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FantasyUndicesima puntata della Rubrica Nella pancia del drago.

Fantasy e giochi di ruolo: un connubio segreto e nascosto vergognosamente. Misteriose sedute sataniche, passatempo da nerd sociopatici, o forse il più brillante laboratorio narrativo fai-da-te per quanto riguarda character-design e setting-acrhitecture?

In una rubrica dedicata al fantasy non poteva mancare una puntata dedicata al gioco di ruolo. Dalla sua nascita come genere letterario indipendente, il fantasy ha avuto un’incredibile capacità di contagiare altri media e creare la propria readership in maniera obliqua: insieme alla musica metal e al cinema, si può dire che la sfera ludica sia ciò che più abbia contribuito. Ma che cos’è un gioco di ruolo? Gli appassionati mi perdoneranno il breve excursus esplicativo.

Un gioco di ruolo è un gioco di narrazione e strategia dove i giocatori – riuniti attorno a un tavolo (o connessi via Skype) – interpretano un personaggio di propria invenzione e lo muovono in un mondo immaginario che è raccontato loro da un arbitro di gioco detto “master”. Per supportare la narrazione e determinare le conseguenze delle azioni, il gioco si affida (di solito) a un sistema matematico che “traduce” in numeri le caratteristiche e le abilità dei personaggi, e che è supportato dal tiro di dadi (dalle 4 alle 20 facce), che nella loro imprevedibilità simboleggiano il caso (o il fato).  

Volendo fare un parallelismo con la letteratura, il gioco di ruolo è come un romanzo dove ogni protagonista è inventato da un diverso scrittore, e la trama è costruita dalla somma delle scelte di ciascuno all’interno della cornice (mondo, o ambientazione) narrata dall’arbitro di gioco – la figura più simile allo scrittore vero e proprio, al regista. Ecco, a occhi profani, un tavolo di roleplayers appare come un gruppo di individui in trance teatrale, appesi con il fiato sospeso alle parole dell’arbitro/narratore e al rotolare di deformi oggettini di resina numerati. Quando si gioca di ruolo, il mondo reale è tagliato fuori (tranne le matite, le gomme, la carta, le noccioline e il caffè). Da questa volontaria estraniazione nasce lo stereotipo deleterio che dipinge i giochi di ruolo come attività alienanti. Alienanti quanto potrebbe essere la lettura di un libro. Ma andiamo con ordine.

Tutto si potrebbe ricondurre, ancora una volta, a J.R.R. Tolkien. Il Signore degli Anelli veniva pubblicato negli anni Cinquanta del secolo scorso e, intorno al 1966, raggiungeva distribuzione capillare in tutti gli States contagiando milioni di lettori. Nello stesso periodo e nello stesso continente nasceva il concetto base di quello che sarebbe stato il gioco di ruolo: partendo da dei Wargame di ricostruzione storica muniti di miniature, un arbitro prendeva atto delle dichiarazioni di azione dei diversi giocatori, le inseriva nel contesto narrativo, e ne comunicava le conseguenze.

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Giochi di ruolo

Nacquero negli States le prime convention di giochi, e non ci volle molto perché i concetti strategici dei simulatori di guerra tra miniature venissero calati nelle atmosfere fantastiche della letteratura tolkieniana ormai entrata nell’immaginario collettivo, e in quelle di tutti gli universi simili, ispirati a uno pseudo Medioevo europeo cavalleresco permeato da magia e creature mitologiche. Fu così che nel ‘74 – dopo cinque anni di prototipi, versioni beta e vari editori – i signori Gary Gygax e Dave Arneson pubblicavano con la T.S.R. (Tactical and Startegic Rule) la prima edizione di Dungeons & Dragons.

Nasceva un mito, e non sembra tutt’oggi ancora destinato a tramontare. Dungeons & Dragons ha visto dal ‘74 al 2008 ben dieci edizioni tra nuovi game set, revisioni ed espansioni, montagne e montagne di manuali di regole e ambientazioni e mondi in cui “giocare” le proprie storie. Nel 1997, la T.S.R veniva acquistata dalla corporazione Wizards of the Coast e il marchio D&D entrava a far parte del publishing dei grandi gruppi editoriali. Con D&D era nato un nuovo modo di concepire non solo il gioco, ma la narrativa, e non ci volle molto perché lo stesso concetto di gioco passasse dal fantasy agli altri generi della letteratura fantastica.

Nacquero così giochi ispirati alla letteratura horror gotica, come i celebri manuali della White Wolf Publishing, Vampire e Werewolf, giochi che permettevano di vivere le avventure dei supereroi della Marvel (Marvel Super-Heroes); riprendevano l’universo immaginifico e mitopoietico di H.P. Lovecraft (The Call of Cthulhu, 1981), o quello di altri best-seller del fantasy degli anni Ottanta, come la saga di M. Moorcock (Stormbringer, 1981); sino ad arrivare alla fantascienza e al Cyberpunk delle opere di William Gibson (Cyberpunk, 1988), solo per citarne alcuni. In maniera speculare, inoltre, l’industria ludica diede vita a intere collane di romanzi ispirati a mondi originariamente creati per il solo gioco, come la prolifica saga di Dragonlance, ambientazione creata come espansione di D&D, il cui primo romanzo fu pubblicato nel 1984 e che conta all’attivo più di un centinaio di pubblicazioni tra romanzi e manuali; e come la fortunata serie di romanzi legati all’universo bellico del Wargame Warhammer, prodotto dalla Games Workshop.

Nascosto nelle spoglie di una cultura di nicchia – dalle versioni da tavolo sino ai GdR videoludici e al LARP o gioco di ruolo “dal vivo” (in costume) – il gioco di ruolo continua a rappresentare un generatore di readership per la letteratura di genere. Ma non solo di readership: alcune delle basi dello storytelling che i corsi di scrittura creativa cercano di vendere, non sono altro che l’ABC del gioco di ruolo. Se si volesse investigare sull’oscuro passato di molti dei più noti autori di letteratura di genere, fantasy in primis, in Italia e nel mondo, la percentuale di giocatori (o ex) formatisi tramite questo laboratorio creativo fai-da-te, potrebbe stupire i più.

Ma i roleplayer non amano farsi pubblicità. Ignorando predicatori folli che li accusano di evocare il demonio in sedute sataniche; schiere di genitori ignoranti che non comprendono cosa i loro figli vadano a fare per ore chiusi in cantina con gli amici; le occhiatacce dei vicini di casa il giorno dopo dell’urlo che alle undici di notte ha svegliato il quartiere con un «L’ho ucciso! HO UCCISO IL DRAGOO!»; nonché il sopracciglio snob della letteratura “impegnata”: i roleplayer continueranno a riunirsi tra di loro e raccontare storie. E si sa, con il gioco si impara anche a fare sul serio.


Ci ritroviamo on line il 15 dicembre con la puntata n. 12 della Rubrica Nella pancia del drago, con una recensione a un testo inedito di Tolkien.

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