Papà, mamma e gender: facciamo chiarezza
Con Papà, mamma e gender (edito da Utet) Michela Marzano, filosofa, scrittrice e deputata per il PD al parlamento italiano, si propone di rispondere a una domanda che circola da tempo nell’opinione pubblica: cos’è la “teoria del gender”?
Le discriminazioni e la violenza contro le donne e le persone omosessuali e transessuali sono oggi, almeno a parole, unanimemente condannati in Italia. Una frattura profonda divide invece il Paese quando si discute dei mezzi per combattere questi mali. Al centro del durissimo dibattito c’è la cosiddetta “teoria del gender”.
Da un lato, i sostenitori sentono tutta l’ingiustizia di una società in cui una persona può ancora essere considerata inferiore a causa del proprio diverso orientamento sessuale, del proprio sesso, della propria identità di genere. Dall’altro, gli oppositori vedono nella teoria una pericolosa deriva morale, il tentativo di scardinare i valori fondamentali del vivere umano.
È una questione sulla quale esiste, come sosteneva il cardinale Martini, un «conflitto di interpretazioni» perché ha a che fare con «le caverne oscure, i labirinti impenetrabili» che ci sono dentro ognuno di noi.
Sulla questione, Michela Marzano spiega con chiarezza al lettore la genesi e le implicazioni dell’idea di gender e, senza mai rinnegare le sue radici cattoliche, decostruisce le letture spesso fantasiose che ne danno molti. Soprattutto, come sanno i suoi lettori, non esita mai a mettersi in gioco direttamente, raccontando se stessa e identificandosi nell’esperienza di chi ha vissuto da vittima innocente il dramma dell’esclusione.
Il libro è pensato per fare ordine in tutta la confusione, gli stereotipi e gli errori che si insinuano nei discorsi sul gender, e vuole essere uno strumento rivolto a tutti, in particolare ai genitori preoccupati, agli insegnanti disarmati, agli studenti che vogliono capire.
Michela Marzano ha gentilmente risposto a qualche nostra domanda in occasione della presentazione milanese di Papà, mamma e gender.
Dal suo libro, la teoria del gender appare chiaramente come fumo gettato negli occhi della gente per evitare di prendere atto di una realtà in continuo divenire: la famiglia tradizionale da spot televisivo non è già più da tempo l’unica forma di famiglia possibile. Ma è così difficile prenderne atto?
Io pensavo di no, ma a quanto pare mi sono sbagliata, perché si parte da un presupposto errato: riconoscere altri tipi di famiglia significa rimettere in discussione le cosiddette “famiglie tradizionali”. Invece di dire “riconosciamo l’esistenza del reale molteplice, quindi tante famiglie diverse”, si pensa che questo riconoscimento sia un modo per attaccare la famiglia tradizionale, come si è visto in parecchie dichiarazioni. Lo scopo invece sarebbe solo quello di allargare il concetto, di dare a tutti la possibilità di condividere diritti e doveri senza togliere nulla a chi li ha già. C’è proprio un rifiuto di tutto quanto viene visto come diverso.
La guerra delle gerarchie ecclesiastiche alle nuove forme di convivenza non è forse un rifiuto ad ammettere che i cattolici praticanti e totalmente osservanti hanno smesso da tempo di essere maggioranza in Italia?
Avrei pensato a questo, in maniera convinta, fino a qualche mese fa. Poi, vedendo il tipo di riunioni che vengono organizzate in senso “anti gender”, e la quantità di persone che vi partecipano, mi rendo conto che nella stragrande maggioranza degli italiani esiste ancora la convinzione di dover difendere un certo modello di famiglia. Ci sono tanti che proprio non accettano la possibilità di opzioni diverse, senza rendersi conto che certi incidenti della vita possono capitare a tutti: ci si separa, si divorzia, e nascono nuovi tipi di convivenza.
Quest’adesione al movimento mi lascia quindi un po’ perplessa, così come l’opposizione al disegno di legge sulle unioni civili: tutti sono d’accordo nel voler dare i diritti individuali agli omosessuali, ma quando si parla di diritti alla cellula familiare nascono subito problemi. Tant’è vero che stanno cercando di eliminare il punto della legge che riguarda le adozioni stepchild (genitore non biologico che adotta figlio biologico del/della compagno/a), per cui si vorrebbe creare un quadro giuridico che permetta di proteggere i bambini.
Alla fine di tutto ciò restano però delle vittime, che sono sempre i bambini.
Ci sono infatti migliaia di bambini che ormai crescono in famiglie “non naturali” per molti motivi, che non sempre c’entrano con la sessualità: genitori soli, nonni o altri parenti costretti ad allevare orfani. Perché far sentire “di serie B” questi bambini?
La cosa paradossale è che in anni recenti c’è stata l’equiparazione dei figli nati all’esterno delle famiglie naturali, quelli che una volta chiamavano i figli “adulterini”, con quelli nati all’interno. Adesso, questo movimento di opposizione reintroduce di fatto le discriminazioni che erano state abolite. Queste persone che si proclamano “dalla parte dei bambini” ne fanno in realtà le loro prime vittime, perché non solo non si proteggono i ragazzini che possono essere considerati in qualche modo diversi, e divenire vittime di bullismo, manifestando tendenze omosessuali, ma anche quei bambini che vengono discriminati per il fatto di vivere con due madri o due padri. Eppure noi dovremmo essere dalla parte di tutti.
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Lei sostiene che dietro alla guerra alle teorie di gender c’è soprattutto una guerra all’omosessualità, ma la Chiesa cattolica è sempre stata sessuofoba, anche quando il problema dell’omosessualità era meno dibattuto: non si tratta, piuttosto, di una guerra alla sessualità in generale, anche a quella etero?
Sì, è vero che da parte della Chiesa esiste da sempre un problema con la sessualità, ma negli ultimi anni c’era anche stato un movimento di apertura riguardo a questo: per esempio, c’è un autore francese, Fabrice Hadjadi, invitato ogni anno al meeting riminese di Comunione e Liberazione, che ha scritto libri dove si valorizza la sessualità all’interno delle coppie sposate. Resta però il problema tabù della persona omosessuale, che si considera come non avente diritto a vivere la propria sessualità. Il punto di snodo e di rifiuto resta comunque quello, anche dopo l’ammorbidimento delle posizioni nei confronti dei divorziati risposati.
Dopotutto, anche il papa, dichiarando “chi sono io per giudicare?” ammette che questo continua a essere considerato un peccato. L’omosessualità esiste, e quindi dovrebbe essere considerata un fatto naturale.
Sappiamo tutti che la parola “gender” non è diversa dal “genere” usato in italiano, ma è come se le si volesse attribuire un significato differente, e decisamente più oscuro. Quanto conta, in una battaglia di questo tipo, l’uso mistificatorio delle parole?
Parlare di “gender” è un modo per incutere paura, per lasciare immaginare alle persone che si stia introducendo qualcosa che scardini i valori, ed è molto più facile farlo usando una parola straniera. C’è chi immagina che il “gender” sia una specie di marziano arrivato qui sulla terra per distruggere tutto. Ho sentito persino commenti stupidi sul titolo del mio libro, del tipo “ah, ma allora vedi che il gender esiste?”, come se fosse un mostro personificato.
Nel suo libro si parla di Italia e Francia, ma a questa mistificazione potrebbe aver contribuito anche un uso distorto della teoria di gender che si sta diffondendo in America: sono apparsi di recente articoli su adolescenti statunitensi che dichiarano di non voler assumere un genere sessuale preciso, per quanto ci si chieda come questo sia possibile. Lei cosa ne pensa?
Queste teorie estremiste sono state chiamate queer, cioè strane, e si richiamano, in modo un po’ confuso, alle posizioni di Judith Butler (filosofa statunitense, attivista dei movimenti a favore degli omosessuali), che però non ha mai negato l’esistenza delle differenze di sesso. Quello che la Butler cerca di contrastare sono le norme imposte dalla società che strutturerebbero il nostro essere uomo o donna. È chiaro che in tutti i movimenti ci sono sempre derive estremistiche: come c’è chi immagina che dalla pura differenza biologica maschio/femmina derivino determinati comportamenti e caratteristiche, c’è chi invece dice che, indipendentemente dalla differenza biologica, noi scegliamo di non metterci né nella categoria uomo né nella categoria donna. Questo non corrisponde alla mia sensibilità, perché io penso sempre che l’accettazione dei nostri limiti sia qualcosa che fa parte dell’umanità.
Non è vero che si può essere né/né oppure o/o: la scelta fa parte della vita.
Secondo me non si può essere tutto, altrimenti si arriva al mito dell’onnipotenza. E siccome io, vivendo in prima persona il problema dell’anoressia, sono rimasta incastrata per anni proprio in questo mito, devo dire che tutto ciò che me lo ricorda non mi piace, e mi sembra pericoloso.
In conclusione, cosa propone per cercare di far capire che il gender non è un mostro, ma più che altro una costruzione fantastica?
Io propongo di tornare all’abc dell’educazione: ripartire dal fatto che si nasce maschi o femmine per poi diventare uomini o donne, perché lo si diventa pian piano, imparando dei comportamenti, che però a volte sono stereotipati. Allora bisogna lottare contro gli stereotipi, altrimenti ci si ritrova prigionieri all’interno di ruoli che non sempre ci corrispondono: la donna debole, il maschio forte, la mamma casalinga e il papà che esce a lavorare.
Poi si aggiunge a tutto questo il fattore dell’orientamento sessuale, che non dipende dal genere e non si sceglie: che piaccia o meno, si nasce e si è omosessuali, e questo non deve mai implicare nessuna forma di discriminazione.
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