Pandemia e solitudine, chiediamo aiuto a Kierkegaard e Heidegger
Lockdown, un termine sempre – purtroppo – più diffuso, che fa paura, genera timori e, soprattutto, solitudine. In questo periodo di quarantena forzata, di fronte a una pandemia che ha messo a nudo la fragilità e la precarietà della vita umana, è opportuno guardare alla letteratura e alla filosofia, ascoltare con profonda attenzione e interesse ciò che poeti e intellettuali affermano e hanno affermato. Ora più che mai la società postumanistica, ipertecnologica e scientistica che disprezza l’animo poetico e filosofico che aveva esercitato la propria egemonia fino all’inizio del Novecento, ha bisogno delle parole di quelle “anime belle che pensano, scrivono ma non producono nulla di concreto”. Quella corona che cingeva il capo del poeta e che Baudelaire aveva visto scivolare nel fango – già nel 1851 in Les Fleurs du mal – ora sta risalendo per vie traverse, sentieri irti e si sta posando nuovamente sul capo degli intellettuali, letterati e filosofi davanti a tutti.
È proprio per questo motivo che bisogna recuperare le riflessioni che alcuni “grandi” del passato avevano elaborato circa alcuni aspetti della fragilità umana. In quest’articolo, la nostra attenzione si focalizzerà sul tema della solitudine e su come questo sia stato trattato in Kierkegaard, filosofo danese ottocentesco considerato precursore dell’Esistenzialismo, e in Heidegger, il filosofo dell’esserci-per-la-morte, massimo esponente della corrente filosofica novecentesca dell’Esistenzialismo tedesco.
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In primo luogo, il concetto del singolo e, quindi, quello della solitudine, è di fondamentale importanza nella speculazione filosofica del danese Kierkegaard. Egli contrapponeva alla dialettica totalizzante di Hegel l’importanza dell’individuo nella sua singolarità e nella sua concretezza. La riflessione kierkegaardiana si muove in un orizzonte cristiano-cattolico in cui la persona diviene l’aspetto più importante da analizzare; essendo quest’ultima creata a immagine e somiglianza di Dio è più significante rispetto alla specie stessa, oggettivazione storica di alcuni aspetti individuali. A partire da questa premessa, è evidente come la solitudine sia un aspetto della vita umana che debba essere analizzato tout court, a trecentosessanta gradi: essa viene innalzata da parte del filosofo danese in quanto è soltanto in una dimensione siffatta che è possibile un dialogo sincero e aperto con Dio, in cui è realizzabile quel “salto” nel vuoto dalla “vita etica” alla “vita religiosa”. Questo salto esistenziale, che trova le proprie fondamenta soltanto in un atto di fede, permette di unirsi in maniera indisgiungibile con l’Eterno, facendo ritrovare, nell’ottica di Kierkegaard, un senso all’esistenza tutta.
Di conseguenza, attualizzando la speculazione del filosofo di Copenaghen e cercando di renderla confacente al periodo in cui ci troviamo, è opportuno analizzare la solitudine che molti di noi stanno esperendo come un momento importante di riconciliazione con il nostro Dio: sia esso il Dio della tradizione cristiana, di quella musulmana, indiana o, ancora, in un orizzonte di antropoteismo, che sia pure l’uomo stesso, un Sé al quale dare significanza ontologica (cioè nella dimensione di vita quotidiana) e assiologica (ossia dare a quest’ultimo un valore prioritario). In questo periodo è quindi opportuno ritrovare un dialogo con se stessi mediante pause di riflessione che diano la possibilità alla nostra stessa dimensione coscienziale di riportare a galla le qualità più recondite e disparate del nostro Io che erano rimaste nascoste sotto il terreno brullo della nostra autocoscienza, irretita dai ritmi stressanti e alienanti della vita del XXI secolo.
In secondo luogo, invece, l’analisi che proporremo circa la riflessione heideggeriana si concentrerà sulla solitudine invocata dal filosofo tedesco, la quale viene vissuta da tutti gli intellettuali: «il filosofo deve restare solitario, perché lo è nella sua essenza. La sua solitudine non può essere discussa. L'isolamento non è qualcosa che si può volere. Proprio per questo egli deve esserci sempre nei momenti decisivi e non può farsi da parte. Egli non fraintenderà la solitudine interpretandola nel senso esteriore di un ritirarsi e di un lasciar-correre le cose.»
Come si può notare, ne L’essenza della verità, Heidegger sottolinea l’importanza dell’isolamento per i filosofi, inteso come lo sviluppo solipsistico di una determinata riflessione filosofica che, nel momento più opportuno, possa poi essere condivisa con la società in modo tale da favorire il progresso intellettuale inter-soggettivo e non sia quindi un semplice rintanamento nella torre eburnea dell’intellettualismo fine a se stesso.
Quindi, attualizzando questo pensiero come abbiamo già fatto in precedenza con la speculazione filosofica di Kierkegaard, si può invitare ogni singolo individuo relegato in casa, chiuso entro quattro mura, a riflettere e sviluppare pensieri personali che siano anche i più disparati possibili ma che poi possano essere fecondi per una discussione inter-soggettiva non necessariamente sviluppata all’interno di una cerchia di intellettuali ma presumibilmente condivisa entro la comunità dei propri amici e conoscenti che dia la possibilità dello sviluppo di un atteggiamento critico circa le questioni più impellenti della società contemporanea. È fondamentale, però, per cercare anche di evadere dalle quattro mura domestiche in questo periodo di confinamento pandemico, informarsi, conoscere, leggere e assorbire nozioni in modo che si possa enucleare un pensiero critico che sia favorevole alla creazione di un “aiuto intellettuale” al sé e alla società.
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In conclusione, grazie all’attualizzazione del pensiero di due maître à penser della filosofia occidentale, abbiamo avuto la possibilità di comprendere come, in questo travagliato periodo, si possa rendere positivo un momento negativo, si possa trarre linfa vitale da momenti di solitudine quali quelli che stiamo vivendo attualmente a causa della pandemia di Covid-19. Dobbiamo dunque ringraziare gli intellettuali, i filosofi e i poeti che ci garantiscono evasioni “mentali” ogni giorno mediante le loro opere, i loro romanzi e le loro riflessioni.
Per la prima foto, copyright: Diego San su Unsplash.
Per la seconda foto, copyright: Mark Claus su Unsplash.
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