Per una nuova scuola. “L’appello” di Alessandro D’Avenia
E se l’obiettivo della scuola fosse non solamente quello di istruire, ma quello di far emergere la vera essenza di ciascun individuo? Oggi, soprattutto, che sempre più assistiamo a un allontanamento dal baricentro originario di luogo di cultura, nel quale imparare a “coltivare” liberamente se stessi, ci troviamo di fronte a un sistema chiuso, intrappolato in apparati burocratici e politici, interessato più a preservare se stesso che i ragazzi. Un sistema basato sulla ripetizione e non sulla scoperta, sull’interrogazione e non sull’interrogativo e in cui l’amore per lo studio rischia di affievolirsi totalmente. Eppure, è proprio l’amore verso il sapere che dovrebbe indurre ad arricchire il proprio bagaglio di conoscenze ed è proprio la scuola che dovrebbe insegnare a sviluppare uno spirito critico, vale a dire la capacità di giudicare lucidamente le cose senza lasciarsi influenzare dai pensieri e pregiudizi altrui, e tuttavia l’odierna cultura di massa, dedita più ai cellulari e ai social media che ai libri, ha fatto sì che le conoscenze si riducessero giorno dopo giorno a poche e misere nozioni imparate tra le quattro mura di una classe, e presto dimenticate una volta usciti dall’aula scolastica. A farci riflettere sull’importanza dell’apparato scolastico per la formazione delle menti dei giovani ci pensa Alessandro D’Avenia con il suo ultimo romanzo intitolato L’appello,edito da Mondadori.
Protagonisti de L’appello sono Omero Romeo, insegnante di scienze non vedente e i suoi dieci studenti di un quinto liceo, giovani già segnati nel profondo dalla vita. Insieme daranno vita a un nuovo modo di fare l’appello a scuola, una piccola rivoluzione «gentile», che diventerà un fenomeno nazionale, il cui scopo è quello di tirare fuori l’essenza di ciascuno.
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Omero è cieco, così come lo era il poeta dell’Iliade e dell’Odissea, ma la sua cecità non lo ferma, anzi è proprio questa cecità che gli ha fatto acquisire la capacità di riuscire a vedere veramente la realtà. Sempre più spesso, infatti, guardiamo cose e persone senza vederli davvero, intrappolati in falsi stereotipi. La materia che Omero insegna non sono «le scienze, perché la materia è sempre e solo vita e le scienze sono un modo per capire qualcosa della misteriosa sostanza di cui è fatta».
Il modello di scuola cui questo professore aspira non è quello a cui siamo abituati, fatto di spiegazioni e testi scolastici, di interrogazioni e compiti in classe, piuttosto un organismo avente come obiettivo quello di insegnare agli alunni a mettere tutto in discussione per giungere alla verità. Si evince chiaramente da queste pagine un richiamo agli antichi filosofi greci, soprattutto a Socrate e a Platone, al rapporto che il filosofo/maestro intratteneva con i propri discepoli, una relazione dinamica, in cui entrambi insegnavano e imparavano, disposti a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. Socrate non voleva comunicare le proprie dottrine, ma stimolare l’ascoltatore a ricercarne dall’interno una propria. Non a caso Platone lo definì un ostetrico di anime, proprio perché aiutava gli intellettuali a “partorire” il loro punto di vista sulle cose. La vera educazione era per lui auto-educazione, ossia un processo in cui il discepolo, grazie all’opera del maestro, veniva aiutato a maturare autonomamente dal proprio interno.
Nel romanzo di D’Avenia leggiamo:
«Ho avuto la conferma che per conoscere le cose bisogna riconoscerle dentro di sé. La conoscenza oggettiva è una pretesa delle enciclopedie che ritengono di esaurire il mondo semplicemente perché le organizzano secondo un ordine alfabetico. Riconoscere le cose dentro di sé equivale ad interrogarsi».
Grazie al suo modo di insegnare, Omero riesce a risvegliare lo spirito critico dei propri studenti, impara ad ascoltarli, a dare valore alle parole che essi pronunciano, riuscendo a guidarli verso una maturità che non sarà solamente quella scolastica.
L’appello è un romanzo scritto in prima persona. È sempre Omero a parlare, tranne durante l’appello, momento in cui lascia la parola ai ragazzi.
«La realtà è un intreccio di storie che accadono e vivere è imparare ad ascoltarle, perché le cose e le persone si rivelano solo quando dai loro il tempo di cui hanno bisogno per raccontare la propria storia, il tempo che ci vuole a spogliarsi senza vergogna».
Passiamo la maggior parte del nostro tempo a nasconderci, anche se dentro di noi abbiamo un forte desiderio di venire alla luce
«e un nome ben detto dà luce e dà luce ogni angolo dell’anima e del corpo, perché purtroppo ciò per cui vogliamo essere amati, noi, lo nascondiamo. Questo è il potere di un nome proprio: fermare la ruota incessante del tempo e far ricominciare da capo una storia in cui tutto è già stato visto. Questo è il miracolo di un appello ben fatto».
Non potendo vedere i volti degli alunni Omero inventa questo nuovo modo di fare l’appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono una ragazza che nasconde una ferita inconfessabile, un rapper che vive in una casa-famiglia, un nerd che entra in contatto con gli altri solo da dietro uno schermo, un aspirante pugile che sogna di diventare come Rocky. Nessuno aveva visto questi ragazzi; il professore cieco è il primo che riesce a farlo. Egli ascolta le voci di questi studenti, posa le mani sui loro volti, tocca la filosofia delle loro esistenze.
«Sono arrivato alla conclusione che il tatto è più onesto della vista perché è libero dai pregiudizi che abbiamo negli occhi. E’ un paradosso, ma ciò che ci troviamo davanti agli occhi non lo vediamo, anche perché in genere non vogliamo vedere davvero, quanto piuttosto ottenere conferma di quello che già crediamo di sapere e rimanere ciechi su ciò che non ci conviene sapere».
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L’appello è un romanzo dirompente, che attingendo a forme letterarie differenti, dal diario di allegoria politico-sociale alla storia di formazione, ci conduce a una storia che diventa di maieutica e di redenzione. È un invito ai ragazzi a far emergere le proprie personalità rispetto a un mondo che vuole solo controllare noi e i nostri desideri.
Per la prima foto, copyright: Tim Mossholder su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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