Oscar Wilde e il più grande mistero della letteratura moderna
Sarà una forma breve del celebre Ritratto di Dorian Gray? O una sua riscrittura? Perché dare a una nuova opera letteraria un titolo molto simile a quello di un lavoro già esistente? Questi e forse molti altri sono gli interrogativi di molti lettori quando in libreria si trovano davanti allo scaffale dedicato alle opere di Oscar Wilde: accanto ai noti capolavori dell’autore, infatti, sarà capitato spesso di imbattersi nel Ritratto di Mr W.H. senza conoscerne la straordinaria rilevanza nella produzione wildiana e soprattutto il patrocinio che esso detiene sul successivo Dorian Gray.
Il ritratto di Mr W.H., edito da Marsilio a cura di Benedetta Bini, fu pubblicato per la prima volta, in forma ridotta, nel 1889 sul «Blackwood’s Monthly Magazine», un’autorevole rivista letteraria inglese.
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L’opera assume le forme insieme di un racconto e di un saggio di critica letteraria ed è suddivisa in cinque parti. I protagonisti sono specialisti della letteratura: il quarantenne Erskine e un anonimo giovane che narra in prima persona le varie vicende. I due amici si trovano in una biblioteca a conversare di arte e letteratura, scandendo il tempo con il fumo delle sigarette. Una simile rilassatezza dei sensi, che verrà riproposta in forme più affinate ed estese nell’incipit del Dorian Gray, costituisce la tipica antifona di una liturgia dell’Arte che nella letteratura decadente è solitamente officiata da una componente dell’anima: in questo caso un ricordo. Discutendo di falsi letterari, Erskine rievoca e racconta all’amico l’episodio più caratteristico non solo della propria carriera letteraria, ma della sua vita. In passato egli aveva lavorato con un giovane e bellissimo ragazzo, Cyril Graham, all’interpretazione dei Sonetti di William Shakespeare per dimostrare la vera identità del suo dedicatario, W.H., considerando imprecisa l’attribuzione di questo ruolo al Conte di Pembroke o al Conte di Southampton, principalmente perché il poeta dichiarava che il suo amore non fosse figlio «di schiatta reale». Ne era seguito un lungo lavoro di esegesi sui componimenti che aveva portato all’elaborazione della figura di Willie Hughes, un attore della compagnia di Shakespeare. La tesi si era rivelata compiuta e completa da un punto di vista teorico, ma era necessario testimoniare l’effettiva esistenza del personaggio, che era stata appurata soltanto ricorrendo alla menzogna: Cyril aveva proposto a Erskine come prova dell’esistenza del ragazzo il ritratto di un adolescente in abiti elisabettiani che in realtà egli stesso aveva fatto realizzare da un artista quasi sconosciuto. Sebbene inizialmente si fosse lasciato convincere, Erskine avrebbe scoperto il misfatto di lì a poco imbattendosi per caso nell’artista cui era ricorso Cyril. Ne seguì un litigio culminato malamente nel suicidio del giovane, che in una lettera scritta all’amico poco prima di morire aveva rivendicato il proprio martirio in nome dell’Arte e della vita di Willie Hughes e aveva chiesto di divulgare la propria scoperta. La storia conserva in sé un sentimentalismo quasi religioso, poiché induce Erskine a una dolente e rassegnata commozione e il suo interlocutore ad abbracciare la teoria del martire dell’Arte, nonostante l’iniziale riserbo che riservava verso di essa da lucido razionalista.
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Da questo momento la narrazione è completamente incentrata sull’esegesi dei Sonetti compiuta dall’anonimo narratore, volta a far convergere gli elementi estrapolati dal canzoniere shakespeariano con la teoria di Graham per scoprire «il più grande mistero della letteratura moderna». Gli obiettivi sono ricostruire le identità di W.H. e della dark lady, la donna a cui è dedicata una sezione dei Sonetti, definire il loro rapporto con Shakespeare e dare un ordinamento definitivo all’opera. Ne deriva un quadro coerente e ben inserito nella tradizione letteraria rinascimentale: secondo il narratore, Willie Hughes sarebbe stato un comune ragazzo che aveva ammaliato Shakespeare a causa della sua straordinaria bellezza efebica, e al ruolo di attore che giunse a rivestire si andò assommando la funzione di «begetter» (“ispiratore”) dell’Arte drammatica del poeta, instaurando un rapporto in linea con il clima culturale del periodo – il neoplatonismo rinascimentale –, che vedeva realizzato nel legame virile un’Idea più sublime di qualsiasi altra relazione umana. Quindi si consolidò un rapporto omoerotico tra i due che rendeva spesso geloso il poeta, il quale si offrì persino alla volgare dark lady, che aveva sedotto Willie, per salvare il ragazzo da un tradimento che egli avrebbe compiuto contro se stesso e contro il suo amante ispirato. Queste e numerose altre rivelazioni confida il narratore all’amico Erskine al termine dei suoi studi, dando voce anche all’entusiasmo che lo aveva animato durante l’attività letteraria, tanto da dichiarare la propria devozione all’opera shakespeariana e alla teoria di Willie Hughes per avergli concesso di conoscersi a fondo. Afferma, infatti:
«Strano che sapessimo così poco di noi stessi. Dovevamo cercare nelle tombe la nostra veravita, e nell’arte la leggenda dei nostri giorni?»
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Alla fine di questa esperienza viene immediatamente rilasciata quell’energia intellettuale e spirituale che aveva caricato fino a quel momento l’esegeta, il quale arriva a lamentare una strana apatia e un senso di incredulità davanti alla teoria appena dimostrata e ai Sonetti: il razionalismo, che egli aveva applicato nell’analisi del canzoniere, è ora impiegato verso se stesso, e cede gradualmente il posto a un «freddo raziocinio» che gli permette di concepire la realtà come essa è: comprende che l’Arte rimane arte, cioè una particolare manifestazione dell’anima di chi la compie, e che solo l’impressione e la suggestione del lettore permettono di rendere viva e produttiva un’elaborazione artistica; inoltre riconosce di essere stato vittima dell’influenza di un’idea, che è «un semplice trasferimento della personalità, che produce un senso di perdita, e forse, una perdita reale». Ma la vicenda non si conclude nella presa di coscienza del protagonista: anche lui innesca un circuito di influenza, che ora investe Erskine, definitivamente convinto dell’esistenza di Willie Hughes: tra i due scoppia un litigio, per il motivo che un tempo aveva opposto Cyril allo stesso Erskine, e segue un allontanamento culminante nella morte dell’uomo, da lui stesso lasciata intendere al narratore infedele come un martirio letterario, sebbene sia causata in realtà da un malanno fisico. Infine, l’eredità dell’intera vicenda viene riposta nell’esposizione del famigerato ritratto nel salotto della dimora del narratore, con cui egli intrattiene un ambiguo rapporto di solidarietà che tanto ricorda il ritratto di Dorian Gray.
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Stando al vissuto di questi personaggi, dai temperamenti diversissimi ma stretti nel giogo di un credo artistico decadente, viene spontaneo chiedersi: cos’è la letteratura? E quali sono le reali potenzialità dell’Arte? Le riposte a questi interrogativi possono essere diverse: si potrebbe pensare che l’Arte abbia in sé un potenziale tale da rendere audace chi vi si approccia e da indurlo a prendere scelte estreme che un «freddo raziocinio» non sosterrebbe; oppure che essa sia uno strumento di autocoscienza e di ritrovamento; o ancora può essere considerata come una qualsiasi realizzazione umana priva di alcuna aura e che assume un valore solo se colui che la interroga è guidato da un particolare sentire. Queste e altre risposte potrebbero essere date, ma rimane evidente un dato essenziale: il forte legame tra l’Arte e la Vita, tanto in campo esperienziale quanto nei risvolti pratici o spirituali. E il motivo che nel racconto in questione innesca non solo la vicenda romanzesca, ma avvia un dibattito che può essere riproposto anche al di fuori della dimensione testuale, è il tema del falso, che scardina uno dei principi dell’arte classica e introduce un’acerba concezione di relativismo. L’opera non fa che dimostrare come la compiutezza e la perfezione dell'Arte, uno dei presupposti dell’arte classica, siano in realtà figlie della menzogna, e che solo la menzogna può generare elementi idealmente completi ma de facto inesistenti. Ne consegue che quanto più una realtà è autentica, tanto più essa è interpretabile nei modi più svariati ed è aperta alle più varie soluzioni: è possibile notare a riguardo il passaggio dai toni certi e fermi alle espressioni probabilistiche nel momento in cui il narratore viene svuotato dell’empito spirituale che lo aveva accompagnato nell’analisi dei Sonetti, filtrata dal desiderio di vedere riflessi in esso i tratti caratteristici dell’irreale Willie Hughes; ed è visibile, peraltro, una definitiva attestazione dell’idea suddetta nella dichiarazione finale del narratore:
«Per me il martirio era solo una tragica forma di scetticismo. Nessuno si immola per ciò che sa essere vero. Gli uomini muoiono per quello che vogliono sia vero, anche se un qualche terrore in fondo al cuore dice loro di non esserlo».
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A estendere questa visione concorre anche l’uso di uno stile narrativo e saggistico: il primo è utilizzato nei dialoghi e nell’interazione tra i vari personaggi in una declinazione prettamente decadente, viste l’attenzione posta sugli oggetti di fattura raffinata e il carattere simbolico delle atmosfere, come il fumo che aleggia nel salotto nel corso della conversazione tra i due letterati; il secondo stile, invece, viene adoperato nella parte centrale del racconto, a cui è affidata l’azione narrativa.
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Ben si intende, dunque, come un’opera letteraria di simile portata non solo si rivela un’utile chiave di lettura per interpretare a sua volta quella prefazione enigmatica del Ritratto di Dorian Gray, che testimonia dell’inutilità dell’Arte, ma vale in sé stessa come crocevia di tendenze classiche e moderne che nell’umiltà della sua brevità e nella profondità analitica del suo contenuto può segnare un punto di ripartenza di una tradizione letteraria a rischio di estinzione.
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