Perché studiare latino è utile?
Il presente non basta – la lezione del latino (appena pubblicato da Mondadori) è un saggio di Ivano Dionigi, uno dei massimi latinisti italiani, professore ordinario di letteratura latina ed ex rettore dell'Università di Bologna.
In un linguaggio chiaro e scorrevole, il saggio spiega l'importanza che la lingua latina continua ad avere nel mondo contemporaneo: prima di tutto come tramite tra noi e gli antichi, perché è attraverso il latino che abbiamo ereditato i fondamenti delle culture greca ed ebraica, e gran parte del sapere dei secoli successivi, quando questa era la lingua universale che permetteva agli studiosi di comunicare tra loro in tutta Europa, nello stesso modo in cui oggi viene utilizzato l'inglese.
Linguaggi specifici, come quello ecclesiastico e quello giuridico, contengono tuttora moltissime espressioni latine, come del resto l'italiano contemporaneo: anche chi pensa di non sapere nulla di latino, e chi non l'ha mai studiato a scuola, in realtà ne fa molto spesso un uso inconsapevole mentre parla o scrive.
Studiare il latino non significa quindi apprendere una lingua morta, ma imparare molto del nostro passato, fino a comprendere le ripercussioni che esso ha sul nostro presente: il presente non basta se rinneghiamo ciò che ha costruito nel corso dei secoli gran parte del nostro bagaglio culturale.
Di tutto questo abbiamo parlato a lungo con il professor Dionigi, nel corso del suo recente passaggio da Milano per presentare il libro.
Com'è nato questo libro?
Ero al termine del mio rettorato, e dovevo trovare un modo per congedarmi, come si usa fare in università. Rettori precedenti avevano organizzato concerti o altro, io non sapevo cosa scegliere, ma poi ho pensato che il mio mestiere è fare il professore, perciò ho deciso di fare una lezione di latino che riassumesse in qualche modo la mia vita personale e pubblica. Poi di questo si è parlato un po', «Repubblica»ha pubblicatoun articolo intitolato Ode civile al latino e alcune case editrici si sono mostrate interessate a farne un libro.
Tutti abbiamo dei pregiudizi sul latino, a partire dal fatto che venga considerato uno studio elitario, riservato a pochi…
Chi ha messo le mani addosso al latino e ne ha fatto un uso maldestro, riducendolo a pretesto delle proprie ideologie, è stato prima di tutti il fascismo. Basta andare a guardare come furono celebrati, negli anni Trenta, il bimillenario di Orazio e di Augusto, con una retorica tronfia e marziale. Addirittura si è arrivati a fare di Orazio un precursore del cristianesimo... Il latino è stato danneggiato da questa ideologia così pesante, che ha usato i poeti classici per pura propaganda, a cui si è aggiunta la riforma Gentile, secondo la quale il liceo classico, destinato alla futura classe dirigente, era aperto solo ai figli di papà. Tutto questo ha scatenato una tremenda reazione di rifiuto, fecendo nascere un dibattito parlamentare molto feroce negli anni Cinquanta, da cui è scaturita la riforma che ha abolito il latino nelle scuole medie. Nenni chiamava il latino «la lingua dei signori», eppure molti uomini colti di sinistra, a partire dalo stesso Togliatti, erano contrari a questa abolizione.
Cos'è un classico? Si potrebbe riempire una parete di libri che definiscono cos'è un classico, ma a me piace più di tutte la definizione data qualche anno fa da Umberto Eco: «I classici sono quelli che i professori ci hanno fatto odiare a scuola, ma che poi tutti abbiamo riscoperto da adulti perché ci allungano la vita». Il classico è uno che ha scritto per noi. Di tutti i libri che vedete adesso intorno a voi in questa libreria, credo che tra un po' non resterà nulla, perché questi sono autori che hanno scritto per sè, per scalare le classifiche di vendita, ma non per noi, non per gli altri. Il classico non è qualcosa di ammuffito e con lo sguardo rivolto all'indietro ma è qualcosa che resiste alle mode, e che spesso si pone come antagonista del potere.
Il secondo pregiudizio riguarda l'inutilità del latino oggi.
Quanto al fatto che sia utile o meno, se andiamo a vedere quello che è veramente utile nella vita, non finiamo più. In università, quando da rettore sono stato costretto a ridurre i dipartimenti per mancanza di risorse, e ho dovuto ascoltare le lamentele di tutti riguardo alla necessità di nuove sedi, nuovi laboratori, nuovi docenti, un professore mi ha detto: «Sa rettore, ci servirebbe un po' di poesia». La poesia è utile? Non lo so, ma fa vivere meglio.
A mio avviso si può anche fare a meno dei classici e del latino, ma si vive peggio. Se uno non ci crede per convinzione, dovrebbe almeno capirlo per convenienza.
In Italia possediamo un patrimonio straordinario – archeologico, storico, letterario – nel segno di Roma, che ci trasmesso anche la cultura greca ed ebraica. Giuseppe Pontiggia diceva «Se Roma fosse sorta nel Texas gli americani ne avrebbero avuto ben altro rispetto e attenzione», ed è verissimo.
Ho visto turisti a Venezia girare per la città e trovare la maggior parte delle chiese chiuse al pubblico. Ecco, pensate se si assumessero dei giovani per tenerle aperte e fare da guida ai turisti, raccontando loro il nostro passato, non sarebbe una cosa utile, che creerebbe tra l'altro dei posti di lavoro?
Dopo gli attentati a Parigi, l'anno scorso, sullo striscione che apriva una manifestazione di solidarietà in place de la Concorde c'era scritto fluctuat nec mergitur: è il motto di Parigi, ritagliato nel 1328 da una frase più lunga attribuita a Orazio. Una nave squassata ma che non affonda: dalla Roma imperiale, attraverso molti passaggi, la gioventù della banlieu parigina, per fare il suo inno alla vita è ricorsa a tre parole di una lingua morta.
Oggi si sono create due situazioni che sembrano in conflitto tra loro. Magari a scuola il latino è odiatissimo, eppure in questi anni nella letteratura per ragazzi, soprattutto se ha una componente fantastica, misteriosa, paranormale, si trova un sacco di latino. Non è paradossale che dei ragazzi si facciano il tatuaggio del motto latino trovato in un romanzo americano, magari presa dallo stesso autore classico che a scuola odiano? Non dovremmo imparare a sentire il latino più vicino a noi?
A quanto pare, abbiamo avuto bisogno che arrivasse a Roma Zuckenberg, che è comunque un genio ma non ha mai studiato latino, e citasse frasi latine davanti al Colosseo, per accorgerci che il latino sarebbe da apprezzare...
L'accanimento grammaticale e sulle traduzioni a scuola è senz'altro negativo. Spesso la classicità va in malora per opera dei classicisti stessi, che sono ossessionati dalla grammatica e sfiancano gli studenti sulle regole prima di farli avvicinare ai testi. Anch'io ho resistito per anni al latino insegnato nelle scuole dei preti: un triennio di sola grammatica senza arrivare al testo, per me una perversione della ragione, puro sadismo.
Ci sono scuole dove oggi sperimentano l'uso del latino come lingua viva, facendo dialogare tra loro gli alunni. Non sono molto convinto di questo metodo: non si può far resuscitare una lingua morta, la si studia per andare a capire cosa ci hanno lasciato gli autori che hanno scritto in quella lingua.
La Chiesa ha difeso il latino fino all'ultimo perchè col tempo era diventata una lingua misteriosa, che i fedeli non capivano più e ripetevano meccanicamente, storpiando le parole. Da qui, forse, viene quell'alone di mistero che piace agli autori americani.
Oggi il mondo digitale ha dilatato enormemente lo spazio in cui viviamo, ma ha ridotto il tempo al momento presente. Noi siamo tempo, ma i giovani hanno perso il senso del tempo, potendo fare in un nanosecondo quello che in passato richiedeva mesi di lavoro.
Tutti usano lo stesso linguaggio molto ridotto, fanno le stesse cose e hanno gli stessi pensieri più o meno di moda. Ma senza il senso della diversità cosa si conosce veramente?
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Abbiamo bisogno di leader che non siano schiavi del presente, e possano unire il pensiero dei padri, la tradizione del passato con il nuovo, che non è la moda ma ciò che irrompe, che non ha ancora nome e deve essere compreso. Novum da unire al notum.
Il fenomeno migratorio, ad esempio, è un novum che va ancora capito del tutto. Per me siamo solo all'inizio.
Il tempo si comprende solo conoscendo il passato, perciò il latino serve per comprendere meglio l'italiano che parliamo. C'è chi ha equiparato la brevità e la concisione del latino ai 140 caratteri di Twitter, ma un tweet non comunica lo spessore del tempo come una frase latina.
Se potessimo mettere nella stessa aula un professore di una materia umanistica e uno di informatica, avremmo la sintesi ideale: uno insegnerebbe ai ragazzi il senso dello spazio e l'altro il senso del tempo, meglio ancora se fosse lo stesso insegnante a poter sintetizzare i due aspetti.
L'apprendimento del latino diventa allora soprattutto un problema di didattica? Nei primi anni di liceo, ad esempio, capita spesso di tradurre autori fuori dal loro contesto storico, con insegnanti che insistono molto sulle regole grammaticali ma non sono capaci di appassionare gli studenti al resto.
Il contesto senza dubbio fa la differenza: oltre la grammatica, bisogna saper comunicare il gusto della parola, l'uso del lessico e il suo significato: dopo aver spiegato l'etimologia, si può anche approfondire la grammatica, non prima.
C'è chi ha pregiudizi verso il latino e chi li ha verso la tecnologia, ma non dimentichiamo che tra i giovani che stanno crescendo e chi insegna, i vincenti saranno i giovani. Tocca agli insegnanti adeguarsi al mondo che cambia.
LEGGI ANCHE – “Un italiano vero”, per conoscere meglio la lingua in cui viviamo
E allora noi, che veniamo da una dimensione più analogica, come possiamo adeguarci alle tendenze contemporanee e trasmettere il patrimonio del passato?
La compresenza dei due insegnanti per me è il punto di partenza, perché non tutti i docenti padroneggiano i due linguaggi, ma in futuro dovremo avere insegnanti esperti in entrambi i campi. I giovani sono un terreno fertilissimo e necessitano una pedagogia sana. Non si tratta di facilitare e semplificare, come si tende a fare adesso, ma di rendere le cose comprensibili, che non è la stessa cosa. Gli insegnanti si devono senza dubbio rifondare, anche se questo non sarà possibile a tutti.
Eliminamo le due culture contrapposte e fondiamo i linguaggi per arrivare all'univocità.
Quand'ero giovane, noi volevamo uccidere i padri e uccidere l'autorità. Adesso i giovani il padre lo cercano, non hanno il complesso di Edipo ma quello di Telemaco: il mondo è cambiato in modo molto diverso da come immaginavamo allora.
Il presente non basta, ma è mai bastato?
È chiaro che il presente non basterà mai, e guai se bastasse all'uomo.
Pensate a un giornale quotidiano, l'emblema del presente: fino a qualche anno fa lo leggevo la sera, poi sono passato a leggerlo al mattino, adesso spesso esce già vecchio, superato dagli aggiornamenti in rete.
I classici sono esotici, sono diversi, non sono moderni, per questo resistono. Io rabbrividisco quando sento parlare di "attualità dei classici"!
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