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Oro nero o oro blu?

Oro bluIl petrolio, come fonte di energia trasportabile e facilmente utilizzabile, è impiegato dalla maggioranza dei veicoli e come base di numerosi prodotti chimici industriali. Ciò lo ha reso dall'inizio del XX secolo una delle materie prime più importanti del mondo e per il suo valore economico e commerciale viene metaforicamente chiamato oro nero. L’acqua, insieme all’ossigeno, costituisce un elemento indispensabile per la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, per questo e non per il suo valore commerciale ed economico viene definita oro blu.

Il 28 luglio dell’anno 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita a New York, ha approvato una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali. Tra i 163 Paesi presenti vi era anche l’Italia, che figura tra i 122 voti a favore, la rimante parte sono astenuti. Il 12 e 13 giugno del 2011 i cittadini italiani sono stati chiamati a votare per i quattro quesiti del Referendum abrogativo: due sull’acqua pubblica, uno sul nucleare e uno sul legittimo impedimento.

  • Primo Quesito: Abrogazione della norma che consente di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica, consentendo la gestione in house solo ove ricorrano situazioni del tutto eccezionali, che non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato; il 95,35% dei votanti ha scelto il Sì.
  • Secondo Quesito: Abrogazione parziale della norma che stabilisce la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, nella parte in cui prevede che tale importo includa anche la remunerazione del capitale investito dal gestore; il 95,80% dei votanti ha scelto il Sì.

Il 20 marzo 2014 il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha depositato presso la Camera dei Deputati il testo aggiornato della legge di iniziativa popolare, presentato nel 2007, Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, ponendo l’accento sull’urgenza di dotare il nostro Paese di un quadro legislativo unitario rispetto al governo delle risorse idriche e sulla necessità di un cambiamento normativo nazionale, azioni indispensabili per dare reale e concreta attuazione all’esito referendario.

Stando al dossier di Legambiente AcQualeQualità? si conosce lo stato ecologico di solo il 44% e lo stato chimico di solo il 22% dei corpi idrici superficiali; di questi solo il 25% è stato riconosciuto nelle classi buono ed elevato, dal punto di vista ecologico, mentre solamente il 18% è stato riconosciuto nella classe buono dal punto di vista chimico dai monitoraggi effettuati. Per quanto riguarda, invece, i corpi idrici sotterranei ne sono stati valutati circa un terzo e di questi la metà gode di un buono stato chimico e quantitativo. Secondo uno studio congiunto di Legambiente e Altraeconomia da 189 fonti italiane attingono 321 marche di acqua che per il 79% imbottigliano in plastica, riciclata solo al 35%. Viene sottolineato il fatto che queste aziende a fronte di guadagni notevoli pagano canoni per concessioni veramente irrisori. L’esempio della Campania che applica la tariffa di 30 centesimi di euro per metro cubo imbottigliato; del Piemonte che chiede 70 centesimi; o quello della Puglia che addirittura non chiede alcun corrispettivo per il volume imbottigliato, che si aggira sui 92 milioni di litri annui. Legambiente e Altraeconomia chiedono che, se proprio non è possibile evitare l’imbottigliamento di fonti e sorgenti d’acqua, almeno siano applicate tariffe uniche sull’intero territorio italiano e adeguate ai costi cosicché ci sia un ritorno economico per la Regione e per i suoi abitanti, utilizzabile tra l’altro anche per smaltire i rifiuti che ne derivano.

È opinione condivisa l’importanza generale che riveste l’acqua per la natura e gli esseri viventi, che non bisogna sprecare quella che fuoriesce dal rubinetto delle nostre abitazioni e che bisogna o bisognerebbe fare qualcosa per salvare i 26 Paesi e soprattutto i 232 milioni di abitanti che attualmente vivono con scarse riserve idriche. I numeri li conosciamo tutti: la superficie terrestre è ricoperta per il 71% di acqua, per il 97% però si tratta di acqua salata che si trova nei mari e negli oceani, quindi solamente il 3% dell’acqua della Terra è dolce, di questo 3% i 2/3 si trovano intrappolati nei ghiacciai. In sintesi l’acqua dolce a disposizione dei 7 miliardi di abitanti nonché di tutta la flora e la fauna corrisponde all’1% di quella presente sulla superficie del nostro pianeta. Ciò che però non va dimenticato è che questo 1% per noi tanto prezioso quanto indispensabile non è indipendente dal rimanente 99%. Quello che comunemente viene chiamato il ciclo dell’acqua deve portare a riflettere sul fatto che geologicamente e biologicamente il nostro pianeta è un unico ecosistema inscindibile e indivisibile. Infatti le acque dolci pur essendo geograficamente situate in posti differenti da quelle salate sono a queste strettamente connesse, come lo sono all’atmosfera, agli organismi e alla terra.

Ammonta a circa 2,61 miliardi di metri cubi la perdita annua del sistema idrico italiano, che equivale a circa 226 milioni di euro. Il Rapporto della Fondazione Civicumattesta che nel 2008 il primato negativo andava all’Acquedotto Pugliese che tra perdite fisiche e acqua non fatturata raggiungeva il 55%. Dall’azienda prontamente giunse la smentita: «Le perdite in rete sono oggi al 35% e non al 55%. Ed anche ove sommassimo alle perdite in rete quelle cosiddette amministrative, le perdite dell’Acquedotto Pugliese sarebbero al 47%».

Con il D.P.C.M. del 6.11.2009 il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per la vulnerabilità sismica della galleria Pavoncelli, canale di trasmissione delle acque attualmente impiegato dall’Acquedotto Pugliese, consentendo così di procedere con i lavori di costruzione della Pavoncelli-bis, una galleria parallela a quella esistente. L’Assessore regionale alle Opere Pubbliche e Protezione Civile della regione Puglia, in occasione della cerimonia di sottoscrizione del contratto con l’impresa appaltataria, ha dichiarato: «infine, per tranquillizzare i fratelli della regione Campania, vorrei ribadire che con la realizzazione di quest’opera non prenderemo un litro in più di acqua, semplicemente garantiremo il flusso idraulico, possibilmente in continuità, senza rischiare il crollo della Pavoncelli, signora ormai acciaccata e con evidenti segni di dissesto». I cittadini e gli attivisti della zona si chiedono quale sia il senso della costruzione della nuova galleria per una portata di 10.000 litri al secondo che il fiume Sele non ha più ormai. Loro preferirebbero che i 163 milioni di euro stanziati a totale carico dello Stato fossero impiegati per le riparazioni della preesistente galleria e non per la costruzione di una nuova che andrà inevitabilmente a incidere sull’habitat e sull’ambiente circostante. Inoltre prima di pensare alla costruzione di un nuovo impianto che garantisca il flusso idraulico in continuità forse era il caso di ridurre notevolmente la percentuale di perdite, sia in rete che amministrative, perché anche “solo” il 47% è un dato che invita a riflettere.

La motivazione per cui è stato dichiarato lo stato di emergenza per la costruzione della galleria Pavoncelli-bis è la vulnerabilità sismica della Pavoncelli senza il bis, presumibilmente in relazione al fatto che la zona in cui si verrebbero a trovare entrambe è classificata dalla Protezione Civile come rischio 1, ovvero «zona più pericolosa. Possono verificarsi fortissimi terremoti».  Di vulnerabilità sismica però non si fa menzione alcuna nel Permesso di Ricerca NUSCO relativo a una superficie di 698,50 Kmq che comprende anche l’area circostante Caposele.

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Oro neroI maggiori depositi di petrolio sono situati nell’area medio-orientale (Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Iran, Siria, Emirati Arabi), che detiene circa il 60% delle riverse mondiali. Altre regioni con grandi bacini petroliferi includono la Nigeria, l’off-shore atlantico nigeriano e angolano, il Venezuela e l’area del Mar Caspio. Aree con riserve petrolifere in diminuzione sono invece gli Stati Uniti e l’off-shore del Mar del Nord. Si stima che fino ad oggi siano stati estratti circa 900-1000 miliardi di barili, mentre le riserve ancora disponibili siano circa 1000-1500 miliardi di barili. Secondo il dossier Milioni di regali. Italia: far west delle trivellazioni del WWF nel 2010 su 136 concessioni di coltivazione in terra di idrocarburi liquidi e gassosi solo 21 pagavano le royalty alle amministrazioni pubbliche, su 70 coltivazioni in mare solo 28 le pagavano, su 59 società operanti in Italia solo 5 pagavano le royalty (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana, ENI/Mediterranea Idrocarburi). Il WWF dichiarava necessaria la convergenza di intenti tra le amministrazioni e le comunità locali in difesa del bene comune, costituito dal Patrimonio Naturale che contribuisce alla ricchezza del Paese, affinché si potessero costruire le basi per un futuro sostenibile, che ruotasse intorno alle energie pulite, allo sviluppo eco-compatibile del turismo e della filiera agro-alimentare. Dal 2010 ad oggi le concessioni e i permessi di ricerca sul territorio e sui mari italiani sono aumentate di numero.

La produzione petrolifera italiana del 2011 ammonta a 5.28 milioni di tonnellate, di cui il 71% arriva dai giacimenti della Basilicata. Le aree regionali date in concessione per l’estrazione di petrolio occupano una superficie di circa 1.000 Kmq, ma l’area ipotecata alle attività petrolifere è destinata ad aumentare: ci sono altri 1.454 Kmq dedicati ad attività di ricerca e le richieste di nuovi permessi, in corso di valutazione al Ministero dello Sviluppo economico, riguardano 2.883 Kmq. Le prime attività di ricerca condotte sul suolo della Basilicata dalla AGIP risalgono al periodo compreso tra il 1975 e il 1984, mentre le prime attività estrattive risalgono alla metà degli anni novanta.

La Basilicata è:

  • La regione più povera d’Italia(dati ISTAT 2010).
  • La regione con una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale (dati dell’Associazione Italiana Registro Tumori).
  • La regione con il tasso di disoccupazione costantemente in crescita (dati CGIL).
  • La regione con 400 siti contaminati dalle attività estrattive (dati della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei Rifiuti).

La Confederazione Italiana Agricoltori denuncia che negli ultimi 10 anni le aziende agricole in Basilicata si sono dimezzate. Si parla di animali che non fanno più il latte nelle vicinanze degli impianti petroliferi, di vigneti secchi, di uva che cresce con una patina di olio sui chicchi, di terreni diventati infruttiferi, di pesci che muoiono in massa, di elevata presenza di idrocarburi nelle acque potabili… Dall’ENI prontamente giunge la smentita riguardo qualsiasi collegamento con le attività estrattive «I nostri impianti sono chiusi, non c’è alcun rilascio di sostanze all’esterno ma soprattutto ogni pozzo è stato costruito dopo autorizzazioni della Regione e sottoposto a rigidissimi controlli da parte dell’Arpab». In effetti mancando riferimenti normativi vincolanti e precedenti analisi di raffronto è molto difficile riuscire a stabilire con certezza assoluta che i danni provocati e l’inquinamento esistente siano successivi e conseguenti all’attività estrattiva, in Basilicata, per quanto concerne invece l’Irpinia e le altre zone dove le trivellazioni ancora non sono cominciate però chi di dovere potrebbe procedere a campionature sulle acque e sui terreni per verificare almeno se determinati valori siano riconducibili eventualmente all’attività estrattiva oppure siano relativi alla sola presenza del petrolio nel sottosuolo.

Nel Rapporto annuale 2012 della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico si legge: «Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio». Secondo i dati ISPRA aggiornati all’anno 2013 in Italia sono presenti 8 Distretti Idrografici:

  • Alpi Orientali (40.851 Kmq).
  • Bacino del Po (74.000 Kmq).
  • Appennino Settentrionale (38.131 Kmq).
  • Serchio (1.565 Kmq).
  • Appennino Centrale (36.302 Kmq).
  • Appennino Meridionale (68.200 Kmq).
  • Sardegna (24.000 Kmq).
  • Sicilia (26.000 Kmq).

Invece di inseguire il sogno klondikiano dell’oro nero bisognerebbe forse soffermarsi a riflettere sul quello che è il reale potenziale del nostro Paese, la preziosità insita nel Patrimonio ambientale e culturale costituito dall’oro blu, investendo magari tempo e denaro nella sua tutela e nella costruzione di una rete di energie alternative e rinnovabili che non solo non vadano a incidere negativamente su questo ma creino anche i presupposti per uno sviluppo articolato che vada ben oltre i 7 e i 14 anni.

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