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Piero Chiara e il cinema – 4. “Venga a prendere il caffè... da noi”

Piero Chiara e il cinema – 4. “Venga a prendere il caffè. . . da noi”Chiudo questo ciclo su Piero Chiara e il cinema con l’analisi di una delle trasposizioni cinematografiche meglio riuscite, quella del romanzo La spartizione, uscito nel 1964 e portato sul grande schermo da Alberto Lattuada nel 1970. Venga a prendere il caffè. . . da noi, che muta il titolo chiariano nell’invito che farà precipitare la trama, vinse due nastri d’argento prima di scomparire dal mercato degli home video e dalla tv per oltre tre decenni. Solo nel novembre scorso è uscito il dvd, a cura di RaroVideo (Minerva). Come per La stanza del vescovo, Il cappotto di astrakan e Il piatto piange, anche in Venga a prendere il caffè. . . da noi Piero Chiara ha collaborato attivamente alla sceneggiatura, a cui lavorò anche Tullio Kezich. Lattuada gli ritaglia addirittura una piccola parte, ampliando il personaggio del Pozzi, compagno di stecca del garzone Paolino, il giovane che si vuole “sistemare” sposando Tarsilla Tettamanzi, una delle tre sorelle protagoniste del romanzo di Chiara. La spartizione narra la tardiva scoperta sessuale delle tre sorelle Tettamanzi, relegate in un’esistenza “casa e chiesa” dal padre, patrocinatore legale. Alla morte del capo famiglia, con la quale si apre il film, le tre zitelle si trovano eredi di una bella fortuna e proprietarie di una delle più belle ville di Luino. Oltre allo spiantato Paolino, sarà l’impiegato statale quarantacinquenne Emerenziano Paronzini, arrivato a Luino da poco, a mettere gli occhi sulle sorelle, “brutte ciascuna a suo modo di una bruttezza singolare”. All’invito di andare a prendere il caffè a casa delle signorine Tettamanzi per dar loro una consulenza sull’eredità seguirà, nel giro di una stagione, il matrimonio del Paronzini con la sorella maggiore, Fortunata. Copulatore impenitente e insaziabile, il Paronzini vivrà “come un topo nel formaggio” in casa Tettamanzi, coccolato delle tre donne che inizierà ai piaceri del sesso. Oltre alla moglie Fortunata, che tornerà disfatta dal viaggio di nozze a causa del desiderio inesauribile del marito, il Paronzini diventerà l’amante delle due cognate e finirà per visitarle a turno ogni notte. Una full-immersion che finirà la notte in cui il suo cuore non reggerà a una maratona nei tre letti. Nel romanzo, le sorelle, pur risvegliate nella loro femminilità, si chiuderanno in una vedovanza corale, mentre Lattuada sceglie un finale meno tranchant ma più amaro. Sopravvissuto ai tre amplessi consecutivi, il Paronzini cadrà nel tentativo di sedurre anche la cameriera Caterina ― che nel film è un’avvenente biondina che legge Diabolik e ascolta Gianni Morandi, e non certo la vecchia Teresa del libro ― e finirà paralizzato su una sedia a rotelle, circondato dalle cure amorevoli del suo harem. Non sono le uniche differenze rispetto al romanzo. Il film è girato a Luino, nella sua ambientazione originale, ma la vicenda è attualizzata all’anno della sua uscita e non si svolge negli anni Trenta. Il Paronzini di Chiara, mutilato della Grande Guerra (ferito al gluteo destro, con conseguente “asportazione di parti carnee e deviazione del retto”) e iscritto al PNF, nel film ha un passato da reduce del fronte greco-albanese della seconda guerra mondiale ma conserva la stessa “imbarazzante” mutilazione. Tuttavia, il fattore temporale conta poco in questa “spartizione” di un uomo fra tre sorelle e non danneggia la trama. Ancora una volta la parte del protagonista maschile va all’insuperabile Ugo Tognazzi, il quale, dopo essere stato un lascivo Orimbelli (La stanza del vescovo), sarà un libidinoso Paronzini. Del resto, qualunque personaggio vittima di satiriasi sembra calzarlo a pennello. Fortunata, Tarsilla e Camilla Tettamanzi sono interpretate, rispettivamente, da Angela Piero Chiara e il cinema – 4. “Venga a prendere il caffè. . . da noi”Goodwin (oggi nei cast di diverse mini-serie televisive), Francesca Romana Coluzzi (la cui interpretazione le valse il nastro d’argento) e una giovane Milena Vukotić, grande attrice di teatro che nell’immaginario collettivo rimane “La Pina” di Fantozzi. Nonostante la sexy deriva che sembrano prendere tutte le riduzioni cinematografiche delle opere di Chiara abbia colpito anche Venga a prendere il caffè. . . da noi, c’è dell’arte nel taglio di Lattuada. Nel montaggio delle sequenze più “spinte” si vede la mano fine del regista de Il cappotto (1952) che, passata la fase neorealista, si è dedicato soprattutto a pellicole che esplorano il sesso e l’erotismo. Indimenticabile la doppia carrellata dell’ultima sera, che inizia a tavola fra le portate e finisce in camera da letto, fra i lunghi capelli di Fortunata, le gambe affusolate di Tarsilla e le mani delicate di Camilla. È proprio questo aspetto feticista del Paronzini, con la sua fissa morbosa per alcune parti dei corpi  delle Tettamanzi, a guidare l’occhio di Lattuada che, per tutto il film, segue chiome, cosce e dita delle tre vergini. Ma la “qualità” viene in gran parte anche dalla colonna sonora firmata da Fred Bongusto. Tutta tutta, il brano conduttore, è scritto da Lattuada, musicato da Bongusto e interpretato da I Giganti. Lattuada fa sua la storia di Chiara, ambientata in un’Italietta fascista, trasponendola in una satira di una certa borghesia di provincia, ipocrita e sessuofobica, sepolta da frustrazioni e repressioni. Particolarmente d’effetto la rappresentazione del desiderio carnale di Tarsilla che, a trentotto anni, si trova a guardare i nudi dei dipinti classici con desiderio e a leggere Histoire d’O di nascosto, prima di capitolare a Paolino e, poco dopo, al cognato. Se nel romanzo Chiara accentua l’aspetto sensuale del “brutto” dato dalle sorelle deformi, Lattuada si concentra sulla carica erotica che scaturisce dai corpi risvegliati dopo anni di mortificazioni perbeniste e di sonno carnale. Un risveglio che il Paronzini sottolinea durante l’ultima cena del film, guardando le sorelle dall’appetito ritrovato che ridono maliziose alle sue battute: “Però anche voi, che cambiamento: sembrate tre puttane!”. L’Emerenziano di Chiara, decisamente più abbottonato e meno spiritoso, non avrebbe usato queste parole ma questa scena ha quel carattere goliardico e scanzonato del miglior Chiara, ed è un degno titolo di coda per questo ciclo su Piero Chiara e il cinema.

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