Oltre il Giappone. “La danza del nano e altri racconti” di Edogawa Ranpo
Esiste un particolare genere di libri che offre il perfetto mix tra brivido e mistero, che spazia dagli enigmi più intricati ai sentimenti più semplici e puri e che ci tengono letteralmente incollati alle pagine, tanto che non si riesce a combinare nient’altro. Sono libri strani, questi, perché finiscono inevitabilmente per lasciare il lettore in preda a un terribile senso di smarrimento se non di disgusto nei confronti dell’umanità intera, oppure lo rendono ancora più interessato e affascinato a quella curiosa specie di cui noi umani facciamo parte.
È il caso de La danza del nano e altri racconti, di Edogawa Ranpo, edito in Italia dalla casa editrice romana Atmosphere che lo ha pubblicato nell’ottobre 2020. Il volume e la sua traduzione sono curati da Alessandro Tardito, che con la sua illuminante postfazione ci consente di esplorare ancora di più lo straordinario operato di questo scrittore.
Un libro singolare, dunque, per un autore altrettanto singolare. Ranpo non è molto conosciuto in Italia se non dagli appassionati di letteratura nipponica, ma ci basti sapere che è considerato dagli esperti il maestro della letteratura giallo-poliziesca giapponese. Uomo di grande erudizione e appassionato di letteratura occidentale, Ranpo – il cui vero nome era Taro Hirai – scelse di omaggiare nel suo nome d’arte colui che riteneva essere il maestro del brivido, ovvero Edgar Allan Poe: “Edogawa Ranpo”, infatti, altro non è che la trasposizione fonetica del nome del grande scrittore americano.
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Il suo amore per Poe e per la letteratura occidentale si manifesta anche in questo volume, che contiene, oltre a otto racconti, anche tre brevissimi saggi in cui l’autore spiega quelle che sono state le sue influenze maggiori nella stesura delle sue opere e in cui ritroviamo, ad esempio, una divertente teoria su come Dickens abbia “rubato” un’idea a Poe – si veda Dickens il pioniere – oppure un interessante catalogo dei principali espedienti letterari “atipici” utilizzati dai giallisti più noti (Idee eccentriche).
Non solo racconti, dunque, e non solo racconti del mistero, come ci spiega Tardito nella postfazione. Definire Ranpo semplicemente un giallista, infatti, sarebbe un errore imperdonabile. Scritti alla fine degli anni Venti del secolo scorso in un Giappone in fermento e dalle sempre più spiccate tendenze nazionaliste, La danza del nano e altri racconti è un dettagliato specchio della società e della cultura giapponese di quegli anni, ma c’è di più. Ranpo, infatti, non si limita a raccontarci il suo Giappone, ma infarcisce la sua opera di riferimenti alle più recenti scoperte avvenute in Occidente nel campo della psicoanalisi, nel campo della tecnica e della criminologia, dimostrando di avere uno sguardo decisamente più cosmopolita di tanti suoi contemporanei.
Uno sguardo che è anche attento e acuto nei confronti degli esseri umani. In un interessante riferimento a Baudelaire, Tardivo accosta la figura del flâneur a quella del nostro autore giapponese: lo scrittore vaga per le strade, incontra persone e personaggi e questo non solo gli dà ispirazione per i suoi racconti, ma lo rende un vero e autentico conoscitore dell’animo umano. È quello che accade, ad esempio, in racconti come Erbe velenose o I crimini misteriosi del dottor Mera. Ranpo vive e popola i suoi racconti, non prende mai le distanze e, in questo modo, riesce a rendere ancora più crudi i particolari più scioccanti.
Non sono certo storie della buonanotte, queste, dunque. Sono storie di sangue, passione e violenza, ma anche di fragilità; sono storie in cui i sentimenti più genuini sono spesso accompagnati da episodi di crudeltà e di efferatezza – come in Nascondino o in Un amore inumano – e sono popolati da personaggi ambivalenti e dalle mille sfumature. Nessuno è mai completamente innocente, e Ranpo non sembra voler prendere le parti di nessuno, ma alla critica non è sfuggito il singolare trattamento che riserva ai personaggi femminili. Le donne di questi racconti provengono da contesti sociali differenti eppure sono tutte pericolose, a modo loro. Dalla spietata e sventurata Ohana di La danza del nano all’apparente fragilità di Tomi Miyazono de Il rifugio antiaereo, i personaggi femminili di Ranpo sembrano avere in comune un’aura da femme fatale che non passa inosservata.
Per chi è vergine di letteratura giapponese – come la sottoscritta – approcciare un testo del genere può mettere un po’ in soggezione. Eppure, è impossibile non rimanere ipnotizzati dalla scrittura di Ranpo e così in un attimo si arriva alla fine dell’ultimo racconto e poi della postfazione, quasi senza accorgercene. Quello che veramente sorprende di questo scrittore è la sua modernità: queste storie sembrano scritte l’altro ieri e non quasi un secolo fa. Merito sicuramente anche della traduzione di Tardito che riesce a rendere il testo scorrevole, mai pesante o stantio, come spesso accade con alcuni testi del primo Novecento.
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Se tutto questo non bastasse a dimostrare la maestria di Edogawa Ranpo, soffermiamoci un momento sulla modalità in cui Ranpo decide di esprimersi: il racconto breve. Un mio stimato professore dell’università era solito ricordarci come, contrariamente a quanto si può pensare in un primo momento, sia molto più difficile scrivere un racconto breve – o short story – rispetto a un romanzo. Figuriamoci un racconto giallo. Non è da tutti riuscire a condensare un mistero e la sua soluzione in una manciata di pagine, senza tralasciare di delineare un minimo di psicologia dei personaggi e – perché no? – infilarci anche qualche considerazione riguardo una o più ricerche scientifiche di più recente scoperta. Virginia Woolf riteneva il genere del racconto breve l’arte della proporzione e della perfezione, oltre che dell’onestà. Dopo aver letto La danza del nano e altri racconti, non possiamo che essere d’accordo.
Per la prima foto, copyright: Jase Bloor su Unsplash.
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