Premio Campiello 2016 – Intervista ad Alessandro Bertante
Gli ultimi ragazzi del secolo intitola Alessandro Bertante il romanzo che lo ha portato a far parte della rosa dei cinque finalisti del Premio Campiello 2016.
Edito da Giunti, Gli ultimi ragazzi del secolo racconta, come in uno specchio, la storia di un ragazzo, di Alessandro Bertante, e la Storia, di tutti quelli che hanno vissuto gli anni Ottanta e li hanno visti spingersi fin oltre il loro naturale limite cronologico.
Scrittore già ben noto al pubblico, Alessandro Bertante sceglie di svelare una Milano degli anni Ottanta così vivida da farti sentire parte di quella realtà, a prescindere dal fatto che tu l’abbia vissuta in prima persona o attraverso i film, i racconti, le canzoni di quel passato recente.
In occasione della prossima nomina del vincitore del Premio Campiello, abbiamo avuto il piacere di porgere alcune domande ad Alessandro Bertante.
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Si parla sempre più spesso di auto-fiction, come se i lettori si dimostrassero sempre meno stimolati dagli eroi canonici ma sensibili alle vicende degne di nota delle persone normali. Nel caso de Gli ultimi ragazzi del secolo, possiamo parlare di auto-fiction oppure, più precisamente, ci troviamo di fronte a un’autobiografia?
Decisamente autobiografico, anche se, ovviamente, mantiene l’ambiguità tipica della finzione. Mi sono dedicato e fermato a riportare in vita i miei ricordi sentendo più necessario ricordare che intrecciare finzione e realtà.
Da dove nasce l’idea del romanzo?
Avevo un conto in sospeso con gli anni Ottanta ma non riuscivo a trovare la forza di mettermi a lavorare sull’argomento. Sentivo, però, la necessità di farlo anche perché è un periodo poco raccontato sia nel cinema sia nei romanzi. Aspettavo il coraggio per affrontarli e quando questo è arrivato ho scelto come cornice narrativa un viaggio che ho fatto nel 1996, nei Balcani, per raccontare gli eventi di quegli anni, anche perché gli Ottanta durano di più del decennio. Anzi, se prestiamo attenzione, notiamo che non c’è una soluzione di continuità tra i due decenni.
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Cosa l’ha convinta a scegliere, tra le tante cornici possibili, quella della guerra nei Balcani?
Prima di tutto, il viaggio l’avevo fatto lì e non altrove, e anche in un periodo ben preciso. Oltre a questo, però, la Guerra dei Balcani rappresenta l’idea della fine dell’Europa come identità politica, e il primo passo verso un’Europa come entità finanziaria, che appartiene a una storia molto più recente. E, soprattutto, la Guerra dei Balcani rappresenta la tragedia in mezzo all’Europa, un aspetto molto significativo.
Confesso di esser rimasta molto colpita da suo stile, sempre in perfetto equilibrio: carico, ma non pesante; ricco, ma senza ossessionare il lettore con i dettagli. È il frutto di una scrittura di getto oppure di una ricerca specifica?
Ho lavorato a lungo a questo romanzo, parlo di circa due anni in cui ho scritto, tagliato, riscritto, sottratto informazioni e limato angoli fino a raggiungere una forma ricca, ma fruibile. Quindi niente scrittura di getto per Gli ultimi ragazzi del secolo, ma grande sforzo e lungo lavoro.
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Uno degli elementi che ricorrono con insistenza nel romanzo è quello della musica. Si ha quasi la sensazione che fluttui tra le righe l’idea che la musica possa essere responsabile di pensieri, di abitudini, quindi di un carattere. È, forse, una sua riflessione oppure è un elemento ricorrente per fini narrativi?
La musica non ha alcuno scopo scenico in questo romanzo, ma specie negli anni Ottanta. Allora, la musica aveva un valore identitario, quello che ascoltavi definiva il tuo ruolo nel mondo, la tua posizione politica, ciò che che eri. Vestivi in base alla musica che ascoltavi. La musica aveva il ruolo di grimaldello, ti faceva uscire da alcune situazioni per farti entrare in altre. Ovviamente, bisogna considerare il fatto che si ascoltava la musica in modo diverso, più intimo. Intrattenevi un rapporto personale con la musica, con il disco, che potevi ascoltare solo uno alla volta. Si consumavano i dischi da quanto lo si ascoltava, oggi invece si ascolta la musica in modo de-soggettivato.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Campiello?
Parto per una tournée di dodici tappe che mi rende molto contento e che mi darà il tempo per prepararmi. Sono emozionato a far parte dei finalisti, ma bisogna considerare che non sono più uno scrittore di primo pelo per cui non mi esalto facilmente.
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