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“Per fare un manager ci vuole un fiore” di Niccolò Branca

Niccolò Branca, Per fare un manager ci vuole un fioreBene! Come è risaputo lo stemma della Branca, la nota distilleria italiana che produce la famosa bevanda a base di erbe medicinali, meglio nota come Fernet, è composto da un’aquila con le ali spiegate in volo nell’atto di stringere tra le zampe il globo terrestre. Un’immagine simile la troviamo anche sul libro pubblicato di recente da Mondadori: Per fare un manager ci vuole un fiore, scritto da Niccolò Branca. In questo caso, però, il volatile non tiene tra i suoi artigli il pianeta terra, ma un delicato fiore. Letta la quarta di copertina, dove si racconta l’avventurosa impresa di Niccolò Branca, mi sono chiesta come fosse possibile amministrare un impero come quello dei Branca, mantenendo attivo e pratico lo studio della meditazione. E ancora mi son domandata come fosse stato possibile – e scusate la ripetizione, ma mi sembra necessaria – per Branca applicare gli insegnamenti tratti dalla personale ricerca spirituale all’attività lavorativa, apportando innovazioni e allo stesso mantenendo fede alla tradizione produttiva di famiglia.

Incuriosita da tutti questi indizi, mi sono addentrata in quello che definirei un vero e proprio viaggio mistico-esistenziale all’interno della vita della Branca distillerie e del suo presidente, nonché amministratore delegato Niccolò Branca. Il libro non è una semplice passeggiata dentro ad una delle aziende più longeve dell’Italia – pensate che è attiva dal 1845 –, ma è un cammino nel percorso spirituale e meditativo che ha sempre aiutato Niccolò nella sua quotidianità e, come si leggerà pagina dopo pagina, nella gestione dell’azienda di famiglia. La coscienza e l’autoconsapevolezza sono due dei principi fondamentali acquisiti da Branca durante gli anni di studio meditativo e sono gli stessi che, applicati al suo lavoro imprenditoriale, gli hanno permesso di scardinare il tipico sistema produttivo occidentale basato sul profitto. Il tutto in funzione di un guadagno che come scopo ha, da un lato, il mantenimento della qualità storica dei distillati Branca e, dall’altro, un miglioramento delle condizioni di vita di tutte le persone coinvolte nel processo produttivo. Utopia? No, per niente. Nelle pagine di Per fare un manager ci vuole un fiore i precetti acquisiti attraverso la meditazione hanno permesso a Branca di salvare le sorti delle filiali estere dell’impresa di famiglia. La Fratelli Branca, oltre alla storica sede milanese di via Resegone, ha anche alcune filiali all’estero, tra le quali si ricordano quelle aperte nel 1907 a New York, Saint Louis e Buenos Aires, trasferitasi nel 1997 a Tortoguitas. Nel 1999 l’amministratore delegato della sede argentina, Eugenio Marenco di Moriondo, era vicino alla pensione e alle prese con problemi si salute. Tale situazione permise a Niccolò Branca di recarsi nella Fratelli Branca Distilerias in Argentina per conoscere a fondo l’azienda, i dipendenti e pensare a nuove strategie lavorative rivolte al futuro. Branca arrivò nel Paese sudamericano proprio alle soglie del grave dissesto economico che di lì a poco tempo avrebbe minato la stabilità dello Stato fino alla bancarotta nazionale del 2001. Il dialogo, la consapevolezza di sé e degli altri e la collaborazione con il proprio team lavorativo sono l’energica forza che hanno permesso al manager di salvare l’azienda argentina e di volare poi a New York, tutelando la sede presente nella Grande Mela.

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Niccolò Branca, Per fare un manager ci vuole un fioreCiò che mi ha stupito di questo libro è l’insieme degli insegnamenti che formano la via spirituale grazie alla quale Branca è riuscito a salvaguardare l’azienda e la qualità mondiale del microcosmo produttivo fondato dal suo avo Bernardino Branca quasi 170 anni fa. La visione olistica della vita ha aiutato Niccolò Branca a trovare soluzioni geniali ai problemi produttivi partendo da piccoli gesti quotidiani e gli stessi saperi hanno garantito una nuova visione dell’azienda e delle persone che vi lavorano. Per lui, la società e i dipendenti non sono solo un semplice luogo di produzione e un insieme di operai che selezionano, miscelano e combinano le erbe per produrre l’omonima bevanda. Per Branca, l’azienda e le persone che la costituiscono (dall’operaio fino a chi occupa il gradino più alto della struttura produttiva) sono un’unica entità vivente. Una grande famiglia viva, dove ogni singola parte è coinvolta in modo completo all’interno del sistema produttivo aziendale. I lavoratori non devono essere considerati dei numeri, ma individui attivi, muniti di capacità e qualità differenti che, per tale ragione, devono essere riconosciute e coinvolte in modo attivo nel flusso dell’esistenza aziendale. Questo è segno di proattività, di coinvolgimento, di partecipazione ad un progetto comune durante il quale il lavoratore si sente coinvolto.

Arrivata alla fine del libro mi sono resa conto che l’agire di Branca non è una chimera come si potrebbe facilmente pensare, ma è l’atto di un uomo conscio di sé e del mondo che lo circonda. Con questo libro autobiografico l’autore cerca di aiutarci a capire come è possibile cambiare il mondo partendo da piccoli gesti quotidiani e cominciare ad Esser’ch’i, ossia entrare a far parte di quell’Energia universale non misurabile presente in ogni individuo. Essa è un vero e proprio flusso che aspetta solo di essere conosciuto da ognuno di noi, per aiutarci a raggiungere la  gioia di vivere.  E tra le tante parole di Niccolò Branca queste risuonano come un invito a tutti noi lettori per credere che un mondo migliore è ancora possibile: «La nostra crescita è continua. La coscienza si allarga sempre più, non vi è mai fine. Più eliminiamo condizionamenti, conformismi e blocchi, più riusciamo a illuminare le zone buie della nostra coscienza. In noi c’è già tutto ciò che ci deve essere, dobbiamo solo divenirne consapevoli».

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