“Numero zero” di Umberto Eco: lettura monotona e poco coinvolgente
C'era grande attesa per Numero zero di Umberto Eco, pubblicato da Bompiani. Le aspettative erano alte, soprattutto dopo romanzi come Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault: eppure questa nuova uscita delude, ci fa rimpiangere l'Eco a cui eravamo abituati e che, in fondo, speravamo di incontrare anche in questa occasione. Ma procediamo con ordine.
Siamo nel '92, alla vigilia dell'attentato a Giovanni Falcone. Un certo Simei convoca nel suo ufficio Colonna, ghostwriter che viene incaricato di scrivere un libro dal contenuto molto particolare: il racconto di un anno di lavoro che precede l'uscita di un quotidiano «disposto a dire la verità su tutto», Domani, che non vedrà mai la luce. Perché? Perché il proprietario del giornale, tale commendator Vimercate, ha come obiettivo quello di entrare nel salotto buono dell'alta società e, per questo, si servirà proprio di Domani, di cui verranno stampati dodici numeri zero – diciamo, una sorta di “copie prova” –, i cui contenuti verranno mostrati da Vimercate «a chi sa lui». Chiaro che ci sarà chi lo pregherà di rinunciare al progetto del quotidiano, proprio in cambio dell'accesso ai salotti che contano. Ad aggiungere menzogna su menzogna, il libro di Colonna dovrà concentrarsi sul (falso) tentativo di Simei di confezionare un giornale totalmente sincero e di cui, proprio per questo, verrà bloccata la pubblicazione: nessuno potrà sconfessare Simei, né Vimercate (il quale non potrà ammettere che Domani era un mero strumento di ricatto), né gli ignari redattori, perché nel libro verranno descritti come dei giornalisti incorruttibili.
La redazione di Domani è composta da un gruppetto di losers in cui spiccano – oltre ai già citati Simei e Colonna – anche una certa Maia Fresia (che con Colonna avrà una relazione) e Romano Braggadocio. Fin da subito vengono affrontati i punti su cui si dovrà basare il nuovo quotidiano, per esempio: «non sono le notizie che fanno il giornale, ma il giornale che fa le notizie», oppure da quattro notizie diverse ne uscirà senz'altro una quinta. I fatti devono essere presentati separati dalle opinioni? Certamente un'opinione bisognerà pure esprimerla, ma in modo che i lettori non se ne accorgano, fingendo una neutralità che, nel mondo dell'informazione, è più teorica che pratica. Molti altri sono gli aspetti discussi nelle riunioni di redazione, rese ancora più ridicole dal fatto che il lettore sa bene che non servono a nulla e che Domani è morto ancor prima di vedere la luce. Alla trama si aggiunge, poi, un'indagine che Braggadocio sta portando avanti: l'uomo è, infatti, convinto che Benito Mussolini non sia affatto morto e che al suo posto sia stato fucilato un sosia. L'ipotesi pare un po' assurda e l'idea è confermata dal fatto che Eco ha scelto per il suo personaggio un tale cognome (“braggadocio” in inglese significa sbruffonata, millanteria): tuttavia, qualcosa di terribile accade a Braggadocio in via Bagnera, lo stesso tratto in cui era solito mietere vittime il serial killer Antonio Boggia, giustiziato nel 1862 per i suoi crimini. C'era qualcosa di vero nelle sue tesi? E, soprattutto, Colonna e Simei, in quanto a conoscenza delle indagini del collega, sono in pericolo?
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Lodevoli le intenzioni del nuovo romanzo, concepito come un «manuale del cattivo giornalismo» e, quindi, un tentativo da parte dell'autore di raccontare e schernire mezzi di comunicazione che, più che informare, fungono da strumenti di estorsione. Un po' meno lodevole il modo in cui il contenuto è stato strutturato: a volte Eco divaga troppo, altre, invece, si limita a citare senza approfondire, rimanendo sul generico e rendendo la lettura monotona e meno coinvolgente. Resta la padronanza della lingua che da sempre gli appartiene, ma quando si comincia a chiamare in causa Gladio, Loggia P2, l'assassinio di papa Luciani, la CIA, insomma, decenni di stragi, depistaggi, corruzione, ci si aspetta quantomeno qualcosa di più corposo. Perché magari sono proprio quelli gli aspetti che potrebbero interessare di più un lettore e intorno a cui imbastire una storia solida, in quanto basata su fatti realmente accaduti. Inoltre, è probabile che poco interessino certi altri passaggi, tipo che a “cazzo” è preferibile «organo esterno dell'apparato genito-urinario maschile a forma di appendice cilindrica inserita nella parte anteriore del perineo» (p. 140). Oppure, il paranoico Braggadocio deve acquistare un'auto? Ecco allora cinque pagine (43-47) di analisi, su cosa deve o non deve avere la vettura ideale. Poi, che lo scrittore concluda il suo libro con una citazione tratta da Via col vento fa un po' sorridere: un po' per la citazione in sé (il classico «domani è un altro giorno»), quando con Eco si è abituati a richiami ben più eruditi, sottili, brillanti; un po' perché il suo personaggio afferma «altra citazione, lo so, ma ho rinunciato a parlare in prima persona e lascio parlare solo gli altri». Ed è vero: la sensazione è che in questo Numero zero dell'Umberto Eco del passato ci siano pochissime tracce.
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