Note di prosa - 65
Da “Moby Dick” di Herman Melville
A sudest del Capo, al largo delle lontane Crozetts, una buona zona per chi caccia la balena franca, una vela spuntò a proravia: il Goney (l'Albatro). Mentre s'avvicinava lenta, dal mio alto posatoio sulla testa di trinchetto potei vedere a mio agio quello spettacolo così impressionante per un novizio della pesca oceanica: una baleniera in mare, quando manca da molto tempo da casa. Come se le onde fossero state sgrassatrici, quel bastimento era tutto scolorito come lo scheletro di un tricheco arenato. Lungo tutte le fiancate, quell'apparizione spettrale era rigata di lunghi solchi di ruggine rossiccia, mentre tutta l'alberatura e il sartiame erano come i rami fitti di alberi impellicciati di brina. Spiegava solo le basse vele.
Era uno spettacolo selvaggio vedere le vedette barbute sulle tre teste d'albero. Parevano ravvolte in pelli di animali, tanto erano laceri e rattoppati quei panni sopravvissuti a quasi quattro anni di crociera. Reggendosi in piedi entro cerchi di ferro inchiodati all'albero, oscillavano e dondolavano su un mare senza fondo. Quando la nave scivolò lenta alla nostra poppa, noi sei che eravamo nell'aria ci avvicinammo tanto gli uni agli altri, che quasi avremmo potuto saltare dalle teste d'albero di una nave a quelle dell'altra; eppure quei pescatori dall'aspetto desolato ci guardarono pacati nel passare, e non dissero una sola parola alle nostre vedette, mentre di sotto si sentiva il richiamo dal cassero: «Oh della nave! Avete visto la balena bianca?»
Ma mentre il capitano sconosciuto, piegandosi sulle pallide murate stava per portarsi alle labbra il portavoce, questo gli sfuggì in qualche modo di mano, e finì in mare. E inforzando di colpo il vento, tentò invano di farsi udire senza. Intanto la nave continuava ad aumentare la distanza dal nostro legno. E mentre, in silenzio, gli uomini del Pequod mostravano in vari modi di avere notato questo incidente di malaugurio subito seguito alla semplice menzione della balena bianca a un'altra nave, Achab stette un momento in forse, quasi volesse ammainare una barca e salire a bordo della nave sconosciuta, se non lo avesse impedito il vento minaccioso. Poi, valendosi della sua posizione a.93 sopravvento, riafferrò il portavoce, e poiché vedeva dall'aspetto che la nave era di Nantucket e diretta tra poco a casa, chiamò ad alta voce: «Oh laggiù! Questo è il Pequod che fa il giro del mondo! Dite di indirizzare tutte le lettere nel Pacifico, d'ora in poi! E da qui a tre anni, se non sono tornato, dite di indirizzarle all'...» In quel momento le due scie si erano tagliate in pieno, e subito, secondo le loro curiose abitudini, branchi di piccoli pesci innocui, che da qualche giorno ci nuotavano placidamente a fianco, guizzarono via con le pinne che parvero rabbrividire, e si allinearono da prua a poppa lungo i fianchi della nave straniera. Certo, nel corso dei suoi lunghi viaggi, Achab doveva avere visto spesso una cosa simile; ma le sciocchezze più trascurabili hanno i sensi più impensati agli occhi di un monomane. «Nuotate via da me, voialtri?» mormorò Achab sporgendosi a guardare in acqua. E le parole dicevano poco, ma il tono esprimeva una tristezza più profonda e disperata di quella che il vecchio folle avesse mai tradita. E voltandosi subito al timoniere che finora aveva tenuto la nave contro il vento per diminuire l'abbrivo, gridò con la sua vecchia voce leonina: «Barra sopravvento! Raddrizzala per il giro del mondo!»
Il giro del mondo! Parole che ispirano tanti sentimenti di orgoglio; ma dove ci porta tutta questa circumnavigazione? Soltanto, attraverso pericoli innumerevoli, al punto esatto da dove eravamo partiti, dove quelli che abbiamo lasciati indietro al sicuro sono stati per tutto il tempo davanti a noi. Se questo mondo fosse un piano infinito, e navigando verso est potessimo raggiungere sempre posti più distanti e scoprire cose più dolci e strane di tutte le Cicladi o le Isole del Re Salomone, allora ci sarebbe senso nel viaggio. Ma quando inseguiamo quei misteri lontani che sogniamo, o diamo tormentosamente la caccia a quel fantasma demoniaco che prima o poi nuota davanti a tutti i cuori umani, quando così ci buttiamo alla caccia intorno a questo globo, quelle cose ci portano dentro sterili labirinti, o ci lasciano a mezza strada, sul fondo.
***
Da "Concerto dell'Albatro" (1945) di Giorgio Federico Ghedini
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