un’immagine molto suggestiva, secondo me. Ma non è un’allegoria. Non rappresenta nulla di preciso. Ogni lettore potrebbe dare, del tutto legittimamente, una sua risposta.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Campiello?
Sono ancora indeciso sulla cravatta.
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