Over50, la condanna dei senza lavoro: il guardiano notturno
Franco ha 52 anni, è di Mesagne, ed è un over50 condannato senza lavoro. Faceva il guardiano notturno per un’impresa agricola del suo comune. Ha tre figli maschi, tutti disoccupati, e una moglie che fa la bracciante a nero nelle campagne del brindisino. Sei anni fa è stato licenziato per un furto di cui non è responsabile e adesso, quando capita, lavora in campagna.
Mesagne è un paese tristemente noto per vicende di Sacra Corona Unita. Qui si addensava un bel pezzo della camorra salentina, si discutevano affari, si ordinavano ferimenti e omicidi. Ma Mesagne è anche uno dei più bei paesi della provincia di Brindisi, con un centro storico invidiabile, magico, e tanta terra da coltivare intorno.
Ho conosciuto Franco al mare, una domenica. Lui era sulla spiaggia di Specchiolla con sua moglie e gli ho chiesto da accendere. Mi ha offerto il suo bic nero, con una mano enorme, callosa, e così ci siamo messi a parlare del vento che non ci consentiva di fare il bagno in santa pace e della stagione turistica che stentava a decollare.
«I tuoi figli dove sono?», gli domando seduto sulla sabbia, davanti a bambini che giocano festanti a palla, fingendo di essere Messi e Neymar.
«Non lo so, e non lo voglio sapere. Si fanno vedere solo quando hanno bisogno di soldi. Sono tre sfaticati», dice spegnendo la cicca nella sabbia e seppellendola con un pugno.
«Non lavorano?»
«Non ne vogliono sapere. Non hanno manco finito le scuole, quei maledetti. Tutta colpa di mia moglie, che li ha viziati da quando sono nati»
«E tu non potevi insistere?»
«Io? E che dovevo fare? Non avevo il tempo di respirare. Stavo sempre a pensare come dovevo portare i soldi a casa. Lavoravo la notte, di giorno dovevo dormire, ma quelli mi svegliavano sempre perché litigavano con la madre. Siamo finiti all’ospedale…»
Interni meridionali, litigi familiari, disperazioni l’una contro l’altra. Le conosco, le evito, le scanso, ma mi ricapitano sempre tra i piedi.
«Una volta, a Natale, ci siamo menati in casa. È arrivata la polizia e ci hanno portato in questura. Ci hanno interrogato e ci hanno trattato come criminali. Ma alla fine ci hanno rilasciato. Abbiamo fatto una figura di merda, ma quella è stata la prima volta. Abbiamo continuato così, perché alla fine esci pazzo se non tieni mai una lira»
Non posso che essere d’accordo con lui. La mancanza di lavoro e di denaro porta alla pazzia, sì, e se non a quella, ci va vicino: ti conduce per mano sull’orlo di una rabbia angosciosa.
«Ma tu lavoravi? Lavori ancora?»
«No. Ho lavorato come guardiano per ventisei anni. Una vita, tutte le notti. Lavoravo in un’azienda grossa. Stavo a guardia dei campi, perché qua rubano pure le galline. Mi sono fatto il mazzo per ventisei anni, capisci? Ventisei anni! Una notte tre bastardi entrano nei campi che vogliono rubare un trattore. L’avevano adocchiato. Io non li avevo sentiti. Arrivano al mio gabbiotto e mi puntano una pistola alla testa»
«Addirittura?! Organizzati!», esclamo.
«Organizzatissimi. Quello con la pistola è rimasto con me tutto il tempo. Aveva una calza sulla testa per non farsi riconoscere e parlava un italiano strano. Secondo me era straniero, ma gli altri non lo so, perché non hanno detto una parola. Sono entrati, hanno lasciato quello e sono andati nel campo. Quando ho sentito mettere in moto il trattore, ho capito. Ho detto a quello che poteva togliere la pistola, perché il trattore era assicurato, ma quello non ha capito un cazzo e si è incazzato»
«Potevi anche non stuzzicarlo, però», commento sbigottito.
«Dovevo fare la parte. Non era la prima volta che vedevo una pistola, ma quello era nuovo, si vedeva da come la teneva»
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«E dopo?»
«Quando quelli sono usciti dal campo col trattore, lui se n’è andato correndo. Allora ho chiamato il proprietario, ma facevo meglio a chiamare la polizia»
«Perché?»
«Quello è arrivato subito. Stava incazzato come una bestia. Si è incazzato con me»
«Gli hai descritto quanto era accaduto?»
«Sì, ma non gliene fregava un cazzo, così mi ha portato davanti alla rete del campo. C’era un buco. L’avevano tagliata. Erano entrati da lì. Mi ha detto che me ne dovevo accorgere, se no che mi pagava a fare? Mi ha detto che mi ero addormentato o che stavo con una puttana. Io gli ho fatto capire che si sbagliava, allora mi ha detto mo fai il guardiano a questo buco e domani ne parliamo»
«E l’indomani?»
«Mi ha licenziato»
Lo guardo. Non so se ridere o piangere, perché la storia sembra così assurda.
«Non avete chiamato la polizia?»
«Ha aggiustato tutto a modo suo. Ha ritrovato il trattore e mo non ha più bisogno del guardiano»
Evidentemente ha riacquistato il mezzo da qualche ricettatore e adesso paga il pizzo a qualcuno per farsi proteggere il campo nottetempo. Un classico pugliese, da San severo fino a Leuca.
«Storia di merda», dico.
«Sì, ma non è finita. Mi voleva denunciare per furto. Mi ha detto che se mi denunciava recuperava tutto dall’assicurazione e che, visto che io avevo la fedina penale pulita, non mi prendevo niente… Mi facevano uscire subito, e lui mi garantiva il posto a vita a me o a uno dei miei figli! Che pezzo di merda…»
Un bambino ci guarda, deve aver origliato qualcosa ma nella sua ingenuità non deve aver compreso molto, forse solo l’ultima bestemmia.
«Ci vuole un coraggio, per fare una proposta simile», faccio sconcertato, mentre il bambino adesso è in acqua a saltare sui cavalloni. «Dopo che è successo?»
«Niente. lui Continua a fare quello che faceva e io devo a giornata in campagna. Ma non è lavoro mio»
«Non hai pensato di rivolgerti a un sindacato?»
«See… così mi bruciavo proprio! E pure mia moglie. Quello conosce a tutti a Mesagne! Era buenolusindacatu!»
«Ma ti avrà dato una buonuscita, qualcosa»
«No, niente. Sono andato da un avvocato ma mi ha detto che costava assai, allora sono andato a vedere se potevo prendere la disoccupazione, ma non posso»
Senza lavoro, senza contributi, non più giovane, Franco porta tutti i segni di un destino senza uscita, il cui unico sbocco è vivere di espedienti fin che può.
«Perché non te ne vai all’estero?», gli domando di botto.
«Come mio padre e mio nonno… Bella vita. Almeno loro qualcosa l’hanno fatta. Mio nonno ha fatto il minatore in Belgio e mio padre l’operaio in Germania. Ma io non me la sento. Ho degli amici che partono per i cantieri svizzeri, ma il lavoro lo sanno, io no», ammette sconsolato.
Il vento incalza e la moglie di Franco ci raggiunge.
«Sciamu?», gli domanda.
Ci alziamo dalla rena e ci salutiamo. Gli auguro buona giornata e torno al mio asciugamano. Poi a un tratto mi volto e li guardo raccogliere le stuoie, l’ombrellone, una borsa termica, infilare le ciabatte e muoversi verso le dune. Sono due persone tristi, sì, ma vere, e la loro verità, ora, è anche un po’ la mia.
Torno sui miei passi ma un bambino mi corre dietro chiamandomi.
«Signore? Signore? Hai dimenticato questo», mi dice mostrandomi l’accendino di Franco.
Gli sorrido, prendo l’accendino e lo ringrazio. Penso che custodirò gelosamente questo regalo, come il ricordo di Franco e della sua amarezza di condannato over50 senza lavoro.
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