“Perdersi”, una storia di amore e inganno firmata Elizabeth Jane Howard
Elizabeth Jane Howard è tornata nelle librerie italiane con il romanzo Perdersi, tradotto per l’editore Fazi da Sabina Terziani e Manuela Francescon. Uscito per la prima volta nel 1999, ripercorre in maniera romanzata una triste vicenda autobiografica che ha visto l’autrice vittima di uno stalker poco tempo dopo il grande successo della saga dei Cazalet.
Come Howard, anche Daisy è una scrittrice londinese di successo. Un giorno, stanca della frenesia della città, decide di trovare un rifugio in campagna in cui staccare la spina al bisogno. Ed è proprio in questo cottage un po’ malandato che incontra Henry, un po’ per caso e un po’ perché, scopriremo abbastanza presto, Henry è molto bravo a far capitare le cose.
Daisy ha più di sessant’anni, due matrimoni falliti alle spalle, una figlia e una carissima amica che le fa anche da agente. Ha perso i genitori da piccola ed è cresciuta con una zia che l’ha amata fino all’ultimo giorno della sua vita. Certe perdite, però, non si superano mai e, quando la incontriamo, Daisy si porta ancora addosso i segni dei vari abbandoni subiti; è una donna fragile e sola che nel profondo desidera ancora essere amata, nonostante un apparente muro di disincanto verso le relazioni.
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Come se ciò non bastasse, poco tempo dopo aver acquistato il cottage, durante un viaggio in Messico, Daisy si rompe malamente una gamba. L’incidente la costringe in ospedale per oltre un mese e quando torna al cottage il suo senso di solitudine e isolamento è ancora più forte.
È in questo contesto che si inserisce Henry, un manipolatore preciso e metodico che ha imparato a essere cauto e paziente per insinuarsi nella vita delle sue vittime.
La prima volta che vede Daisy, Henry capisce subito che è la donna giusta per il suo miserabile scopo e si propone come giardiniere, approfittando del pessimo stato in cui versa il giardino. Quando poi scopre della caduta, si insinua nell’intimità di Daisy con lunghe lettere a cuore aperto in cui mette a nudo il suo tragico passato e confessa la sua solitudine. Tutte, o quasi, menzogne.
Daisy torna al cottage e, naturalmente, Henry si offre di assisterla come tuttofare e autista, ma ecco che Daisy cade sul selciato bagnato ed Henry ha l’occasione perfetta per avvicinarsi ancora di più alla sua preda. Diventa così il suo infermiere e presto le confessa il suo amore, ed è talmente bravo a calcolare cosa dire e come, da vincere le iniziali resistenze di Daisy ed entrare nel suo letto.
E la figlia? E la sua amica? direte voi, ebbene il punto è che Daisy è sola al cottage e inizia a omettere delle verità ai suoi cari mentre Henry, dal canto suo, sa bene che deve insinuarsi in questa solitudine per creare un rapporto abbastanza solido da essere difeso da attacchi esterni, e deve farlo ora che ne ha l’occasione.
«Ho impiegato mesi a trovarla; ci sono voluti tempo e ingegno per combinare un incontro, poi altri mesi e montagne di lettere per rassicurarla che ero quello giusto. Devo confessare che all’inizio di tutto non ero affatto sicuro che ci sarei riuscito.»
Credo che Henry sia il personaggio più odioso che mi sia mai capitato di incontrare in un romanzo contemporaneo. Per tutta la lettura non ho fatto altro che pensare: “sei un farabutto!” e ho fatto davvero fatica ad andare avanti, ho odiato dare il mio tempo alle sue macchinazioni. Sentirlo ripetere “Ora devo solo innamorarmi di lei” e seguire i suoi ragionamenti tanto lucidi quanto opportunisti mi ha fatto avere l’orticaria per tutta la lettura.
E Daisy, così fragile e ferita dalla vita, be’, ho trovato insopportabile anche lei e non per mancanza di empatia o perché in un qualche modo la colpevolizzo; no, credo solo che la vita professionale le abbia dato abbastanza conferme da renderla più sicura di così, e questo anche prima di incontrare Henry.
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Chi era Elizabeth Jane Howard non credo ci sia bisogno di raccontarlo, tutti hanno sentito parlare della saga dei Cazalet e la sua bravura come scrittrice è ormai un dato di fatto incontrovertibile, e così sarà finché ci saranno così tanti lettori impazienti di (ri)leggere la sua produzione. Dal canto mio, in Perdersi non posso che apprezzare la sua capacità di creare dei personaggi che sanno suscitare così tante emozioni, anche se negative, ma allo stesso tempo ho un po’ patito la lentezza della prima metà del romanzo, forse proprio perché Henry ha molto spazio e non volevo ascoltarlo.
Per la prima foto, copyright: Jacques Bopp su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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