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“Piccola dea” di Rufi Thorpe, storia di due amiche

“Piccola dea” di Rufi Thorpe, storia di due amichePiccola dea di Rufi Thorpe (Sonzogno 2015, traduzione di Cristina Vezzaro) racconta di un’amicizia nata tra due ragazzine e messa alla prova dal tempo, dai cambiamenti nel carattere e nella vita di ciascuna delle due protagoniste. Per la precisione, il romanzo offre un punto di vista su un’amicizia, il punto di vista di Mia, che è l’io narrante della storia e ci svela tutto del suo rapporto con la coetanea Lorrie Ann. Il suo racconto le offre però anche il pretesto per discutere una serie di problemi, che riguardano soprattutto la vita delle donne e la maternità.

Mia e Lorrie Ann sono amiche sin da piccole. Appartengono a due famiglie squattrinate e questo di sicuro le unisce, ma è l’unica cosa che hanno in comune, stando a Mia. Se la bionda Lorrie Ann è di una bontà e bellezza angeliche, Mia si descrive bruna, sexy, cinica e decisa a prendersi quello che la vita sembrerebbe volerle negare, ossia istruzione, successo, felicità e benessere. A Lorrie Ann Mia, che vive con una madre assente, un patrigno stupido e due fratellastri molto piccoli, invidia la famiglia, unita e felice, e il padre, cantante di christian rock.

Già all’inizio della storia, Mia chiarisce il significato che quell’amicizia ha avuto per lei: i giorni trascorsi da ragazzina con Lorrie Ann, nella dimessa cittadina balneare di Corona del Mar, in California del Sud, l’hanno aiutata a tirar fuori il carattere, che si è formato in opposizione a quello più remissivo dell’amica.

Lo conferma un altro “incidente” che accomuna le due ragazze, una gravidanza a sedici anni, alla quale reagiscono in modo opposto. Mia decide di abortire (autopunendosi però con un gesto assurdo e plateale), mentre Lorrie Ann (che ha «una strana predilezione per ciò che è etico») tiene il bambino, ne sposa il padre e rinuncia al piano di studiare all’università di Berkeley. Le loro strade a questo punto si dividono: Mia si è conquistata l’ammissione a Yale, dove studierà lettere classiche, Lorrie Ann invece resta a Corona del Mar, e una serie infinita di sventure comincerà a flagellarla. È la maternità, dapprincipio, che le manda a soqquadro la vita. Seguono – per lei e i familiari – lutti, mutilazioni, disabilità, morte in guerra, droga, disperazione, infine la fuga di Lorrie Ann dalla famiglia.

Sventure da saga moderna, tant’è che Mia (che nel frattempo ha preso il dottorato e si è trasferita a Istanbul per studiare la scrittura cuneiforme sumera) comincia a identificare l’amica con la dea Inanna, la protagonista di un ciclo di canti mesopotamici. Nel mito sumero, Inanna è una divinità sfrenata che ruba la saggezza al padre e la regala al popolo, poi sposa un mortale rendendolo re e infine scende negli inferi per sperimentare la morte, alla quale riesce a sfuggire a patto di sacrificare l’amato.

“Piccola dea” di Rufi Thorpe, storia di due amiche

Negli anni, Mia segue a distanza le vicende ora tragiche ora picaresche di Lorrie Ann, cerca come può di starle vicina, si interroga sulle sue scelte sempre più incomprensibili. Persino quando, a un certo punto, i contatti tra le due si interrompono del tutto, Mia continua a riflettere sull’amica, e a vedere sé stessa paragonandosi a lei, anche come madre. Scegliere di essere madre, e in che modo esercitare questo ruolo è un problema centrale nel libro. Le due donne hanno vissuto questa esperienza in circostanze molto diverse e con una consapevolezza differente. A una delle due la vita ha dato quello che ha tolto – immeritatamente – all’altra.

Se Lorrie Ann infine, come Inanna, riesca a risalire dagli inferi, se il dolore provato la renda libera o schiava, stolta o saggia agli occhi di Mia, non mi è riuscito di capirlo. E non mi è chiaro nemmeno cosa voglia dire Mia sul conto della sua amica, se Lorrie Ann le appaia, da adulta, come una falsa dea oppure una dea ribelle e anticonformista, se la critichi o la giustifichi per avere abbandonato casa e famiglia, o entrambe le cose. Il paradigma iniziale del romanzo comunque alla fine si inverte: ora è Mia la brava ragazza, dotata di senso etico, mentre Lorrie Ann è in fuga da ogni responsabilità.

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Il romanzo è ben scritto e scorre via che è un piacere, specie quando descrive i ricordi e le scorribande di Mia e Lorrie Ann a Corona del Mar, con immagini semplici e buffe, come lo sono le ragazzine. «Per noi la famiglia di Lorrie Ann era splendida, e quello splendore si trasferiva a Lorrie Ann. […] Era il suo splendore a rendere grazioso, e non ridicolo, che in prima media Lorrie Ann fosse l’unica di noi a non depilarsi ancora le gambe. Credo fossimo tutte gelose di quella bella peluria dorata, un riflesso di polvere di fata sui suoi polpacci. Perché su di lei era così bella mentre sui nostri piccoli stinchi flemmatici aveva un aspetto tanto brutto e infame? Perché Lorrie Ann riusciva a essere elegante persino in scarpette da ginnastica malconce e pantaloncini un po’ troppo piccoli per lei? Perché risultava deliziosa quando, ridendo troppo forte, finiva per fare versi da maialino? Sì, eravamo gelose di lei, eppure non la odiavamo. Non la stuzzicammo nemmeno una volta, noi monelle vagabonde di Corona del Mar, ladre di noccioline e aranciata, fanatiche del lucidalabbra e del turpiloquio, figlie di finte chiromanti e specialiste di flebotomia fresche di diploma».

“Piccola dea” di Rufi Thorpe, storia di due amiche

La seconda parte del romanzo però, che evoca immagini molto meno piacevoli, è lunga e stiracchiata. Affastella troppi avvenimenti, a volte incongrui, intrecciandoli a riflessioni forse un po’ caotiche. Vi si discute di tutto: guerra in Medio Oriente e assistenza ai disabili, genocidio degli armeni e degli indiani d’America, aborto e maternità, eutanasia, protocolli disastrosi dei reparti di ostetricia, abusi in famiglia, droghe di ogni tipo. C’è un viaggio in India, ancora la droga, il mondo degli attori e delle modelle e quello accademico, il rock cristiano e quello islandese. La storia si legge ancora con una certa curiosità, che a poco a poco va scemando, perché la narratrice ci irrita un po’, e ci confonde con tanta carne al fuoco. Ci tiene a comunicarci che è una donna colta (così si autodefinisce con soddisfazione), consapevole del «Geist culturale» del tempo, e una madre a cui stanno a cuore i problemi delle donne e delle loro vagine bistrattate da ginecologi senza scrupoli e genitori incestuosi (vagina è una parola che ricorre molto, fa parte anche del vocabolario di Mia e Lorrie Ann bambine).

C’è un momento giusto per abortire, e un momento sbagliato? Prendersi cura di un figlio disabile è un dovere irrinunciabile per una madre? Ci si chiede soprattutto, nel romanzo. Non è chiaro quale sia la risposta. Intanto, Mia ci consegna un quadro perfetto di sé – amica, docente universitaria, e finalmente madre, moglie, figlia e sorella modello – mentre presenta il fallimento di Lorrie Ann, una madre che si è dimessa dai suoi doveri, con una certa Schadenfreude (per dirla in tedesco anch’io). Così, dallo scambio fruttuoso dell’amicizia giovanile, tanto importante per formare la personalità, è stata solo Mia a guadagnarci, pare. L’ex piccola dea, invece, col tempo si è smarrita.

Consiglierei Piccola dea di Rufi Thorpe a chi ha voglia di leggere delle contraddizioni nei rapporti d’amicizia tra donne, di contraddizioni in generale, e a chi, come me, non ha mai sentito parlare prima del ciclo di Inanna.  

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