Per un percorso interstetuale – il tardo Montale nell’opera di Wisława Szymborska
In questa undicesima puntata della rubrica dedicata alla scoperta di dodici premi Nobel per la letteratura, conosciuti e meno conosciuti, racconteremo di Wisława Szymborska, vincitrice del premio nel 1996. In particolare, concentreremo la nostra analisi sugli elementi propri della poesia del tardo Montale[1] che a nostro avviso intessono anche la produzione poetica di Szymborska.
L’opera della poetessa polacca vive ancor oggi di un’indomita originalità, che Berardinelli ha ben evidenziato:
«qualunque lettore può notare nelle poesie di Wisława Szymborska una serie di caratteristiche che, messe insieme, la rendono inconfondibile: immaginazione sfrenata, occasioni di vita quotidiana, inclinazione umoristica, giochi di parole mai separati da giochi di idee e immagini, una dialettica della composizione che fa entrare gli opposti e mette l’identico in contraddizione con se stesso, ironia e pathos che nascono l’uno dall’altro, estro e audacia intellettuali che coincidono la perizia tecnica»[2].
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Dunque, sempre citando Berardinelli, c’è sempre in Szymborska un rovescio della medaglia per mettere in luce la natura del suo ammaestramento; l’ultimo Montale è per eccellenza il poeta del rovesciamento. A questo si legano altri movimenti comuni tra le due produzioni, su cui Montale ha costruito l’ultima parte della sua poesia: diversioni, antifrasi, tautologie e appunto rovesciamento. Basti pensare alla mole di poesie in cui Montale – come in Szymborska – argomenta sovvertendo le constatazioni iniziali; rappresentate da conoscenze filosofiche, convinzioni politiche, certezze etiche, teorie sul linguaggio[3]. Altresì, tanto in Montale quanto in Szymborska è presente il contrasto tra aulico e prosaico, tra cosmico e quotidiano (più nella poetessa polacca), tra metafisico e ordinario, tra irregolare e comune. In questo senso, si domanda Galaverni:
«quante volte Szymborska e Montale, con procedimento che va e viene tra particolare e universale, tra individualità e generalizzazione, si interrogano danzando in punta di piedi riguarda al tempo, alla storia, al progresso al regresso, al bene e al male, all’inizio e alla fine, alla natura e ai suoi ritmi?»[4]
Come asserisce Garboli riguardo I quaderni dei quattro anni, Montale non è uno scienziato, ma come ogni vero poeta è qualcuno che scopre e legifera, sia che si tratti dell’irripetibile sia che appartenga alla collettività; è indubbio in entrambi i poeti l’assiomatizzazione del particolare alla legge universale, per oltrepassare il singolo alla volta di un livello epistemologico più vasto, come quello antropologico e/o filosofico. Dunque, Montale e Szymborska puntano all’evidenza del fatto per decriptarne il codice.
Il tono con cui entrambi i poeti affrontano quest’operazione – soprattutto in Montale – è un linguaggio di carattere sintetico, esplicativo, didascalico, che ricorre a formule dimostrative, clausole gnomiche, procedimenti epigrammatici e anaforici. E se il linguaggio – talvolta – è il pensiero stesso, verrebbe da proporre che Montale e Szymborska sembrino pensare uguale: accade anzitutto quando il primo non fa dell’amarezza un pregiudizio, e la seconda non permette all’umana comprensione di scivolare nella benevolenza.
Un ulteriore elemento tematico montaliano che Szymborska riprende più e più volte nella sua produzione è quello inerente alla distanza tra l’avanzamento scientifico e la dimensione di felicità dell’uomo, basti considerare La vita breve dei nostri antenati:
«quando il male trionfa, il bene si cela;
quando il bene si mostra, il male si acquatta.
Nessuno dei due si lascia vincere
o allontanare a una distanza definitiva.
Ecco il perché di una gioia sempre tinta di terrore,
di una disperazione mai disgiunta da tacita speranza.
La vita, per quanto lunga, sarà sempre breve.
Troppo breve per aggiungere qualcosa[5]».
La nostalgia esistenziale e metafisica di questi versi è chiaramente anche parte di molti movimenti montaliani, in cui il suo italiano risulta una lingua precisa, diretta, senza appoggi visivi, priva di riflessi poetici, un italiano comune, quindi, che garantisce un’eleganza sorprendente[6].In questo caso, invece, in Szymborska è proprio la sospensione del prima e del dopo a giustificare la sua poesia: nella produzione della poetessa polacca è l’attimo ciò che rimane a margine della sospensione tra inizio e fine. Szymborska vuole costruire una poesia positiva, in cui l’elemento positivo è suggerimento morale, consiglio partico e/o esperienza di vita, che racconta di una speranza intramontabile, ossia quella dell’attimo.
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Pertanto, riprendendo la citazione inziale di Berardinelli che testimoniava la voce inconfondibile della poetessa polacca, la ragione del tono inconfondibile di Szymborska va ricercata nel particolare timbro, disposizione, inclinazione e orientamento della voce poetica. Tale originalità, sostiene Galaverni, si manifesta anzitutto quando la poetessa polacca si fa carico della res gravis dell’umano destino: la violenza, la paura, l’ingiustizia, la mortalità. Pertanto, la grana della voce[7] di Szymborska è lucentezza, brillantezza, presenza di spirito, ilarità, smalto, benevolenza, complicità, comprensione[8]. La poesia della Nobel polacca offre una mappatura, un’organizzazione logica e concettuale, una misurazione, un disegno, una messa in quadro dei grumi irridimibili della realtà; ciò, al contempo, rappresenta sia la possibilità che offre questa poesia, sia un muro che talvolta appare invalicabile. Sembra, dunque, che mentre la poesia di Montale è quella di qualcuno che vuole sopravvivere, quella di Szymborska è la voce di chi cerca ancora di vivere. Una voce, quella della poetessa polacca, che invoca una partigianità: bisogno decidere se stare dalla parte della mappa o da quella del labirinto, a meno che, come pare indicare l’intera opera di Szymborska il “nostro luogo comune” sia al centro.
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Riferimenti bibliografici
BREMER D. TOMASUCCI G. a cura di (2016), Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti, critici, Pisa University Press, Pisa.
BERARDINELLI A. (2016), Wislawa Szymborska in italia: perché ci mancava, in Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti, critici, pp. 87-92.
SZYMBORSKA W. (2009), La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano.
[1]Con l’espressione “tardo Montale” si vorrebbe intendere la produzione di Montale che comprende Satura, Diario del ’71 e del ’72 e Quaderno di quattro anni.
[2]Berardinelli (in 2016, pp. 87-91).
[3]Cfr. Galaverni (in 2016, p. 95).
[4]Idem.
[5]Szymborska (2009, p. 441).
[6]Ibidem, pp.98-9
[7]Parole di Roland Barthes
[8]Cfr. Galaverni (in 2016, p. 100).
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