“Pastorale americana” di Philip Roth, il racconto della società americana
Oggi più che mai Pastorale americana (edito da Einaudi, nella traduzione di V. Mantovani) può offrire validi spunti per interpretare le scelte politico-amministrative degli States negli ultimi decenni, pur mantenendo quella capacità di saper intrattenere il lettore fino alle ultimissime pagine, come se rispecchiasse uno dei tanti versi di John Keats: «As doth eternity:Cold Pastoral!».
Immergendoci nella lettura del libro veniamo trasportati in una dimensione che sa unire l’idealità dei quadretti idilliaci teocritei con la fredda realtà di un’America presa dalla guerra in Vietnam. Le armoniose forme di una vita apparentemente perfetta sembrano intrecciarsi con le fredde macchie oscure di un avvenire incerto, all’interno del quale si muovono i personaggi, ciascuno come esponente di una determinata condizione sociale.
La narrazione si apre con la descrizione del personaggio che ci accompagnerà per tutta la durata della vicenda, sembra essere il prototipo dell’uomo perfetto che riesce a coniugare l’imperturbabilità di un saggio stoico con la capacità di interpretare il reale di un uomo moderno: è Seymour Irving Levov, comunemente chiamato “Lo svedese”, per le sue particolarissime caratteristiche fisiche. Scopriamo che la voce narrante è in realtà un personaggio interno, che nei primi capitoli si racconta, si descrive e se da una parte ci garantisce l’oggettività del racconto, rimaniamo come sospesi all’interno della testa del personaggio che cerca di ricostruire la storia di una famiglia apparentemente impeccabile, macchiata dal sangue versato nella guerra vietnamita e lentamente corrotta dallo scandalo Watergate.
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E così dopo l’affascinante descrizione pastorale-idilliaca di uno scenario impeccabile, Roth ci catapulta improvvisamente avanti nel tempo, durante un ritrovo di tutti gli ex-studenti del liceo che il narratore e il protagonista hanno frequentato, iniziando a corrompere l’estasi di una vita perfetta. Dalla perfezione dello Svedese passiamo alla disamina di tutte le sue debolezze più intime, senza che ci sia fornito il motivo, vediamo solamente gli effetti di un vissuto grave, la necessità del raccontarsi e di abbassare le corazze poste a guardia dell’anima e dei sentimenti.
La giovinezza viene segnata dalla vecchiaia, vecchiaia che se vogliamo rispecchia anche la giovinezza dell’Americadel tempo messa alla prova. Quindi grazie all’aiuto di Jerry, fratello di Seymour, e al ruolo attivo del narratore, inizia la descrizione del Paradiso ricordato. Un periodare chiaro, in cui l’ampio respiro del dialogo lascia il posto a descrizioni di una confortante calma serena, dove viene presentata la moglie dello Svedese, Dawn, e dove l’innocenza di Merry – figlia del protagonista e della moglie – emerge di pari passo con i ricordi di un’infanzia talvolta capricciosa ma candida, come qualsiasi altra. Il volo pindarico inizia a precipitare con il corrompersi del linguaggio della figlioletta, la disfattadi un sistema perfetto. La bambina inizia a balbettare… che strano, si potrebbe dire che è un sintomo frequente che si supera con la crescita, ma rimarrà indelebilmente nero su una pagina puramente bianca, il sintomo di un disagio interno, gelosamente custodito. La situazione peggiora con l’adolescenza e Merry assume atteggiamenti sempre più ribelli, in regola con i comportamenti di un teenager qualsiasi, abbracciando ideali politici piuttosto forti, contrastanti con l’ideologia americana. Nell’arco di poche pagine il moto ascensionale della sua ribellione giunge al culmine: per appoggiare la causa pacifista contro i guerrafondai Stati Uniti fa esplodere una bomba, rispondendo allo spargimento di sangue che stava avvenendo a diverse miglia da lì con altro sangue.
La caduta delle certezze familiari e narrative che ci siamo potuti fare fin qui si tinge di rosso, non sappiamo se Merry sia rimasta uccisa nell’attentato da lei commesso. La vita già turbata di Dawn –ormai in preda a un esaurimento nervoso – e Seymour viene ulteriormente turbata da Rita Cohen, personaggio losco che illuderà e metterà a dura prova lo Svedese, facendogli credere di sapere dove si trovasse la figlia ricattandolo. Così la cieca rabbia contamina anche l’ultimo baluardo della pastorale americana, estendendosi da ora in poi a tutti i comportamenti dei personaggi. Al lento riprendersi della moglie, si sovrappone il ritrovamento di Merry, una figlia ormai sposata con il giainismo, un’evoluzione dell’adolescente ribelle in un qualcosa che Seymour non apprezzerà disilludendosi e capendo di averla persa per sempre.
La narrazione subisce una lenta modifica, favorisce ora il crudo realismo, si aggrappa con gli artigli alla realtà. I personaggi sembrano ricercare il sublime nel passato, una tensione perenne per riappropriarsi di un qualcosa sottratto o bruscamente interrotto. Numerosi sono gli spazi lasciati ai flussi di coscienza del personaggio principale, il monologo prevale sul dialogo e la narrazione si carica di pathos. La febbricitante pulsione narrativa dà spazio e tempo alla riflessione. Viene quindi approfondita la figura di Merry, una donna che scopriamo essere ancora oggi pentita dei numerosi concorsi di bellezza a cui ha partecipato e dei titoli raggiunti, che se in un primo momento voleva scollarsi quei titoli di dosso ora ricerca la conferma del proprio essere nella chirurgia plastica, riaffermandosi nel presente. È il Paradiso perduto dove la pastorale diviene più un simbolo irraggiungibile, viene dato più spazio al contesto storico degli intrighi del Watergate, prevale la furbizia sull’intelligenza. Ben presto gli scandali che il telegiornale racconta contaminano anche la fedeltà all’interno della famiglia. Tutto diventa il riflesso di corruzione, di insicurezza. Così quell’imperturbabile sistema privato si disgrega sotto i colpi di una scure funesta, trascinandosi un bagaglio di emozioni, ricordi e sentimenti positivi e negativi che rimarranno sempre impressi all’interno di Seymour, lo stesso che poi – come anticipato all’inizio del libro – avrà una nuova vita, ormai però corrotta dalla prima che riemergerà come un torrente in piena nei suoi ultimi giorni.
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Senza dubbio questo è un libro che richiede lettori dediti che abbiano il coraggio di immergersi in un tempo non perfettamente lineare. Forse la grande abilità di Philip Roth sta nel saper ben mescolare il dolce nettare della letteratura pastorale con una denuncia dei vizi della società contemporanea in maniera non troppo velata. La messa in discussione di un’atmosfera idilliaca apre due strade principali: postula da un lato la coesistenza dialettica, in una vita, di un negativo per la formazione successiva di una nuova realtà con maggior consapevolezza, mentre dall’altro rimane un’amara disillusione per lo sgretolarsi dell’idillio americano davanti ai nostri occhi. Possiamo dunque trovare nel libro un riferimento marmoreo e freddo alla società statunitense, screziato da forti venature sentimentali, dove la cera del sublime è impastata dalle certezze apparenti di una Pastorale americana in continua evoluzione.
Per la prima foto, copyright: Trent Yarnell.
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