Note di prosa - 81
Da “Alibi” di Elsa Morante
Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!
Come a sguardi inconsacrati le ostie sante,
comuni e spglie sono per lui le mille vite.
Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori
e gli si apre la casa dei due misteri:
Il mistero dolorso e il mistero gaudioso.
Io t'amo. Beato l'istante
che mi sono innamorato di te.
Qual è il tuo nome? Simili al firmamento
esso muta con l'ora. Sei tu Giulietta? o sei Teodora?
ti chiami Artù ? o Niso, ti chiami ? Il nome
a te serve solo per giocare, come una bautta.
Vorre chiamarti: fedele, ma non ti somiglia.
La tua grazia tramuta
in un vanto lo scandalo che ti cinge.
Tu sei l'ape e sei la rosa.
Tu sei la sorte che fa i colori alle ali
e i riccioli ai capelli.
La tua riverenza è graziosa come l'arcobaleno.
sono i tuoi giorni un prato lucente
dove t'incontri con un gli angeli fraterni:
Il santo, adulto Chirone,
l'innocente Sileno, e i fanciulli dai piedi di capra,
e le fanciulle-delfino dalle fredde armature.
La sera, ala tua povera cameretta ritorni
e miri il tuo destino tramato di figure,
l'oscuro compagno dormiente
dal corpo tatuato.
Tu eri il paggio favorito alla corte d'Oriente,
tu eri l'astro gemello figlio di Leda,
eri il più bel marinaio sulla nave fenicia,
eri Alessandro il glorioso nella sua tenda regale.
Tu eri l'incarcerato a cui si fan servi gli sbirri.
Eri il compagno prode, la grazia del campo,
su cui piange come una madre
il nemico che gli chiude gli occhi.
Tu eri la dogaressa che scioglie al sole i capelli
purpurei, sull'alto terrazzo, fra duomi e stendardi.
Eri la prima ballerina del lago dei cigni,
eri Briseide, la schiava dal volto di rose.
Tu eri la santa che cantava nascosta nel coro,
con una dolce voce di contralto.
Eri la principessa cinese dal piede infantile:
il Figlio del Cielo la vide, e s'innamorò.
La bella trama, adorata dal mio cuore,
a te è una gabbia amara.
E in tua salvezza non verrà mai la sposa regina del labirinto.
Per il sapore strano del bene e del male
la tua bocca è troppo scontrosa.
Tu sei la fiaba estrema. O fiore di giacinto
cento corimbi d'unico solitario fiore!
Quando mi sei vicino, non più che un fanciullo m'appari.
Le mie braccia rinchiuse bastano a farti nido
e per dormire un lettuccio ti basta.
Ma quando sei lontano, immane per me diventi.
Il tuo corpo è grande come l'Asia, il tuo respiro
è grande come le maree.
Sperdi i miei neri futili giorni
come l'uragano con la sabbia nera.
Corro gridando i tuoi diversi nomi
lungo il sordo golfo della morte.
Lascia ch'io ti riguardi. La mia stanza percorri
come un galante che passa
in una strage di cuori.
Allo specchio ti miri i lunghi cigli.
Povero come il gatto dei vicoli napoletani,
in eleganza sorpassi duchi e sovrani
risplendi come gemma di miniera
cambi diadema ogni sera
ti vesti d'oro come gli autunni.
Passa la cacciatrice lunare coi suoi bianchi alani...
Dormi.
La notte che all'infanzia ci riporta
e come belva difende i suoi diletti
dalle offese del giorno, distende su noi
la tenda istoriata.
I tuoi colori, o fanciullesco mattino,
tu ripiegasti.
Nella funerea dimora, anche di te mi scordo.
Il tuo cuore che batte è tutto il tempo.
Tu sei la notte nera.
Il tuo corpo materno è il mio riposo.
***
Cantata della Fiaba Estrema di Hans Werner Henze, su testo di Elsa Morante
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