Perché leggiamo? Le due risposte di C.S. Lewis
Interrogarsi sulle ragioni che ci spingono a leggere e a continuare a farlo può essere sicuramente di aiuto. E lo è sia per noi stessi, quando ci sentiamo troppo stanchi per continuare, sia magari per chi di solito non legge ed è alla ricerca di una scusa qualsiasi per continuare a non farlo.
Ma al di là delle possibili motivazioni personali che ci spingono a superare gli ostacoli che più o meno consapevolmente ci separano dalla lettura o che, invece, ci aiutano ad accettare sempre nuove sfide letterarie, proviamo ad analizzare le risposte fornite da C.S. Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia, ma anche di opere filosofiche e di critica letteraria.
Tra queste ultime, ricordiamo il saggio del 1961, An Experiment in Criticism, nel quale Lewis individua due risposte alla domanda sul perché leggiamo.
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La prima riguarda il potere della letteratura di espandere i nostri mondi interiori:
Quelli fra noi che sono stati veri lettori per tutta la vita di rado si rendono pienamente conto dell’enorme estensione del nostro essere che dobbiamo agli scrittori. Ce ne rendiamo conto meglio quando parliamo con un amico che non ama leggere. Potrà essere pieno di bontà e buon senso ma abita un mondo piccolo. In esso, noi saremmo soffocati. L’uomo che si accontenta di essere solo se stesso, e perciò meno di un sé, è in prigione. I miei occhi non sono abbastanza per me, io vedrò attraverso quelli degli altri. La realtà, anche vista attraverso gli occhi di molti, non è abbastanza. Vedrò quello che gli altri hanno inventato. Anche gli occhi di tutta l’umanità non sono abbastanza. Mi dispiace che i bruti non possano scrivere libri. Molto volentieri imparerei con quale aspetto si presentino le cose a un’ape o a un topo, e ancora più volentieri percepirei il mondo olfattivo carico di tutte le informazioni ed emozioni che porta per un cane.
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Nell’ampliare la nostra realtà individuale, secondo Lewis, i grandi libri riescono anche a contenere e a consolarci delle nostre emozioni più travolgenti e – ecco la seconda risposta – ci fanno trascendere noi stessi in un modo molto particolare:
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L’esperienza letteraria guarisce le ferite dell’individualità, senza comprometterne il privilegio. Ci sono tantissime emozioni che guariscono le ferite, ma distruggono il privilegio. In esse, i nostri sé separati sono congiunti e noi affoghiamo nella sub-individualità. Ma leggendo la grande letteratura divento migliaia di uomini e, al tempo stesso, resto me stesso. Come un cielo di notte nella poesia greca, vedo con miriadi di occhi, ma sono ancora io a vedere. Qui, come nel culto, nell’amore, nell’azione morale e nella conoscenza, trascendo me stesso e non sono mai me stesso come quando faccio queste cose.
Per la prima foto, copyright: Les Anderson.
Per la terza foto, copyright: Ben White.
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