"Percoco", il racconto della prima strage famigliare italiana
Nel 1956 a Bari Franco Percoco uccise i genitori e il fratello minore, occultò i loro corpi e per 12 lunghi giorni si comportò come nulla fosse accaduto. Partecipò a feste, si intrattenne con gli amici... fino a quando non decise di lasciare la sua città e rintanarsi in un hotel di Ischia dove si registrò con il suo vero nome e dove lo trovarono i carabinieri giunti sul posto per arrestarlo.
La vicenda dei Percoco è stata indicata come la prima strage famigliare italiana eppure di quanto accaduto si è sempre saputo ben poco.
Marcello Introna, autore televisivo e sceneggiatore, ha studiato l'intero fascicolo relativo al caso Percoco cercando di ricostruire non tanto la vicenda giudiziaria che ne è seguita quanto tutto ciò che è accaduto nella famiglia e nella mente di Franco e che lo ha portato a compiere la strage e racconta il tutto in un libro.
Percoco, edito nel 2012 da Il Grillo Editore, riproposto quest'anno da Mondadori è un romanzo con intensi risvolti psicologici che ruota intorno alla figura del personaggio principale, Franco Percoco, e della sua famiglia. Un libro, scritto a partire dagli atti del processo, che cerca di ricostruire, di immaginare il percorso compiuto e subito da Franco e che lo ha portato a uccidere i suoi famigliari e sentirsi finalmente un uomo libero.
Quali sono le peculiarità di questa vicenda? Percoco era predestinato al male? La sentenza che ha condannato i giornalisti che all'epoca hanno raccontato la vicenda è ingiusta? L'interesse verso questo genere di accadimenti oggi al contrario di allora è troppo? Ne abbiamo parlato con Marcello Introna in un'intervista.
La vicenda narrata in Percoco ripercorre le fasi di quella che è stata definita la prima strage famigliare italiana. Quanto accaduto a Bari per mano di Franco Percoco ha qualcosa di unico per efferatezza e apparente lucidità. Siamo dinanzi a un dramma tutto famigliare, oppure può essere la cartina di tornasole di alcuni cambiamenti in atto nella società dell’epoca?
Credo che i cambiamenti in atto nella società dell'epoca abbiano avuto un peso relativo. Certo erano i primi anni dopo la guerra in cui si pensava all'effimero oltre che allo stretto necessario, ma la vicenda della famiglia Percoco sarebbe stata identica in ogni epoca e in ogni parte del mondo. È una storia di clamorose e volute incomprensioni, di aspettative mal riposte innocentemente e di aspettative mal riposte in cattiva fede. Oscar Wilde diceva che le persone hanno sempre una maschera in faccia ed è la loro unica attrattiva. La famiglia Percoco, secondo questo ragionamento, era paragonabile a un intero carro allegorico. Di quelli che sfilano per le vie principali a Viareggio.
La letteratura ha sempre mostrato un certo interesse per l’analisi dei casi di cronaca. Fino a che punto la ricostruzione letteraria può essere un modo per comprendere il male, o comunque le radici di azioni così truci?
Posso dire cosa è successo a me. Ho approcciato la storia di Percoco convinto di vedere schizzare sangue e budella; mi sono trovato davanti a qualcosa di molto diverso e decisamente meno colorato. Tramite la mia ricostruzione ho capito che le "radici del male", come le definisce lei, erano le normali attese che una famiglia in apparenzanormale nutriva nei confronti di se stessa. Se si perseguita qualcuno con metodi razionali, continui, sistematici e ciclici può accadere anche questo: che quella apparente normalità diventi un mostro. Franco Percoco era un ragazzo di certo particolare, ma lontano anni luce dal significato che sul dizionario appare scritto accanto al sostantivo "omicida". Il mio romanzo non è affatto un noir, tantomeno un giallo. Forse, come lo ha definito Cristian Caliandro, un mio caro amico, è un romanzo di formazione al contrario. Un romanzo di "deformazione".
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Cosa l'ha spinta a indagare a ritroso per ricostruire i tasselli della vita di Franco Percoco e della sua famiglia?
Io sono un barese orgoglioso e profondamente innamorato della storia della mia terra. La vicenda dei Percoco da noi non è mai passata; è transitata piuttosto, ma lungo un percorso che la riportava puntualmente all'origine. Via Celentano 12. Ciò che ha fatto scattare la scintilla è stato un articolo sulla povera Sara Scazzi in cui un trafiletto citava Franco Percoco mettendo in parallelo le due vicende. Ho chiesto quindi il permesso di accedere agli atti e dopo averlo ottenuto (non è stata la cosa più facile del mondo peraltro) ho studiato il faldone del processo con una mia amica criminologa: Elisabetta de Robertis.
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Cresciuto in una famiglia che si vergognava dei propri figli, affetto da “esaurimento cronico” e “abitudinario patologico”, Percoco era predestinato al male?
Credo di sì. Penso che ognuno di noi sia predestinato a qualcosa. Ma di certo Percoco non era pazzo, quantomeno non nell'accezione strettamente mentale che si attribuisce al termine. Studiando il processo e scrivendo, mi sono ritrovato paradossalmente a fare il tifo per lui. Intendiamoci... non giustifico affatto, ma per certi versi ho compreso e per quanto materialmente lo sia stato, non era lui il vero assassino in quella casa. Ci sono tante maniera di uccidere le persone.
Franco Percoco nascose in casa i corpi dei famigliari per 12 giorni, durante i quali partecipò a feste, frequentò gli amici, condusse forse la vita che aveva sempre desiderato. Lui ha vissuto l'assassinio come una catarsi e una liberazione?
Lui ha vissuto quei giorni concentrato solo sul presente immediato. Non si è posto il problema, né lo ha fatto quando è fuggito da Bari. Sì, ritengo sia stata una liberazione, un senso di leggerezza così tanto predominante da cancellare momentaneamente qualcosa a cui probabilmente avrà pensato per il resto della sua vita.
Percoco ha saldato il suo conto con la giustizia dopo soli 22 anni, dopodiché si è trasferito a Torino, ha trovato un lavoro e una moglie e ricominciato un'altra vita. Luigi de Secly, direttore della «Gazzetta del Mezzogiorno», e Ciro Bonanno, giornalista che firmò un articolo sul caso Percoco, non sono più stati reintegrati a lavoro dopo l’accusa di aver dato notizie raccapriccianti e aver fomentato il terrore in cui versava il capoluogo pugliese. Non trova tutto ciò paradossale?
Trovo enormemente esagerato il provvedimento nei confronti della «Gazzetta del Mezzogiorno» all'epoca, come trovo esagerata l'esposizione della truculenza oggi. Ovviamente non c'è alcuna via di mezzo, ma del resto il nostro è un Paese che vive di estremi quando ci vorrebbero le vie di mezzo, e di vie di mezzo quando bisognerebbe essere decisi.
Oggi, gran parte del giornalismo e della televisione si basa sulla spettacolarizzazione e sul resoconto dettagliato di ogni crimine commesso. È un bene o un male?
Mah... credo che sia un male. La morbosità è un male e ingenera sentimenti di emulazione. Insomma non è possibile che oggi gente che si è macchiata di crimini disgustosi e molto meno "giustificabili" di quello di Percoco venga eletta star televisiva e in alcuni casi addirittura a moralista. Percoco nel 2016 sarebbe stato invitato a partecipare all'Isola dei famosi . O magari a X Factor.
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