Per vivere basta lasciarsi amare. “Chiamami col tuo nome” di André Aciman
«In un romanzo è importante che il lettore ritrovi qualcosa che sapeva già ma a cui non aveva mai pensato o a cui non si era dedicato abbastanza» dichiara André Aciman, l’autore di Chiamami col tuo nome in un’intervista rilasciata a «Il Messaggero» lo scorso giugno: mai sono state adoperate parole migliori per definire una poetica e i caratteri di un romanzo a dir poco mozzafiato.
Edito da Guanda per la collana “Narratori della Fenice” nella traduzione di V. Bastia, Chiamami col tuo nome (dal quale è stato tratto l’omonimo film diretto da Luca Guadagnino, con la sceneggiatura di James Ivory) riflette, appunto, sul tema più ovvio della letteratura: l’amore. La narrazione è incentrata sulla reminiscenza che nel 2008 il protagonista Elio, alle soglie dei quarant’anni, compie di una parentesi molto importante della sua vita sentimentale. Siamo nel 1988, in un luogo indefinito della riviera ligure chiamato B.: i due personaggi della vicenda sono un Elio diciassettenne, liceale introverso e profondo, appassionato di musica classica e libri, e il ventiquattrenne Oliver, ricercatore universitario newyorkese dal carattere altero e schivo che trascorre l’estate di quell’anno in Italia per sottoporre la sua tesi di dottorato alle correzioni e alle integrazioni del padre di Elio, docente di materie umanistiche stimatissimo nelle università europee e americane. Durante la bella stagione la famiglia di Elio è solita ospitare per sei settimane circa degli intellettuali presso la propria residenza estiva ma, nonostante l’abitudine, il ragazzo intuisce da subito la diversità del suo rapporto con il giovane americano. Tra i due, infatti, è evidente sin dall’inizio dei fatti narrati un’intesa sottaciuta per vergogna o per senso di inadeguatezza, ma ugualmente viva tanto nella loro fede religiosa, poiché entrambi ebrei – un dato che richiama in maniera diretta la dimensione sessuale, secondo la Weltanschauung di Aciman – quanto nei gesti di reciproca accondiscendenza che si regalano a vicenda: si pensi, ad esempio, all’episodio della melodia di Bach, di cui Oliver richiede con bramosia impertinente un’esecuzione ma Elio la rimanda in maniera sensualmente giocosa, oppure al cosiddetto “mancamento” avvertito dall’adolescente, cioè un improvviso senso di vertigini che lo colpisce mentre Oliver gli massaggia le spalle. Del resto, i gesti hanno un valore rituale in questo amore, ne costituiscono un vero valore fondativo perché lasciano spazio al carattere istintuale e immediato del sentimento, costretto a rimanere nascosto tra le strette mura della camera da letto di Elio per decenza famigliare e sociale.
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È difficile non stare al passo del flusso di pensieri e ricordi di cui si compone il romanzo: il narratore ricostruisce con fluido realismo psicologico, emotivo e corporale l’intreccio erotico-sentimentale che si crea tra le anime di questi due giovani legati l’un l’altro da un amore irripetibile, che si autoalimenta per almeno vent’anni nonostante sia nato tra le miriadi di contraddizioni e lotte interiori vissute da entrambi. Un esempio del loro temperamento ambiguo è ravvisabile nelle frequenti avventure erotiche con donne: infatti, essi si rivelano in grado di mantenere inalterato il loro legame cinto quasi da un’aura divina pur trovandosi tra le gambe di una Marzia o di una Chiara, con cui intrattengono finanche relazioni profonde. E, di fronte a questo tripudio di emozioni discordanti, l’autore dell’opera riesce a dirigere in modo sublime le anime da lui create adottando uno stile principalmente lirico, vista la grande panoramica che egli fa dei cuori dei due amanti, ma in ogni modo compenetra a questo il dato carnale, mimato con un espressionismo lessicale e di atmosfere: è regolare, per esempio, l’alternanza di un registro sublime e sospeso a uno più crudo e concreto, come nelle scene degli amplessi in cui ai riferimenti più erotici si accompagnano sempre momenti di liricità incommensurabile; anzi, si rivela proprio in queste situazioni la massima espressione del lirismo del romanzo, che raggiunge il suo acme nel momento in cui i due amanti riconoscono se stessi nell’altro: durante l’unione sessuale diventa iconico il loro richiamo, poiché è in atto un’immedesimazione di sé nell’altro tanto profonda da indurli a chiamarsi vicendevolmente con il proprio nome.
Oltre alla componente lirica, rivestono grande importanza nella costruzione del rapporto d’amore e nella definizione della vicenda romanzesca i topoi della letteratura e dell’arte: Eraclito, con i suoi dogmi contraddittori, aleggia per tutto il corso della narrazione, considerando che lo studio di Oliver si realizza attorno ai frammenti del filosofo greco; Monet ispira il luogo del primo bacio tra i due uomini, avvenuto proprio sulla collina dove l’impressionista francese era solito recarsi per dipingere la riviera ligure; c’è Percy Shelley, che diventa il poeta patrocinatore del loro legame per via della massima che i due mutuano da lui al fine di identificare il proprio amore, cor cordium; e infine c’è Roma, chiamata a custodire la loro unione durante gli ultimi tre giorni di visita di Oliver nel bel Paese. Il soggiorno nella capitale costituisce una necessità per l’americano, che deve sbrigare delle faccende con l’editore della sua tesi, ma viene subito colto come occasione propizia per celebrare con i giusti fasti un amore intenso di cui i depositari cominciavano da tempo ad avvertire la nostalgia per il commiato incombente.
Terminata la vacanza romana, però, l’incanto s’interrompe: Elio rimane senza parole di fronte all’assenza in cui viene catapultato una volta di ritorno a casa.Il dolore prefigurato durante la permanenza di Oliver sfuma in un’apatia indefinibile che provoca un’accelerazione del tempo del racconto, dando l’impressione di seguire il passo dello stato emotivo e psicologico del ragazzo, rimasto ben ancorato a quell’avventura memorabile in cui ha avuto modo di vedere e conoscere se stesso attraverso le vesti dell’amante. Pertanto, la vita che segue a quell’evento non può che scandirsi con l’alternarsi della commemorazione dei traguardi più importanti della vita di un uomo alla stretta importanza riservata ai brevi incontri rinnovati saltuariamente con un Oliver sempre più distante, nonostante la sua tipica gestualità sufficiente e accogliente allo stesso tempo.
A chiudere la loro stagione d’amore sembra essere la morte del padre di Elio, colui che per primo aveva notato l’affinità elettiva tra i due ragazzi, senza precludere loro alcuna possibilità, anzi, lasciando coltivare genuinamente quello che sapeva essere più di un’amicizia. «Non rischiare niente per paura di provare qualcosa… che spreco!» afferma il padre durante il fondamentale dialogo con Elio poco dopo l’allontanamento di Oliver. E, se lui rappresentava il pretesto per riabilitare il loro rapporto, viste le occasioni letterarie che egli fissava di frequente, alla sua morte il legame rischia il completo dissolvimento: Oliver ha ormai una famiglia, mentre Elio è rimasto in un limbo perenne in cui sprofonda durante i momenti d’incoscienza. Il futuro del loro rapporto si affaccia su un baratro, e alla fine Elio tenta di tenere stretto a sé colui che è sempre stato il suo alter ego invocando che egli lo chiami per l’ultima volta con il proprio nome.
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A ciò non segue nessun’altra dichiarazione, se non l’intero testo che il lettore si ritrova ad avere tra le mani, estremo testamento di un’avventura più che erotico-sentimentale: l’opera si manifesta, infatti, come uno scavo infinito negli strati dell’anima, sotto ai quali si scopre sempre un substrato imprevisto. Si tratta di un’operazione che nel romanzo è chiamata “Sindrome di San Clemente” a causa dei caratteri dell’omonima chiesa romana, costruita su elementi architettonici e strati preesistenti che innescano un circuito di corrispondenze così fitto da finire per legarsi alla natura stessa dell’edificio. L’amore è ciò di nuovo che Elio ha trovato nella Basilica di San Clemente della sua anima, e Oliver ne è ormai una parte integrante, ed è questo stesso amore che permette al lettore di ricercare e ritrovare dentro se stesso elementi sepolti ma comunque presenti. Queste realtà ritrovate, questi tempi perduti sono in grado di mutare radicalmente il corso dell’esistenza individuale: sarà proprio questo il potere della letteratura?
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