“Paolo Borsellino. Per amore della verità”, i troppi lati oscuri di via D’Amelio
Paolo Borsellino. Per amore della verità (Sperling&Kupfer, 2022) di Piero Melati è uno dei numerosi libri usciti quest’anno per ricordare le stragi di Capaci e di via D’Amelio a Palermo, in cui perirono a distanza di cinquantasette giorni i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a lungo in prima linea contro la mafia.
L’autore, giornalista prima del quotidiano L’Ora di Palermo, per il quale aveva seguito il primo Maxiprocesso a Cosa Nostra negli anni Ottanta, poi in forze a La Repubblica e al suo supplemento settimanale Il Venerdì, dove si occupa di attualità e cultura, con questo libro non ha voluto scrivere l’ennesima biografia del giudice Borsellino, ma ci racconta soprattutto cosa è accaduto dopo la sua tragica morte. Sono stati ben quattro i processi aperti per ricostruire la dinamica dell’attentato di via D’Amelio e accertarne tutte le responsabilità, ma anche l’ultimo di essi, che si è concluso appena pochi giorni fa, il 13 luglio, con l’assoluzione di alcuni poliziotti accusati di aver depistato le indagini, non è arrivato a fare un po’ di luce su quanto accadde a Palermo trent’anni fa.
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Melati ci offre in pochi tratti un ritratto di Borsellino, come magistrato ma soprattutto come uomo, marito e padre, per poi concentrarsi soprattutto sugli avvenimenti degli ultimi anni di vita e delle scelte che portarono esponenti di Cosa Nostra, ma di certo con l’appoggio e la connivenza di qualche insospettabile servitore dello Stato, a decretare la sua condanna a morte.
Il fatto che Paolo Borsellino, esattamente come il suo collega e grande amico Mario Falcone, fosse un personaggio scomodo, in grado di turbare un consolidato intreccio di poteri, emerge soprattutto dalla puntigliosa ricostruzione degli avvenimenti successivi alla sua scomparsa, compreso l’atteggiamento ambiguo tenuto dalle istituzioni nei confronti della famiglia del giudice: la moglie Agnese, scomparsa nel 2013, i tre figli Lucia, Manfredi e Fiammetta, la sorella Rita, europarlamentare per il PD e molto impegnata contro la mafia, venuta a mancare nel 2018.
Melati dà voce soprattutto ai tre figli, che solo negli ultimi anni, dopo la scomparsa della madre, hanno deciso di esprimere pubblicamente, in più occasioni, il disagio causato da anni di interferenze nella loro vita privata e di pressioni esercitate nei loro confronti da molti personaggi autorevoli: si è creato un movimento antimafia, racconta Melati, che col passare del tempo si è rivelato spesso ambiguo o addirittura controproducente nella ricerca di una verità sulle stragi, che appare ancora lontana dall’essere raggiunta e resa accessibile a tutti. Fondamentale rimane, ad esempio, il fatto che il giorno stesso dell’attentato qualcuno abbia fatto sparire l’agenda rossa su cui il giudice annotava pensieri, congetture e ipotesi di lavoro che avrebbero potuto sfociare in nuove indagini e portare all’incriminazione di personaggi eccellenti. Quest’agenda non è mai stata ritrovata, anche se alla famiglia è stata consegnata la borsa che la conteneva insieme ad altri effetti personali del magistrato. Cosa conteneva di tanto pericoloso?
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Con Paolo Borsellino. Per amore della verità Piero Melati, che ha vissuto in prima persona a Palermo gli anni più bui della cosiddetta “guerra di mafia” e che ha avuto occasione di incontrare di persona il giudice in più occasioni, ci offre dunque un resoconto prezioso per ricordarci che, se le cerimonie di commemorazione sono utili per mantenere viva la memoria di tanti fatti che hanno segnato il nostro recente passato, non sono sufficienti per lavare le troppe coscienze ancora macchiate da buone dosi di corresponsabilità in questi fatti, oltre che dall’omertà e dai depistaggi che in questi trent’anni hanno impedito di arrivare alla verità completa sulla morte di Paolo Borsellino.
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