Pietro Metastasio, un genio quasi dimenticato
Oggi, sentir menzionare Metastasio probabilmente origina due pensieri: o torna alla memoria qualche ricordo scolastico che rimanda a quel nome, oppure ci si interroga su chi sia costui.
In effetti, i testi scolastici attuali poco o nulla dicono di Metastasio, e in alcuni neppure compare. Questa assenza si può, forse, spiegare volgendo lo sguardo alle sue opere, un prodotto letterario “particolare”: Metastasio è un librettista, e come tale opera in un determinato contesto.
Egli nasce a Roma nel 1698, il suo nome è Pietro Antonio Trapassi, figlio di Felice Trapassi, un commerciante. Nel 1708, il letterato Gianvincenzo Gravina, membro dell’Accademia dell’Arcadia, passa davanti alla bottega dell’orefice dove Pietro era stato messo a imparare il mestiere, e lo sente, a dieci anni, cantare improvvisando. Colpito dalla sua abilità lo adotta e lo educa con istruzione classica, e Pietro dimostra di possedere un vero dono nel comporre versi e nell’improvvisare. Sarà Gravina a cambiare il suo cognome in “Metastasio”, volendo richiamare la classicità greca. Scrive poemetti, prende l’abito talare, e viene ammesso in Arcadia. Ma la svolta giunge nel 1724, quando a Napoli viene messa in scena la sua Didone abbandonata; il successo è clamoroso, e permette a Metastasio di accedere ai maggiori teatri italiani, dove vengono accolti i testi dei suoi drammi. Arrivano successi anche a Venezia e Roma, e altri capolavori quali Catone in Utica e Semiramide, fin quando nel 1729 sostituisce Apostolo Zeno come poeta cesareo alla corte di Vienna, incarico molto prestigioso sia sotto l’aspetto professionale, sia sotto quello economico.
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Metastasio arriva a Vienna nel 1730, e lì morirà nel 1782.
Sarà proprio con la sua produzione a Vienna e fare dell’italiano la lingua del melodramma, a esportare la cultura italiana, che mai sarà così viva in tutta Europa quanto nel momento in cui opera Metastasio.Ciò si deve al livello eccelso a cui egli giunge con i suoi testi. In un passo della seconda lettera della raccolta Lettres sur Métastase di Stendhal, si afferma che Dante, Petrarca, Ariosto, Boiardo, Tasso sono certamente stati eccellenti autori nel loro genere, ma nessuno ha raggiunto la perfezione che Metastasio raggiunge invece nel suo campo, restando del tutto inimitabile.
Egli è un poeta, come tale andrebbe studiato tra i grandi autori della letteratura, sebbene un “poeta per musica”, il migliore del XVIII secolo; studiare Metastasio significa, infatti, approcciarsi anche alla musica, è una poesia che deve essere cantata, finalizzata all’armonia, alla melodia, senza mai cedere, senza che l’opera ne risenta, sebbene egli stesso ritenga sempre la poesia più importante della musica.
Il melodramma metastasiano è un testo in cui si alternano con oculatezza passi recitativi e arie liriche, queste ultime puramente musicali, mentre il recitativo è, appunto, un “recitare cantato”; il recitativo ha scopo narrativo, l’aria è vera poesia, è il momento in cui i cantanti danno prova della loro abilità canora. I passi recitativi sono dialogici, costruiti sapientemente da Metastasio attraverso accorgimenti quali l’anafora, l’allitterazione, le pause e altre figure retoriche atte a mantenere sempre elevato il livello letterario, a cui unisce la rima per dare anche un senso poetico e non perdere musicalità.
L’aria è, invece, isolabile come una composizione a parte, e possiede un proprio senso morale, o sentimentale, o burrascoso ecc.
I versi che compongono recitativi e arie sono regolati dalla metrica, e vi è, naturalmente, una differenza tra la scelta dei versi con cui strutturare un recitativo rispetto a quelli scelti per l’aria; già nella lettura devono esprimere andamenti differenti, e l’aria deve necessariamente essere indirizzata verso il ritmo e la cantabilità. Nel recitativo si hanno così, solitamente, endecasillabi e settenari, con presenza di rime perfette e imperfette; un esempio chiaro, tratto dalla Didone abbandonata, è il discorso di Didone nella seconda scena del primo atto, vv. 47-59:
Enea, d’Asia splendore,
di Citerea soave cura e mia,
vedi come a momenti,
del tuo soggiorno altera,
la nascente Cartago alza la fronte.
Frutto de’ miei sudori
Son quegli archi, que’ templi e quelle mura;
ma de’ sudori miei
l’ornamento più grande, Enea, tu sei.
Tu non mi guardi, e taci? In questa guisa
con un freddo silenzio Enea m’accoglie?
Forse già dal tuo core
di me l’immago ha cancellata amore?
Tutto il recitativo si snoda tra endecasillabi (vv. 48, 51, 53, 55, 56, 57, 59) e settenari; le rime perfette sono ai vv. 54-55 e 58-59, mentre vi sono una serie di assonanze (-ore, -era, -ori, -ura) ai vv. 47, 50, 52, 53). Ben marcato è il chiasmo miei sudori / sudori miei dei vv. 52-54.
La lettura è scorrevole, si avverte la musicalità.
Le arie sono solitamente composte da versi più brevi, molte da quinari e senari, con rima obbligatoria nei versi finali, e la forma preferita è la struttura in due strofe, in particolare è molto utilizzata la doppia quartina. L’esempio è di nuovo tratto dalla Didone, siamo nella scena quarta del secondo atto ai vv. 136-143, a parlare è Didone, con schema di rime abacdbdc:
Ah, non lasciarmi, no,
bell’idol mio:
di chi mi fiderò,
se tu m’inganni?
Di vita mancherei
nel dirti addio;
che viver non potrei
fra tanti affanni.
E ancora Enea nella scena XVIIIin chiusura del primo atto, vv. 544-553, schema di rime abbcdeeffc:
Se resto sul lido,
se sciolgo le vele,
infido, crudele
mi sento chiamar.
E intanto, confuso
nel dubbio funesto,
non parto, non resto,
ma provo il martìre,
che avrei nel partire,
che avrei nel restar.
Lido in fine di primo verso è in rima interna con infido, nel terzo verso, mentre vi è una consonanza tra sento e intanto tra quarto e quinto verso.
Versi veloci, chiari per dar modo alla voce dei cantanti di affrontarli agevolmente, aiutati dalle rime e dal linguaggio semplice, dalle ripetizioni interne(che avrei, parto/partire, resto/restar). Durante l’esecuzione dell’aria, il cantante ripeteva più volte lo stesso verso, lo prolungava con la distensione della voce, a maggior ragione il testo doveva essere improntato al ritmo per poterglielo permettere. Tipicamente metastasiane sono anche le arie di ottonari, tra le quali una delle più celebri è tratta dall’opera Giuseppe riconsciuto, con rime abacdedc:
Se a ciascun l’interno affanno
si leggesse in fronte scritto,
quanti mai, che invidia fanno,
ci farebbero pietà!
Si vedria che i loro nemici
hanno in seno; e si riduce
nel parere a noi felici
ogni lor felicità.
In questo caso i due versi che chiudono le quartine sono ottonari tronchi, rimanti tra loro; leggendo le strofe si avvertono subito il ritmo e la musicalità, con accorgimenti quali la rima interna di hanno con affanno / fanno e la conclusione felici / felicità.
Metastasio dà dimostrazione della sua abilità tecnica, sfoggia una straordinaria facilità nel comporre versi che siano musicabili, rendendo le sue arie dei perfetti meccanismi di stile, ritmo e lessico.
Culturalmente egli attinge dalla classicità greco-latina, affronta e commenta le poetiche di Orazio e Aristotele, e, come si è visto, si volge anche a Virgilio, in particolare verso il IV libro dell’Eneide, dove si narra dell’amore disperato di Didone, che egli mette su libretto, non copiandolo, ma facendone un melodramma. Recupera il patrimonio classico, l’eroismo e l’amore antichi e mitologici, meglio se poco conosciuti in modo che si possano trattare con più libertà, e li “imita” riformulandoli e adeguandoli all’opera, sempre ricordando che i suoi lavori sono rivolti a un pubblico europeo colto.
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Riscoprire Metastasio significa ritrovare limpidezza e semplicità di linguaggio pur affrontando prodotti di alta letteratura, e di una letteratura votata al peculiare contesto della realizzazione dei libretti per melodramma settecenteschi, uscendo per un momento dal solco letterario classico del poeta scolastico come viene comunemente immaginato, per leggere e apprezzare storie e personaggi narrati in versi il cui scopo è essere cantati.
Metastasio è stato un prolifico genio che ha segnato un’epoca, e ha ripreso, così come la corrente neoclassica, l’antico adattandolo al moderno, esprimendo saggezza, riflessioni, spunti attraverso il suo linguaggio fatto di musicalità e rime, che, solo con la sua abilità, si mantiene sempre elevato e senza cedimenti lungo gli innumerevoli versi delle sue opere.
Riferimenti bibliografici:
Pietro Metastaio, Melodrammi e canzonette, a cura di Gianfranca Lavezzi con uno scritto di Stendhal, Milano, BUR, 2005.
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