“Ode Plutonia”, le poesie “civili” di Allen Ginsberg
Ode Plutonia è una raccolta di poesie di Allen Ginsberg che Il Saggiatore propone in questa nuova edizione curata e tradotta da Leopoldo Carra.
Le opera si collocano in un periodo determinato e particolare. Siamo tra il 1977 e il 1980, Ginsberg ha superato i cinquant’anni e sta attraversando il suo migliore periodo artistico, l’acme della maturità poetica ed espressiva. A questa si legano altri elementi che suffragano lo spirito fascinosco e provocatorio di un artista riconosciuto, allora, il poeta vivente più importante degli Stati Uniti d’America (nel 1974 riceverà, a riprova, il National Book Award for Poetry per La caduta dell’America).
Ginsberg è prima di tutto un poeta impegnato civilmente, gli anni, d’altronde, non suggeriscono altre espressioni: la Guerra del Vietnam da poco terminata, quella con l’Unione sovietica destinata a spegnersi solo con la caduta del muro di Berlino nel 1989, lo strapotere imperialistico degli Stati Uniti con i suoi insegnamenti di buona democrazia in giro per il mondo.
Le poesie nascono da uno di questi conflitti che Ginsberg avverte, sente, non trattiene e scarica quindi su carta.
La poesia che dà il titolo a questa raccolta, Ode Plutonia nasce dalle manifestazioni antinucleari tenutesi durante l’estate del 1978 a Rocky Flats, in Colorado, presso gli impianti della Rockwell International.
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«Comincio a salmodiare, a bocca aperta esalando nel cielo spazioso
sopra fabbriche silenziose a Hanford, Savannah River, Rocky
Flats, Pantex, Burlington, Albuquerque
Traverso con l’urlo Washington, South Carolina, Colorado, Texas,
Iowa, New Mexico,
dove reattori nucleari creano una nuova Cosa sotto il Sole, dove
impianti di guerra della Rockwell producono questa sostanza
innesco di morte in bagni di azoto…»
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Qui tra rabbia e denuncia Ginsberg guru elenca tutte quelle fabbriche di plutonio che hanno contribuito alla produzione di bombe atomiche. L’ode a Plutone è un’ode al dio degli inferi, dell’opulenza, e più specificatamente per la mitologia classica il padre delle Eumenidi, le Furie, che vendicano il male fatto inconsapevolmente in preda alla passione, all’aggressività… un contrasto che salta all’occhio.
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Gli anni Settanta rapprestano indubbiamente il boom delle contestazioni e delle espressioni contro un potere assordante tanto presente. Le bombe avevano come interlocutori i fiori, le donne mostravano il seno ai manganelli. Le manifestazioni si sprecavano, il movimento Powerflower era molto più di un fenonento folkloristico. Non era solo la catastrofe nucleare a terrorizzare, era anche un inquinamento degenerativo e irrecuperabile nelle sue declinazioni di smog, petrolio, acque inquinate. Nacquero in quegli anni i movimenti ambientalisti, Ginseberg ne rimase filosoficamente e affettivamente coinvolto, Lavori di casa è la mia preferita,
«Se facessi il Bucato laverei il mio Iran sporco
Ci butto dentro gli Stati Uniti, ci verso sapone Ivory, sfrego ben
bene l’Africa e rimetto tutti gli uccelli e gli elefanti nella
giungla,
Lavo il Rio delle Amazzoni e pulisco i petroleosi Caraibi e Golfo
del Messico,
Strofino via lo smog dal polo Nord, smacchio via gli oleodotti
dall’Alaska
[…]
Poi della grande Asia ci faccio un gigantesco Carico di bucato e
lavo via il sangue e l’Agente Arancio,
Butto tutte le robe sudicie di Russia e Cina nello strizzatoio,
spremo fuori il Grigiume delatorio degli stati di polizia usa
centroamericani,
e metto il pianeta nella centrifuga e ce lo lascio per 20 minuti o un
Eone finché vien bello pulito.»
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Non è tutto così partigiano il suo pensiero. Esiste molta rassegnazione, disillusione soprattutto nel comunismo che nella poesia Aria del Campidoglio colloca sullo stesso piano del capitalismo: rappresenta entrambe come due sistemi speculari che ingannano l’uomo,
« No non mi va il governo in cui vivo
Nemmen la dittatura dei Ricchi
E burocrati che ti dicon che mangiar
E cani poliziotto i miei piedi a annusar
Dei miei libri i Censori Comunisti
Chi si lamenta del mio aspetto, i Marxisti
Non mi va Castro, insulta membri del mio sesso
Gauchisti che dicon che siam mistici ossessi»
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Sono poesie intense, dalle quali trapela consapevolezza del mondo cui si appartiene, sono spregiudicate e irriverenti perché di quel mondo fuggono l’inevitabile conformismo, sono sarcastiche e ironiche come l’aurea che riveste il disincanto.
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