“Non sparate sull’umanista”: la valutazione della ricerca accademica
Non sparate sull’umanista. La sfida della valutazione (Guerini e associati, 2014) è un saggio scritto a più mani da Antonio Banfi, Elio Franzini e Paola Galimberti, che sono tutti e tre docenti universitari ( il primo all’Università di Bergamo e gli altri due alla Statale di Milano), e come tali si occupano a vario titolo di un problema divenuto negli ultimi anni cruciale in ambito universitario: la valutazione della ricerca, punto di partenza per assegnazioni di cattedre, riconoscimento di competenze e possibilità di ottenere finanziamenti pubblici e/o privati.
Nell’ambito delle cosiddette “scienze dure” (fisica, chimica, matematica, biologia, medicina, agraria e veterinaria) la valutazione della ricerca avviene perlopiù su base quantitativa: un saggio o un articolo che illustra una ricerca assume rilevanza se viene diffuso su larga scala nelle riviste specializzate, quindi se viene citato e commentato da altri ricercatori. Il fatto che i testi scientifici siano da tempo pubblicati in lingua inglese rende possibile una diffusione planetaria di alcune ricerche, se riguardano argomenti di interesse mondiale (ad esempio, l’annuncio di un passo avanti nella cura di una malattia rara).
Questo metodo, che continua a funzionare anche con l’avvento dei più recenti mezzi di comunicazione del sapere legati all’informatica, si rivela del tutto inadeguato per valutare le ricerche svolte nell’ambito delle discipline umanistiche, che si rivolgono a un pubblico molto più ristretto. Un articolo sulla scoperta di un farmaco per curare malattie gravi interesserà non solo i docenti universitari chiamati a valutare l’operato del suo autore, ma anche molti altri soggetti, come la comunità medica e le case farmaceutiche, ma è difficile che l’esegesi critica di un testo di letteratura antica possa interessare un pubblico non strettamente accademico.
Elio Franzini, il cui saggio apre Non sparate sull’umanista. La sfida della valutazione, insegna estetica alla Statale di Milano, e introduce il lettore nel mondo piuttosto complesso e irto di sigle dell’ANVUR, Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e di Ricerca, che è incaricata di giudicare l’operato dei docenti e dei ricercatori per mezzo del progetto di Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR), affidata a un Gruppo di Esperti della Valutazione (GEV) per ogni ambito didattico.
Avendo fatto parte di un GEV, Franzini può descrivere dall’interno il complesso lavoro di valutazione, esprimendo al tempo stesso dubbi e perplessità riguardo al metodo utilizzato, una Peer Rewiew o valutazione tra pari: testi anonimi dei docenti affidati alla lettura e al giudizio di altri docenti per essere valutati, un sistema teoricamente equo ma non immune dal rischio di essere falsato da invidie e ripicche. Facile trovare, ad esempio, un giudice che assegna per motivi personali una valutazione bassissima a una ricerca ritenuta di alto valore da altri.
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Antonio Banfi si mostra più critico del collega nel giudicare l’ANVUR e l’uso dei sistemi di giudizio adottati fino ad oggi. Se in ambito scientifico prevale la valutazione quantitativa (diffusione di un saggio sulle riviste, nei motori di ricerca, nelle citazioni), in ambito umanistico questo criterio è di difficile applicazione perché è raro che i risultati delle ricerche vengano trasmessi tramite articoli e saggi brevi, mentre prevalgono le monografie, la cui diffusione è molto più lenta e limitata. Un libro viene stampato a distanza di mesi dalla sua stesura, e non può raggiungere lo stesso numero di persone che possono leggere un breve articolo scientifico consultabile non solo sulle riviste, ma soprattutto in rete. Punto cruciale di un miglioramento delle valutazioni in campo umanistico si rivela quindi una maggiore informatizzazione, con la digitalizzazione dei loro contenuti per farli arrivare a un pubblico molto più vasto, anche se non è detto che un autore o un articolo molto presenti nei motori di ricerca esprimano per forza tesi corrette, perché «non è difficile immaginare colleghi che valutino se stessi inventando un nickname al giorno per non correre il rischio di non essere ben valutati».
Nell’ultima parte del libro, Paola Galimberti, responsabile dell’archivio della ricerca e della piattaforma di e-publishing alla Statale di Milano, si preoccupa di chiarire dubbi e sfatare leggende, spiegando in dettaglio la specificità della valutazione in ambito umanistico e le prospettive per un suo adeguamento allo sviluppo tecnologico, per arrivare alla conclusione che una valutazione, per avere un senso, deve essere resa meno approssimativa possibile, postulato che, alla luce delle considerazioni che lo precedono, non appare poi così scontato.
Saggio molto tecnico, dunque, e non sempre di facilissima lettura per i non addetti ai lavori, questo libro può essere molto utile a chi è attivo in ambito universitario o a chi ha intenzione di farlo in futuro, affrontando la carriera accademica al termine degli studi, per comprenderne i delicati meccanismi interni, senza dimenticare gli amministratori locali e i politici, che spesso, purtroppo, si trovano a gestire i delicati rapporti tra lo stato e la ricerca senza avere nessuna competenza in materia: anche a loro Non sparate sull’umanista. La sfida della valutazione può fornire ottimi spunti.
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